La celebre frase, poi diventata motto, con cui le formazioni di arditi reduci dalla prima guerra mondiale risposero, sotto forma di articolo, all’accorata e melensa richiesta dello Stato Maggiore del Regio Esercito di prendere parte a funzioni di polizia militare, nell’ambito della repressione degli scioperi del periodo. Conoscenza diffusa è che poi gli arditi presero strade diametralmente diverse, fra le varie formazioni, nell’ordine, quelle fiumane e futuriste, quelle anarchiche, quelle socialiste, ed infine quelle fasciste e quelle comuniste. La massima espressione castrense dell’esercito, insomma, si trasformò in un archetipo di soldato politico, che si trovò nelle sue componenti ad occupare Fiume per farvi un esperimento libertario e sindacalista sotto le formazioni futuriste e dannunziane, a fare le barricate a Parma sotto la Legione Proletaria Filippo Corridoni contro i fascisti, a fare invece azioni di repressione contro i moti operai sotto i Fasci di Combattimento. Strade insomma opposte, che riassumono capitoli eroici e tragici della nostra storia.
La nostra massima ispirazione ed esempio attuale restano le formazioni degli Arditi del Popolo, da cui ogni militante socialista degno di questo nome dovrebbe trarre insegnamento, sia per la capacità d’azione immediata, “Da nulla sorgemmo” verità storica assoluta oltre che motto ispirato, sia per la capacità di unire varie correnti socialiste al suo interno, senza lasciare da parte la fermezza nella lotta proletaria e nell’amor patrio.
Storia di un Corpo atipico
Le formazioni militari di arditi nascono dall’esigenza del Regio Esercito di smuovere le azioni di trincea, con unità d’assalto che devono solamente la loro concezione al corrispettivo austro-germanico dello “stoßtrupp”, avendo un addestramento ben diverso: se infatti l'”ardito” degli imperi centrali era un’unità prettamente d’assalto, le formazioni di arditi del Regio avranno un addestramento anche in ambito di corpo a corpo, incursione ed infiltrazione dietro le linee nemiche, assalti anfibi (i “Caimani del Piave”), ed anche raccolta di informazioni. Tutto ciò si rivelerà cruciale sia nel risultato sul campo, sia nella fase successiva alla guerra e nella lotta politica, nonché nella fase successiva al ’43, in cui diverse formazioni partigiane attinsero a conoscenze di questo tipo, così come fu fatto dalle formazioni repubblichine. Le fiamme al bavero, di diverso colore, corrispondevano ai reparti di appartenenza: fiamme rosse per i Bersaglieri, nere per la Fanteria (riprese poi dai fascisti), verdi per gli alpini (riprese dalle omonime brigate partigiane).
Anche la simbologia fu atipica, considerando che il Regio Esercito utilizzava generalmente con intento militarista simboli altrettanto generalmente considerati di buon auspicio. Il teschio con il pugnale fra i denti, con la fronte cinta da alloro e quercia, su prevalenza di nero, risultò di impatto. Il motto “A chi sarà sempre riservata la gloria e la gioia di osare l’impossibile? A noi!”, ed in sua forma abbreviata solamente nell’ultima esternazione rimase in uso, assieme alla prevalenza del nero ed alla simbologia, anche negli Arditi del Popolo (in cui veniva detto a pugno chiuso anziché mano tesa). Vi furono alcune formazioni che tinsero occhi e pugnale, in alcuni casi tutto il teschio, di cremisi, mentre vi sono poche informazioni, se non solamente circoscritte alla formazione di Civitavecchia, con una totale variazione nella simbologia: un fascio tranciato da un colpo di scure.
Arditismo da un punto di vista filosofico
Il tempo in cui visse l’ardito, da un punto di vista filosofico, era come quello del giorno d’oggi, seppur di minore entità: una ridda orgiastica di speranze, di visioni, di gravi insicurezze che si esauriscono con immediate e successive grandi sicurezze, e viceversa, poiché, come per ogni “età oscura” (più spesso conosciuta dalle filosofie orientali come “kali yuga”, ovvero una simbolica fine di un’era, battezzata da grande distruzione), è facile trovare sprazzi di verità assoluta riconducibili ad una “età dell’oro”, o un saturnalia, ed è facile avvertire un’imminente e struggente fine delle cose: quanto materiale, quanto della loro purezza, della loro naturalità.
Sia chiaro: non è detto che l’uomo debba necessariamente entrare nella macchina della storia secondo la concezione hegeliana di contrapposizione fra tesi ed antitesi, anche se intendibile in questo caso anche come ciclica vista la ripetizione, ma, questa volta, è successo (seppur con eccezioni geografiche e temporali), a causa di una sempre maggiore lusinga dell’oro sul sangue, del desiderio materiale contrapposto al benessere, che ci ha condotti fino al giorno d’oggi.
Ecco: in questa confusione, in questa depressione, crisi, dalle trincee, si è elevato, scagliandosi con anima e corpo, l’ardito, bozza di verità assoluta, archetipo di soldato politico e massimo militante della causa.
L’ardito, per natura della guerra (della responsabilità e della fatica massime), e per essere soldato scelto anche in base a qualità morali oltre che castrensi, mitologicamente racchiuse nel dio della guerra Marte Ultore, rappresentò una forza primitiva e soave, che, poteva essere definita aristocratica: non solo perché superiore, in tutto, alle altre forze in campo, ma per principio, come valore assoluto.
A conferma di tale valore, si può osservare l’inno degli arditi, che, carico di dinamismo, è colmo di richiami: alla Patria, alla storia di quest’ultima, ad una forte volontà personale, alle armi, e al suo colore, cioè il nero (massima espressione di lotta, in quanto colore cupo per eccellenza, sicché il più accostabile alla morte, intesa come fine di tutto) espresso attraverso fiamme, simbolo di: calore, vita, e volontà abnegata.
Dunque, la fiamma, è simbolo di imperitura vita, ma accettando in pieno la lotta, fino, nel caso, all’oblìo di anima e corpo.
E, sempre a conferma della stessa tesi, è d’importante peso il motto degli arditi citato in precedenza.
In definitiva, l’ardito, la cui natura è chiaramente panteistica e superomistica, nonché di matrice italica, sebbene sia stato rappresentato da molteplici uomini e da più casi (seppur uniti da comun denominatore possente), può aver rappresentato, anche per un solo istante, il rinascimento gentile d’Italia, ed è per questo che, pocanzi, è stato definito “bozza di verità assoluta”.
Si può concludere asserendo che, la parte eterea dell’archetipo dell’ardito, si palesò, fisicamente, come militare, ma la cui essenza è metafisica ed antistorica, in quanto: panteistica, superomistica e spersonalizzata, ancora più pura del milite romano d’ispirazione catoniana.