Di Marco Fabbri, seguono due brevi comunicati
Purtroppo ci risiamo. Come nel precedente articolo in occasione della scorsa tragedia: il sistema di protezione civile ha fatto falla.
I motivi sono sempre quei tre:
- mancanza di un corpo specializzato nella difesa civile e frammentazione del mondo
volontaristico; - mancanza di un’organizzazione centrale che coordini la macchina dei soccorsi a
causa del decentramento amministrativo; - mancanza di personale specializzato poiché dislocato in dubbie e controverse missioni
di pace;
Al primo punto già mi soffermai nel precedente articolo. Manca un vero e proprio esercito
civile. Una forza di difesa civile con tanto di caserme, strumenti, mezzi, gerarchia,
organigramma e reparti (sezione alluvione, smottamenti, terremoti, eruzioni vulcaniche
ecc.). Impossibile crearlo ora come ora vista la sudditanza militare ed economica verso
l’impero tumorale americano e la sua dependance oltre oceano chiamata Unione Europea.
Ogni tentativo vagamente patriottico con risvolti sociali è ostracizzato e soffocato dagli
americani e dai suoi sgherri europeisti.
Se una forza sindacalista rivoluzionaria, patriottica e socialista come il SOCIT dovesse
prendere il potere nella sgangherata repubblica oligarchica liberale; ha il dovere morale di
costituire tale corpo, che sarebbe a quel punto ben più vasto del progetto di protezione civile interna che le istituzioni ci hanno tanto ostracizzato. Ed istituendolo deve pensare a creare un sistema di reclutamento che non si basi solo su un semplice contratto di lavoro, come purtroppo si sono ridotte le nostre forze armate. Ma su un sistema di leva come erano strutturate le nostre forze armate prima
dell’abolizione della coscrizione obbligatoria. Solo così avremo dei cittadini che hanno bene
in mente cosa vuol dire appartenere ad una Repubblica.
Discorso a parte va fatto per il mondo volontaristico. Nella Cuba socialista di Castro è più
facile fondare un associazione volontaristica di protezione civile che protegge dai frequenti
uragani e maremoti, che bere un bicchiere d’acqua. Mentre in Italia fondare
un’organizzazione per tale scopo è praticamente un inno alla burocrazia ed alla lentezza. Ed
una volta organizzata, qualora non si sia morti di vecchiaia, scatta il calvario delle
attrezzature da trovare e dei mezzi. Ed in piena emergenza si aggiunge la difficoltà di
trovare coordinamento con la frammentata gestione comunale, visto che i sindaci sono i
responsabili della protezione civile. Ma di questo ne parleremo a breve.
Anche il secondo punto era già stato affrontato a suo tempo nel primo articolo. Ormai è
appurato che la devoluzione amministrativa e le continue deleghe alle regioni hanno fatto
soltanto danni. La cosiddetta “devolution”, tanto cara alla cricca liberal-federalista, è la
trasposizione in chiave amministrativa del liberismo in economia.
Come lo stato liberale in economia delega tutto al mercato ed alla finanza, allo stesso modo
nella politica amministrativa delega ad entità atte a sgravarlo da responsabilità e doveri.
Anche in materia di protezione civile.
Per questo, chi si dichiara socialista, ha il dovere morale di impegnarsi nello smantellamento
di questi enti, anacronistici, goffi e dannosi che rispondono al nome di regione. Ed anche la
delega ai sindaci di “comandante in capo della protezione civile locale” puzza fortemente di
laissez-faire da parte dello stato nei confronti delle calamità naturali. Si ridia centralità alla
figura della prefettura e gli uffici territoriali governativi provinciali tirino fuori gli attributi.
Impegnandosi a coordinare sia la macchina dei soccorsi, che quella del mondo dei volontari.
In ultima analisi vorrei spendere due parole sullo stato delle nostre Forze Armate e del ruolo
che hanno in questa vicenda. So che sarebbero anche intervenute al principio della tragedia
e non 48 ore dopo, se chi gestisce l’impianto regionale non fosse stato troppo impegnato ad
osservare il volteggiare dei koala volanti; ma si sa, purtroppo devono rispettare una
determinata catena di comando. Ma quello che manca non è la qualità del nostro esercito
nelle catastrofi naturali, ma bensì la quantità.
Ad oggi abbiamo circa 15.000 militari italiani a zonzo tra Africa, Medio Oriente ed Asia,
per parare le terga alle avventure coloniali dello Zio Sam. Sarebbe più opportuno ritirare
immediatamente questi contingenti, che non fanno altro che avvalorare la causa imperialista
anglosassone ed impiegarle per difendere i cittadini italiani dalle insidie dello stesso
territorio che abitano. Unica eccezione il piccolo contingente in Antartide. Poiché il
continente dei ghiacci non è soggetto a spartizioni coloniali ma solo a scopo scientifico. E
perché, come raccontato da chi ha lavorato nelle missioni civili al Polo Sud, durante il
periodo dei sei mesi di notte, qualcuno… “strippa” (se vogliamo utilizzare un termine da
generazione Z). Quindi è sacrosanto avere degli esperti nel mantenimento della sicurezza.
In definitiva, trovando un soluzione ai 3 punti elencati sopra:
- Si costituisca un corpo di difesa civile nazionale di leva. Si dia a chi
volontaristicamente vuole proteggere il territorio nazionale, la possibilità di
organizzarsi senza lacci burocratici e la possibilità di accedere ad adeguati mezzi per
la protezione civile. - Si smantelli l’istituto regionale in quanto solo fonte di grane nella gestione del
territorio e dannoso per la gestione del territorio oltre che dell’economia (ma questa è
un’altra storia da approfondire), ridando maggiori competenze all’istituto prefettizio. - Si ritiri immediatamente ogni singolo soldato che sta operando nel nome del
colonialismo liberale di matrice anglosassone e lo impieghi nell’immediato intervento per la
difesa dei cittadini della Repubblica, sulla quale hanno prestato giuramento.
In merito alle accuse di sciacallaggio ricevute dai volontari
Il fango spalato non è nulla in confronto al “fango” che stanno ricevendo addosso i volontari. Già dall’alto degli scranni delle istituzioni si blatera di “sciacallaggio” in riferimento agli interventi, peccato che quello sia stato realizzato proprio dagli accusatori, adagiati nell’inazione.
Il principale punto di stoccaggio e coordinamento a Campi Bisenzio è stato proprio lo stabilimento che le istituzioni volevano sgomberare, l’ex Gkn, ed “Insorgiamo” si è elevato a grido di una rivincita anche contro le calamità.
Un grazie a tutti i volontari, i nostri del SOCIT come gli altri di molte altre organizzazioni, per aver ricordato con le vanghe in pugno cosa sia la solidarietà.
In merito all’emergenza e al blocco burocratico
Ci uniamo al coro degli scontenti, degli arrabbiati. Di quelli che si sono visti portare via la vita, metaforicamente ma purtroppo in alcuni casi anche letteralmente, da una mala gestione che adesso prova a trovare un principale capro espiatorio nel cambiamento climatico. Chi si sia mangiato i fondi dei vari consorzi di bonifica, invece, non se lo chiede nessuno.
Ci uniamo con molto rancore, visto che avremmo voluto fare di più. Avevamo pianificato dall’anno precedente una struttura apposita per queste situazioni (vedi Presentazione ODV), e molte altre, in cui la solidarietà proletaria si fa necessità. Ed invece, come molti altri, ci è toccato organizzarci come capita, con quel che abbiamo potuto reperire, perché di lasciarci costituire delle squadre per questi casi proprio non gli va giù.
Ci limitiamo alle foto dalla stampa, non c’è nulla da pubblicizzare. Ci sono volontari, nostri come altri, senza squadra e senza assicurazioni che mettono l’idea davanti all’incolumità, che finita l’emergenza torneranno senza pretese, encomi o rimborsi a fare i lavoratori e gli studenti. Ci sono borghesi, invece, che hanno preferito farcirsi le tasche al posto di mettere in sicurezza e che si sfoggiano in foto dai caldi uffici, emozionandosi come bambini per telefonate di elementi vetusti tanto quanto loro, e ciò, lo sciacallaggio, non lo dimenticheremo.