Di Niccolò Alfieri
Dopo aver esposto in maniera generale il rapporto tra il percorso di vita di Federico Nietzsche e il contesto storico-politico in cui esso si svolge, possiamo tirare le conclusioni per quanto riguarda la natura del suo pensiero politico.
Storia, Stato e Civiltà
Le basi che daranno forma al concetto di Eterno ritorno dell’uguale – ma forse anche le estreme conseguenze di questa visione del tempo – risiedono nell’immagine ciclica che il filosofo serba alla Storia delle società umane quale eterno cerchio fondato sul principio infinito di ordine-declino-caos-ordine, o meglio, sul periodico decadere e ricostituirsi delle civiltà. Anche Osvaldo Spengler, nel suo «Tramonto dell’occidente», arriva a conclusioni simili. Nietzsche vede nel suo presente il risultato di una crisi millenaria partita da Socrate e propagatasi fino alle Rivoluzioni borghesi e all’industrializzazione. Il «ciclo storico della decadenza» ha il suo inizio quando le grandi civiltà dell’antichità (da Atene a Roma), per Nietzsche portatrici di un ordine primordiale e naturale, quello del «più forte» sul «più debole», subiscono una «corruzione» e vanno verso il loro inesorabile declino, il quale infine conduce all’opposto caos – il mondo moderno. Se però consideriamo l’Eterno ritorno, una volta raggiunto lo stadio finale della «dissoluzione», l’Ordine andrà a ricomporsi. Ma cosa fece «decomporre» le antiche civiltà? L’inversione dei valori morali. Il «buono» dell’epoca, cioè il forte, colui con «più vita» e maggior «potere spirituale», all’apice della gerarchia, diventa il «cattivo», mentre colui con «meno vita» si fa «buono». Da qui l’origine della tragedia.1
Lo spirito tradizionale delle antiche civiltà era simboleggiato da uno Stato organico, e, ancor di più, era personificato in un tipo di uomo. La decadenza storica, e così anche politica (con Stati sempre più disgregati), si fa infine decadenza anche della pianta-uomo. Nietzsche dunque rifiuta la visione lineare dell’evoluzione, abbracciandone una «circolare». Infatti abbiamo detto che questo declino verrà arrestato, ossia, si chiuderà, e la civiltà avrà modo di riordinarsi. Per mezzo di che cosa? Una nuova aristocrazia della volontà di potenza che, dando un urto agli ultimi sbilenchi valori del mondo moderno, si ergerà a capo di un «nuovo ordine vitale», ricostruendo l’autentica civiltà e ripristinando le forme originarie dell’Essere nel mondo. Procediamo, però, a un’analisi sul ruolo dello Stato nel pensiero politico Nietzscheano: seguendo la cronologia di questo particolare arco di riflessione, abbiamo in primis un Nietzsche (fine anni 1860-1873 circa; quello della «grecità tragica» e della «Germania eletta») che auspica la formazione – in seno al Reich bismarckiano – di uno Stato al servizio della cultura, che sia, al contempo, realtà istituzionale della «missione tedesca».2
Uno Stato «al servizio della cultura», o meglio, uno Stato come «dittatura al servizio del Genio»; ma non solo: un grande ruolo, infatti, in questo modello, è affidato al «ceto militare» e alla «guerra», che insieme offrono «l’archetipo dello Stato».3 Il paradigma di partenza è quello della «statualità dorica», consacrato da Dioniso attraverso Apollo, dalla vitalità che si impone con l’ordine e l’autocontrollo. Tuttavia, come già detto, qui lo Stato non è un fine, ma un mezzo: un mezzo dello spirito e dell’Arte. Nell’Antica Grecia, idolo del giovane Nietzsche, era infatti la Kultur che comandava la politica, non il contrario. L’abbandono dei sogni ellenisti e pangermanici porta il filosofo, tuttavia, a rivalutare anche le sue posizioni politiche: la sintesi di questa metamorfosi è presente nel capitolo otto di Umano, troppo umano, «Uno sguardo allo Stato»; qui vediamo emergere il quadro nietzscheano della crisi dello Stato-nazione in Occidente. Nell’aforisma 472 Nietzsche argomenta che la democrazia moderna è «la forma storica della caduta (Verfall) dello Stato». L’affermarsi del modello politico democratico porterà il governo ad assumere la stessa posizione del popolo in materia di religione. La molteplicità delle opinioni in merito condurrà a considerare la religione come «affare privato» e sorgeranno, quindi, società che lotteranno tra di loro. Infine «la sfiducia verso qualsiasi governante, la comprensione dell’inutilità e della gravosità di queste lotte di corto respiro è destinata a spingere gli uomini a una decisione completamente nuova: all’abolizione del concetto stesso di Stato», alla soppressione dell’antitesi «privato-pubblico». Gruppi privati incorporeranno gli affari statali; persino il governare sarà compito di «imprenditori privati». Sicché «il disprezzo, la decadenza e la morte dello Stato, la liberazione della persona privata (mi guardo dal dire: dell’individuo) saranno la conseguenza dell’idea democratica dello Stato; in ciò consiste la sua missione».4
Il trionfo del privato, però, è la sfera della produzione capitalistica, della «burocrazia del profitto», del denaro, in cui la grandezza, piegata alla logica utilitaristica e alienata dalla «frenesia del lavoro»5, non ha possibilità di manifestarsi. Non c’è differenza, per Nietzsche, tra chi grida «Quanto più Stato è possibile!» e chi grida «Quanto meno Stato è possibile!» 6 ; da un lato c’è la «mediocrità burocratica» e dall’altro l’alienante sfera economica privata. Il processo di democratizzazione in atto nel mondo occidentale, così, si sviluppa contemporaneamente all’aumento degli scambi economici: ciò non appare solo disastroso agli occhi del filosofo, anzi: questa «fine» del vincolo dei «limiti nazionali» potrà dare luce a una «cultura superiore». Nietzsche inquadra un indebolimento che condurrà inevitabilmente alla distruzione delle nazioni (Vernichtung der Nationen), per lo meno di quelle europee: ne deriverà una «Mischrasse», quella dell’«uomo europeo», alla quale dovranno contribuire tutti i popoli dell’Europa.7 Agiscono contro tale processo «determinate case regnanti e determinate classi (bestimmte Klassen) del commercio e della società».8 Ma se il processo si compirà fino in fondo, la storia dell’Europa sarà davvero forse una continuazione di quella greca. Riconosciuto ciò, «bisogna dirsi francamente solo buoni Europei e contribuire con l’azione alla fusione delle nazioni»9. Arriva a propugnare, in questa fase: sul piano politico, una federazione europea in cui ogni popolo abbia l’autonomia dei cantoni svizzeri; sul piano sociale, l’eliminazione delle grosse fortune mediante un’imposta progressiva sul reddito che impedisca l’arricchimento eccessivo e favorisca un’economia prospera. Per quanto concerne la gestione del governo espone idee affini al modello «tecnocratico»: ossia, al fine di garantire l’indipendenza degli interessi personali bisognerebbe escludere dal suffragio politico i nullatenenti e i ricchi ed impedire l’organizzazione dei partiti, riservando il potere decisionale ai «competenti più specializzati».10
Nell’ultima fase, la politica non solo assume un ruolo più importante – anche perché una certa rilevanza la possedeva già -, ma piuttosto, diventa centrale in alcuni notevoli concetti. La visione che conduce all’archetipo del Superuomo (1882-1888) è collegata alla nozione di «grande politica» e al progetto di un’unione dell’Europa. In questo periodo, Nietzsche arriva ad auspicare il «crollo rivoluzionario di tutta» la «civiltà»11 , cosicché le «nature forti» possano imporre il loro comando nell’anarchia. Che ruolo ha lo Stato in questo caso? Sempre il ruolo di mezzo, di strumento (apollineo) perché il dionisiaco si inneschi, perché i nuovi aristocratici acquisiscano il dominio. In ciò, vi è un’affinità con la concezione marxista-leninista di Stato, quale mezzo di una classe per elevarsi e sovvertire l’altra. Il punto d’approdo della riflessione di Nietzsche sull’argomento si palesa: lo Stato è il mezzo della volontà di potenza sul piano politico; la vita dello Stato che Nietzsche preconizza invece consiste nel rapporto gerarchico «fra coloro che comandano e coloro che sono comandati» (Führer und Geführtem).12 Questa forma politica è organica, rinsalda la civiltà e la gerarchia (Rangordnung) sulla natura: il posto nella scala del comando e dell’obbedienza misurato secondo l’essere di ciascuno, nel quale il grado non è sinonimo di utilità economica quanto di volontà di potenza. Ecco, allora, profilarsi una teoria aristocratica dello Stato.
Stato, che abbiamo detto essere strumento, non fine, con il quale allevare un tipo umano superiore; quest’ultimo sarà frutto del sentimento collettivo della totalità, di tutto l’ordinamento sociale. Se Nietzsche crede che ogni modello politico, e ogni civiltà, dia alla luce in ultima analisi una razza d’uomo, allora lo Stato deve dapprima diventare idolo nel processo di «costruzione» del Superuomo, e poi questi prenderà il sopravvento distruggendo gli ultimi rimasugli della forma statuale13 — di nuovo assonanze con la teoria marxista-leninista. Dunque, abbiamo il paradigma teorico della Grande Politica, ma non il mezzo pratico che potrà realizzarla. Il nuovo partito della vita In virtù di ciò, sempre sul finire della sua produzione filosofica, Nietzsche esprime l’aspirazione a fondare o a contribuire a «fondare un partito della vita» ovvero un «nuovo partito della vita», chiamato a condurre sino in fondo la lotta contro la «decadenza democratica» e guidare l’avvento della «superumanità».14 «Prima proposizione: creare un partito della vita abbastanza forte per realizzare la grande politica. Seconda proposizione. La grande politica vuole affermare la fisiologia sopra tutti gli altri problemi; vuole creare una potenza abbastanza forte per allevare l’umanità come un tutto superiore, con spietata durezza contro la degenerazione e il parassitismo della vita – contro ciò che corrompe, avvelena, calunnia, manda in rovina . . . e nella distruzione della vita scorge il contrassegno di una specie di anime superiore.
Terza proposizione. Il resto segue da quanto precede»15
Il nuovo «partito», del movimento rivoluzionario, farà propria la spregiudicatezza, lo spirito di lotta, l’avversione ai valori borghesi «filistei» e il radicalismo. Inoltre, Nietzsche dichiara in Ecce homo: «Non possiamo essere altro che rivoluzionari». 16 Emersa già negli appunti preparatori della terza Inattuale, l’aspirazione ad assimilare dal movimento socialista, oltre a quanto detto, anche la bandiera della rivoluzione, diviene un tratto caratteristico del nuovo partito. S’impone così una rottura col passato. Il nuovo schieramento è anti-democratico, anti-borghese, al di là dell’individualismo e del socialismo; non ha nulla a che vedere col tradizionalismo «plebeo», lo sciovinismo e il conservatorismo «clericaleggiante». 17 I soldati del partito sono chiamati alla «durezza e al vigore verso sé stessi»18, alla «fierezza» (Stolz) e alla lotta più radicale. Il nemico è la decadenza, il nichilismo, e l’esemplificazione di questi è la rozza borghesia al comando, «gli industriali grassocci dalla famigerata volgarità»19 con cui il radicalismo aristocratico «non ha nulla a che fare». Qui un piccolo inciso: l’avversione allo «spirito borghese» è un continuum dell’opera nietzscheana, fin dagli inizi: la causa principale di questa inimicizia è che, per il filosofo, la borghesia europea del diciannovesimo secolo esemplifica il modello della «putrida classe dominante corrotta»20 , e la sua «ideologia capitalistica», invece, viene considerata una «volgarità aberrante»21.
Smisurato è il disprezzo di Nietzsche per lo «spirito del commercio come spirito dell’epoca».22 La borghesia, così come la «grande massa», è appunto mediocre, interiormente povera e vuota, ma soprattutto è pavida, non in grado di designare grandi prospettive e di correre grandi rischi. E per questo, dagli spiriti più puri, più alti, più «ricchi» spiritualmente, emergerà l’embrione del movimento allo stesso tempo sovvertitore e ordinatore finalmente capace di colpire e cambiare radicalmente l’Europa. «Io mi rallegro del progresso militarista dell’Europa e anche delle condizioni d’anarchia : il tempo della quiete e del Chinesismo che il Galiani predisse per questo secolo, è passato. L’abilità personale e virile, la robustezza corporea ritornano in valore, le valutazioni diventano più fisiche, i nutrimenti più carnivori. Diventano di nuovo possibili degli uomini belli. La pallida ipocrisia (con mandarini alla testa come sognò il Comte) è passata. Il barbaro e anche l’animale selvaggio è affermato in ognuno di noi»23 E quali saranno i mezzi con cui il nuovo sistema politico potrà davvero «agire quale educatore», contrastando la modernità decadente ed effemminata?
«1) Il servizio militare obbligatorio con delle vere guerre che fanno cessare ogni scherzo.
2) La ristrettezza nazionale (che semplifica e concentra);
3) Una nutrizione migliore (carne).
4) La pulizia crescente e la salubrità delle abitazioni.
5) Il predominio della fisiologia sulla teologia, la morale, l’economia e la politica.
6) La severità militare nelle esigenze e nella pratica dei suoi « doveri » (non si loda più….)»24
Permangono ancora alcuni nemici all’affermazione della Grosse Politik: fra gli altri, il «piccolo spirito inglese» (England’s Klein-geisterei)25 – o meglio, il modo di produzione capitalistico – e quindi, gli stessi schemi utilitaristici (anch’essi di origine «albionica») con cui si profila un’«avvenire americano»26, eventualità da lui definita «pericolo mortale»; e il nazionalismo, «piccolo nazionalismo», che impedisce l’accorpamento dell’Europa sotto il regime degli spiriti più alti. «Questo stato assurdo dell’Europa non può durare più a lungo! Esiste qualche pensiero dietro questo nazionalismo da bestia cornuta? [..] La lotta per la supremazia in mezzo a condizioni che non valgono nulla: questa civiltà delle grandi città, dei giornali, della febbre e dell’«inutilità». L’unificazione economica dell’Europa si realizzerà inevitabilmente e, con questa, il partito della guerra» Sintesi del Nietzsche politico L’interesse sul nesso tra filosofia e politica nel pensiero di Nietzsche si è fatto, negli ultimi anni, particolarmente consueto.
Ciò non a sproposito: un pensatore così impegnato nella critica della civiltà, e nell’augurio della nascita di nuovi valori, non può che essere radicalmente politico. Ma una tale denominazione può essere comprovata solo dalla bilancia tra contestualizzazione storica e ricostruzione della doctrina.
Testimone della crisi degli Stati-nazione, del dirompente evolversi del capitalismo, della modernità sempre più decadente, Nietzsche è anche il teorico di un Kulturstaat sul modello greco dapprima, e di uno Stato organico volto all’allevamento di uomini superiori poi. Per poter definire concisamente la dottrina politica del filosofo tedesco bisogna tenere conto principalmente del suo stadio più maturo – quello della Grosse Politik. Innanzitutto, qui, la politica si fa pura volontà di potenza, conflittualità e contraddizione tra forze opposte. In secondo luogo, essa diviene organo degli istinti di una classe: c’è una politica delle «classi ascendenti» e una politica delle «classi decadenti». Il Nietzsche maturo è avverso, si è visto: al sistema democratico, in quanto i «naturali differenti gradi di potenza»27 sono ignorati in vista di una «immaginaria uguaglianza dei diritti e dei suffragi»28; al «liberalismo», sinonimo di «imbestiamento da gregge dell’umanità», espressione ideologica del «mercantilismo» e dell’«utilitarismo»; al «conservatorismo», vacuo filisteismo tipico delle borghesie; al socialismo (di cui non risparmia elogi) 29, in sua opinione «idealistico» ed «egualitario» 30; al nazionalismo, nemico dell’unità europea ed «egoismo delle masse».31 Il fine della sua azione è la creazione di un tipo umano superiore, perciò designa una politica gerarchica, ispirata ad exemplum dal sistema delle caste indù, in cui i singoli vengono separati in base alla loro potenza e al loro essere.
Una volta realizzati nel loro potenziale, essi debbono essere dispiegati al massimo nell’ammastramento del Superuomo: solo così ognuno potrà obbedire alla propria natura. In tal senso, utilizzando il linguaggio delle caste induiste (ben conosciuto e approfondito dal filosofo), al vertice della Varna (gerarchia delle caste) ci saranno gli Kshatryia (guerrieri), come «ceto medio» i Sudras (servi, lavoratori), i quali possederanno la «decisione politica»; la classe dei brahmana (sacerdoti, preti) sarà invece relegata al rango dei «parìa», in quanto «calunniatrice della vita». Infine, gli elementi dapprima segregati alla base della piramide, le classi «screditate», ora ascenderanno a un ruolo più alto (Nietzsche fa l’esempio dei «bestemmiatori», degli «immoralisti» e degli «ebrei»).32 Nietzsche vuole restaurare quindi una legge della vita, una gerarchia della potenza che sia in grado di andare oltre (e contro) il dominante nichilismo passivo.
Ricordiamoci: «la politica è l’organo del pensiero nella sua totalità».33 Oggigiorno, quando la «situazione» descritta dal pensatore di Röcken un secolo e mezzo orsono si è realizzata in modo più concreto e drammatico, quando il «nihil» si è fatto mano a mano più avvilente e il mondo sempre più «vasto» (Vastus: vuoto, desolato), si avverte ancora di più la necessità in primis di una «filosofia della forza» quale quella di Federico Nietzsche, e in secondo luogo anche di una «Grande Politica» che sappia essere rivolta e azione contro la conformità e la decadenza della società borghese. Perché è l’ora che il pensiero non si occupi più di interpretare il mondo, ma che tenti di cambiarlo.
Note:
- Genealogia della morale
- Frammenti postumi 1869-1874
- Lo Stato dei Greci
- Umano, troppo umano
- Aurora
- Umano. troppo umano
- Umano. troppo umano
- Umano. troppo umano
- Umano. troppo umano
- Il viandante e la sua ombra
- La volontà di potenza
- La volontà di potenza
- Stato e politica di Nietzsche (F. Ingravalle)
- Frammenti postumi 1888-1889
- Frammenti postumi 1888-1889
- Ecce Homo
- Epistolario 1885-1889
- La volontà di potenza
- Frammenti postumi 1886-1887
- La volontà di potenza
- Considerazioni finali
- Sull’utilità e il danno della storia per la vita
- La volontà di potenza
- La volontà di potenza
- Frammenti postumi 1886-1887
- Frammenti postumi 1886-1887
- La volontà di potenza
- Aldilà del bene e del male
- La volontà di potenza
- La volontà di potenza
- Frammenti postumi 1888-1889
- La volontà di potenza
- Sul pathos della verità