denatalità

Di Risorse Rosse

Introduzione

Nel mio primo e secondo articolo ho voluto esporre la mia idea di nuova suddivisione dell’Italia, tenendo a mente il rafforzamento di un senso di identità locale e la possibilità di far trovare in loco ogni opportunità di elevamento socioeconomico ai cittadini. Nella realtà dei fatti ci troviamo di fronte a un invecchiamento demografico sempre più pressante e a una emorragia di giovani diretti verso i paesi occidentali più ricchi. Questo tema richiede un articolo a sé, prima di approfondire i dettagli della mia proposta di suddivisione territoriale.

Mettere al mondo un bambino può derivare da varie ragioni: necessità di braccia per lavori usuranti, tradizione, voler lasciare una discendenza o semplicemente realizzare qualcosa di bello. È un ragionamento che tutti possono o vogliono condividere? No. Ormai in Italia prima si studia, poi si lavora, poi si cerca casa, poi ci si diverte, poi si prendono cani, gatti, pesci, piante etc. Poi si decide se mettere al mondo un figlio; cercare di dargli il massimo, farlo crescere con un senso di comunità e lottare per lasciargli un mondo migliore ormai sta alla scelta individuale.

Il declino in numeri della popolazione italiana è un tema ormai trentennale. In questo articolo non snocciolerò troppi dati, mi limiterò a dire che secondo l’ISTAT nel 2040 le persone sole saranno 10 milioni, l’età media della popolazione sarà di 50 anni e nel 2070 avremo perso tra i 10 e 20 milioni di abitanti.

Aspetti politici ed economici

Questo tema è stato materia di becere campagne elettorali negli anni, di titoli di giornale colpevolizzanti nei confronti di ventenni e trentenni o al centro proclami allarmistici nei confronti di ogni proposta natalista vagamente assimilabile al “fascismo”.

La destra idealizza le famiglie prolifiche, guardando a un passato preindustriale ma alla fine non andando a colpire veramente le radici del malessere, cioè la mancanza di giustizia economica e l’esistenza del principio liberista di legge della giungla. I conservatori si stupiscono ancora del fatto che sempre più giovani non vogliano lavorare in un terziario incancrenito per due centesimi all’ora e che i datori di lavoro, quindi, debbano ricorrere sempre di più agli ultimi arrivati.

Il Governo Meloni il 16 ottobre dell’anno scorso ha presentato una legge di bilancio di un miliardo di euro, destinato al sostegno alla natalità. Tra le misure previste ci sono: la riconferma dell’assegno unico e l’estensione del congedo parentale facoltativo, l’aumento del fondo per gli asili nido con l’obiettivo di renderli gratis per il secondo figlio e un taglio alle tasse per le donne lavoratrici con almeno due figli. Non è stato invece riconfermato il taglio dell’iva sui prodotti per la prima infanzia, il quale era presente nella finanziaria del 2022. Per ingenuità o malafede, non si tiene conto di coppie giovani che hanno uno o neanche un figlio, mentre il congedo facoltativo di 12 mesi è diviso tra 6 mesi per la madre e 6 mesi per il padre. L’iva è quello che fa sopravvivere i negozianti, quindi non si è potuta toccare (Internazionale, 19/10/23).

Nel mentre si sta distruggendo l’ambito lavorativo giovanile qualificato con la progressiva sostituzione delle borse di studio con prestiti agli studenti, ricalcando il modello ricattatorio americano. La destra vuole livellare il gettito fiscale in un regime soffocante di pareggio di bilancio, mentre la sinistra vuole distruggere completamente il lavoro autonomo, la riserva di ricchezza immobiliare e i risparmi delle famiglie italiane.

La sinistra immagina che continuare a importare immigrati risolverà il problema demografico senza “obbligare” nessuno a fare figli, quando in realtà o i nuovi arrivati si abituano anche loro a fare meno figli o i figli li lasciano a casa insieme alle mogli per poi spedire le rimesse. Le politiche per assegnare le case popolari alle famiglie povere facilitano quasi sempre immigrati nullatenenti.

Questi sono i punti critici su cui, con un governo cosciente, bisognerebbe mettere mano:

Il bonus affitti dovrebbe essere allungato dai 18 ai 35 anni. La detrazione del canone dovrebbe essere aumentata fino al 33% per un figlio, fino al 50% per due e al 75% per tre e oltre e solo per le coppie con entrambe la cittadinanza italiana o in procinto di ottenerla.

La pratica degli affitti brevi e di acquistare immobili ulteriori al primo dovrebbe essere regolata in base alla pressione demografica di ogni provincia, lasciando contemporaneamente che le attività alberghiere in fallimento e senza valore culturale vengano riassorbite dal pubblico per fornire alloggi popolari.

L’iva sui prodotti per l’infanzia e la scuola dovrebbe essere azzerata. Andrebbe ufficializzato il congedo di paternità e allungato come quello di maternità ad almeno 12 mesi ognuno. Gli spazi per l’infanzia dovrebbero essere integrati nei luoghi di lavoro, equilibrando i compiti pedagogici di genitori e insegnanti, i quali al momento si intendono l’un l’altro come avversari.

I salari andrebbero aumentati smantellando completamente l’assistenzialismo e va promessa la detassazione alle imprese che retribuiscono di più in relazione al fatturato o il reinvestimento in opere di utilizzo comunale, allargando la pratica delle regioni a Statuto speciale a tutta l’Italia.

Il Settore Pubblico dovrebbe alleggerire la pressione all’urbanizzazione costruendo in terreni non valorizzati (soprattutto per collegare frazioni di comuni) e istituendo una classifica delle città dove è urgente una destituzione di edifici non a norma. La temperatura ottimale delle città di pianura e costiere dovrebbe essere raggiunta attraverso una de-pavimentazione razionale in specifiche sezioni delle aree urbane, da sostituire con vegetazione locale. Il principio sarebbe integrare maggiormente tra loro ambiente umano e non umano, eliminando una supposta ‘opposizione’ tra naturale e artificiale.

L’Associazione Nazionale dei Costruttori Edili andrebbe fusa assieme al Consiglio nazionale dei Geometri e Geometri Laureati e al Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori per formare un Collegio Nazionale degli Architetti, Geometri ed Esecutori Edili, dove la partecipazione imprenditoriale sia subalterna e costituita in maggior parte da aziende e cooperative fondate da giovani emergenti. In tal modo si riunirebbe in un solo organismo le funzioni di progettazione, controllo e costruzione edile a livello nazionale.

Tale nuovo organismo dovrebbe essere coadiuvato dai Ministero dell’Ambiente (restaurato) e della Cultura per verificare l’impatto ambientale e soprattutto proporre un’estetica per vecchi e nuovi edifici, in linea di continuità con la storia delle varie città e in controtendenza all’architettura post-modernista che, anche se vorrebbe esprimere la massima individualità, alla fine esporta la massima conformità in tutti i paesi del mondo.

Avere un ricambio generazionale tra ricercatori e professionisti è necessario per il successo di un paese ma questo non dovrebbe pesare sull’emancipazione e un’eventuale genitorialità.

Scuole e università pubbliche dovrebbero pesare il minimo necessario alle tasche di genitori e studenti, togliendo allo stesso tempo fondi pubblici alle scuole private e abolendo il sistema delle paritarie, costringendole a scegliere di diventare o enti pubblici o enti privati.

Le borse di studio dovrebbero essere ripristinate nella loro totalità, rese più accessibili e aboliti i prestiti usuranti, mentre gli stipendi dei dottorandi e dei giovani docenti dovrebbero essere adeguati alla realizzazione di una primaria autonomia per almeno i primi dieci anni di attività.

Attualmente c’è una pubblicità dannosa nel nostro sistema socioeconomico che fa ruotare tutta la scalata al successo solo intorno al terziario, rendendo i lavori agricoli, industriali, di riparazione e artigianali falsamente obsoleti e non appaganti. Tale tendenza va invertita con l’istruzione, la sintesi di lavoro manuale e intellettuale e il ridimensionamento del settore turistico.

La contraddizione tra l’evitare il pensionamento precoce e il ritardo nell’entrata nel mondo della ricerca e dell’insegnamento si potrebbe risolvere con una dinamicità nell’ istituire continuamente nuovi laboratori e corsi. Il riscatto della laurea dovrebbe essere libero da spese e un tema trattato alle presentazioni dei corsi di studio universitari di fronte ai liceali.

Il sistema pensionistico italiano dovrebbe rimanere a versamento individuale, recuperando in modo forzoso i soldi da chi andò in pensione per ragioni non usuranti sotto i sessant’anni prima della legislazione attuale. Lo Stato potrebbe riservarsi di utilizzare la riserva pensionistica per compiere operazioni di investimento azionario adeguate, per avere come uno dei due fini di incrementare il gettito al momento opportuno, firmando da entrambi le parti un contratto recitante guadagni, obblighi e conseguenze penali per gli addetti pubblici e privati.

Un lavoratore sarebbe libero di decidere se rendere la sua pensione erogabile dallo sportello pubblico o a una cassa sindacale unica e nazionale distribuita in tutto il territorio nazionale, in questo modo alleggerendo la responsabilità dello Stato nel versare le pensioni, soprattutto in casi in cui i contributi singoli non basterebbero, previa giustificata motivazione per un’erogazione proporzionalmente maggiore.

L’ideale sarebbe far tornare l’età pensionabile standard intorno ai 60-65 anni.

Immigrazione, cittadinanza ed etnia

Ci opponiamo all’esodo forzato dei popoli. Il contatto fra popoli è un valore se c’è uno scambio di conoscenze, lealtà e ammirazione per il paese d’accoglienza e un contributo genetico a una base già esistente e perpetuata a sé stante.

È immorale chiedere ai paesi non europei di svuotarsi di forze umane per fare i lavori che noi italiani giovani non vogliamo più fare come schiavi e di contribuire a un supposto “melting pot” moralmente superiore secondo certe persone.

Mescolanza, comunque, che nella maggior parte dei casi non avviene e non avverrà; si formeranno varie comunità etniche trapiantate, vicinanti i quartieri italiani spopolati, sempre più ansiosi di essere “sostituiti”.

Per il momento ritengo l’attuale legge per l’ottenimento della cittadinanza equilibrata, rendendo magari più facile la sua acquisizione per i residenti provenienti da paesi europei ritenuti “vicini” geograficamente e culturalmente all’Italia (paesi romanzi, Grecia, Cipro, Albania ed ex-Jugoslavia) creando così un passaggio precedente a quello per i cittadini UE.

Nel dibattito sull’allargare l’acquisizione della cittadinanza, una risposta frequentemente fornita a chi si oppone a ius soli e ius scholae è la mancanza di conoscenze della lingua italiana degli oriundi nordamericani e sudamericani che vorrebbero tornare in Italia, rispetto a chi i suoi studi li ha sempre fatti nel nostro paese ma ha genitori stranieri. Ciò è vero ma il fine di tale affermazione è uno snaturamento del principio di cittadinanza, nella speranza di rialzare i numeri del censimento.

Sarei a favore di un criterio più ristretto per assegnare in tempi brevi la cittadinanza a chi, proveniente dall’estero, ha antenati italiani ma ha perso ogni collegamento memoriale con essi.

Mi limiterei così ai loro genitori e nonni per valutare l’assegnazione in tempi ridotti della documentazione e ponendo il resto dei richiedenti nei dieci anni richiesti dalla legislazione attuale per i residenti provenienti da paesi extra europei.

Sarei per mantenere la richiesta della cittadinanza da parte degli studenti dopo la maggiore età e il conseguimento del diploma. La cittadinanza è qualcosa che deve essere voluta con coscienza, sia dai residenti con antenati italiani sia da quelli con antenati stranieri.

Per scremare il lavoro dell’accoglienza sarei per limitare l’utilizzo del sistema postale per inviare soldi all’estero e rivalutare la residenza dei lavoratori stagionali in regola e dei loro figli con un equivalente della “green card” americana. Infine, sarei per richiedere il possesso di una sola cittadinanza per ogni residente italiano, rinunciando a quella di provenienza o di acquisizione.

Conclusioni

Anche se fosse possibile invertire la tendenza entro la metà di questo secolo, non propongo una politica demografica espansiva ma equilibrata, cioè raggiungere il livello di sostituzione generazionale di due figli per coppia abile in media. Fertilità e redistribuzione del benessere sono due variabili inversamente proporzionali. In Cina la “politica del figlio unico” (tra tante revisioni e zone d’ombra) ha permesso di raggiungere un equilibrio tra crescita e ricchezza.

Ci sono delle minoranze etniche che hanno bisogno di una particolare cura per recuperare i loro numeri e aumentarli, progressivamente formando territori amministrativi coesi: gli occitani, i ladini, i cimbri, i friulani, i sabini, gli albanesi greco-cattolici, i greco-bizantini, i siculi, i corsi, i catalani e infine i sardi.

Molti comuni perderanno senso di esistere e sarà necessaria una semplificazione e una rifondazione urbana pari all’Antica Roma e all’Età Medievale. Se la popolazione italiana dovesse scendere a 45 milioni di persone, se saranno quarantacinque milioni di italiani validi, si potrà ricostruire tutto, come abbiamo già fatto più volte nel corso della storia.