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Di Niccolò Alfieri

Scrive Federico Nietzsche nella sua opera L’Anticristo: «Ovunque diminuisca in qualche modo, la volontà di potenza, c’è anche un regresso fisiologico e una decadenza». Il declino della modernità corrisponde in ultima analisi all’indebolimento e allo svigorimento del tipo umano, nel complessivo deterioramento della «salute». Quest’ultima operazione giustifica sé stessa tramite un’inversione della morale, la cui misura si pone nell’equazione «malato=buono», «debole=giusto» e via discorrendo…
Dunque, tutta quella specie umana inferiore per «natura», che nell’ordine «originario» (leggasi: Greci e Romani) era relegata al grado più basso della gerarchia umana, acquisisce il dominio e produce valori, valori che presto sono imposti quali «verità» e «senso morale»: valori che s’incarnano nella debolezza, nell’«effeminatezza», nella flaccidità, nella separazione radicale e definitiva tra etica ed estetica.

Questa lunga e millenaria degenerazione mette le sue radici nel vangelo dei profeti abramitici e si propaga quale veleno spirituale in tutta la civiltà grazie al Cristianesimo, che, con la sua predicazione arrecante ai malriusciti, agli avariati fisicamente e psicologicamente, agli eccitabili, ai malati d’ogni specie, con la sua morale nemica della vita e della potenza, più di tutte è stata l’arma della «grande vendetta» perpetrata dal tipo umano «decadente». Dal Cristianesimo, presto detto, si è passati alla riforma protestante e poi, infine, ai miti liberal-democratici oggi vigenti.
Premesso ciò, passiamo al nocciolo della questione: credo che nessuno (tranne forse qualche anima piccola risentita verso la bellezza) possa negare la squallidità dello spettacolo che ha aperto le Olimpiadi di quest’anno, facendo discutere mezzo mondo. Se l’altra sera si è assistito a uno show terrificante e volgare, espressione esemplificativa della decadenza odierna e della bruttezza imperante, subito dopo si è assistito nei “media” a un dibattito contrastante in cui si confondevano linguaggi e punti di vista: tra coloro (i liberali, ovviamente) che hanno persino elogiato la pagliacciata in nome dell’inclusione e dei “diritti”, e chi (nell’ambito conservatore-cattolico) ha criticato la cerimonia per la sua natura «blasfema». In un passaggio di questa inaugurazione, in effetti, si possono osservare le grottesche veline sedersi a un tavolo in un’immagine che ricorda L’ultima cena.

Si è detto allora che quanto visto fosse «un’offesa al cristianesimo», un insulto alla «sacralità».

È forse così? Qui ci si riallaccia al discorso iniziale: paradossalmente, quella che pare essere una blasfemia dissacratoria, una scherno alla religione cristiana, è propriamente l’effetto finale del Cristianesimo tanto chiamato in causa. Sì, una sembianza secolarizzata, laica del Cristianesimo, ma essenzialmente cristiana.
È la medesima antica convinzione secondo cui il brutto, il deviato e il malriuscito rappresentino in sé il giusto, il «buono». Cambia solo la liturgia, la forma, ma il fondamento è lo stesso.
Il teatrino «woke», più che mancare di rispetto al suo antenato cristiano, manca di rispetto semmai allo spirito delle Olimpiadi, la cui origine è ellenica e, quindi, de facto opposta in ogni senso al messaggio che si è voluto mandare alla cerimonia d’apertura.
Lo ribadisco: il Cristianesimo non ha subito torti; anzi, è esattamente il Cristianesimo l’avo spirituale di tutto ciò – e non solo dell’orrida mascherata, ma di tutta la cultura «wokista», democratica, in somma – di quei tratti essenziali della «degenerazione moderna»