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Di Paolo Ciardullo

Uno degli aspetti, su cui gli anti-socialisti e i detrattori di Stalin d’ogni genere hanno posto l’accento, riguarda la questione della presunta tendenza, intrinseca al marxismo rivoluzionario, di sfociare nel burocratismo, ove vi sarebbe una netta distinzione fra i governanti e governati.

È da segnalare, però, che la critica in questione affonda le sue radici in tempi anteriori e che essa vede come primo bersaglio Lenin.

Infatti Trockij già nel 1904 criticò la concezione leninista del partito ed ebbe a dire che Lenin fosse un «feticista dell’organizzazione», un «dittatore che voleva sostituirsi al Comitato Centrale», un «dittatore che voleva instaurare la dittatura sul proletariato», per il quale «qualsiasi interferenza di elementi che pensano diversamente è un fenomeno patologico».

Anche i “socialisti rivoluzionari” e i menscevichi attaccarono Lenin e i bolscevichi sulla questione burocratica. I primi li accusarono di «non portare la pace, ma la schiavitù», mentre i secondi parlavano di «dittatura bolscevica», di «regime arbitrario, terrorista», di «aristocrazia bolscevica». Su quest’ultimo aspetto, tra l’altro, si focalizzò anche il rinnegato Kautsky, accusando i comunisti di aver creato una nuova casta al di sopra del popolo.

Fa sorridere che tali critiche si fossero palesate poco dopo la rivoluzione d’Ottobre o addirittura, come nel caso di Trockij, in seguito alla scissione fra bolscevichi e menscevichi. Tutto questo senza che, quindi, vi fosse l’ombra dello “stalinismo”.

La critica a Stalin per ciò che concerne il burocratismo si fa addirittura più serrata e più calunniosa.

Fu Leon Trockij a coniare per primo la locuzione di «burocrazia staliniana» e fu persino tra i primi a parlare della presunta contiguità fra lo “stalinismo” e il fascismo, classificando l’Unione sovietica come «degenerazione burocratica dello Stato operaio». Addirittura egli parlò del fatto che in URSS si fosse creata una cricca che viveva come la borghesia degli Stati Uniti! Serrarens, il principale ideologo dell’anticomunismo nel sindacalismo cristiano, a tal proposito ebbe a dire: «Grazie a Stalin, ci sono di nuovo delle “classi” di persone ricche». «Proprio come nella società capitalista, l’élite è ricompensata in denaro e potere. È ciò che “Force Ouvrière” chiama una “aristocrazia sovietica”. Questo periodico la paragona all’aristocrazia creata da Napoleone».

In queste due considerazioni si possono trovare incredibili assonanze e desta curiosità che un anticomunista e un “comunista” si trovino sulla stessa lunghezza d’onda.

Trockij, inoltre, arrivò a giustificare, pur non incitandoli direttamente, atti terroristici contro la Direzione del Partito ed auspicò una «rivoluzione sociale» per assolvere a tale funzione, quando la Seconda guerra mondiale era alle porte!

Tornando all’analisi della questione centrale dell’articolo, effettivamente in Unione sovietica esisteva un problema legato alla burocrazia. Infatti molti opportunisti si inserirono ai livelli intermedi del Partito e negli apparati delle Repubbliche. Questo fenomeno riguardava eminentemente i luoghi rurali, giacché il Partito, tra il 1928 e il 1933, aveva attecchito poco lì. Tale situazione garantiva, quindi, ai kulaki di poter egemonizzare il mondo rurale, dando luogo al formarsi della cancrena burocratica.

In una direttiva del 1928 Stalin ebbe a dire: «Come spiegare questi casi scandalosi di decadenza e di degenerazione morale? In questi si è spinto il monopolio del Partito all’assurdo, si è soffocata la voce delle masse, eliminata la democrazia interna e incoraggiato il burocratismo. Il solo rimedio contro questo male è organizzare il controllo del Partito da parte delle masse, a partire dalla base, sviluppare la democrazia all’interno del Partito. Non c’è nulla da ridere, quando la collera delle masse del Partito prende di mira questi elementi privi di morale e quando le masse hanno la possibilità di mandare al diavolo questi elementi. […] Si parla della critica dall’alto, critica da parte dell’Ispezione operaia e contadina, da parte del Comitato Centrale del Partito. Tutto ciò è un bene, evidentemente. Ma la cosa più importante è ora suscitare una grande ondata di critica dalla base contro il burocratismo in generale e contro gli errori nel nostro lavoro in particolare. […] (Solamente così) si potranno ottenere dei successi nella lotta e realizzare l’eliminazione del burocratismo».

Da questa direttiva è chiaro che per Iosif Stalin la tendenza burocratica fosse un male da estirpare, per poter realizzare realmente la dittatura del proletariato.

Il Partito naturalmente non condannò solo su lettera morta la tendenza burocratica, ma mise in atto importanti misure per prevenirla.

Anzitutto Stalin e la direzione del Partito cercarono di migliorare l’educazione politica delle masse e, a tal fine, crearono, all’inizio degli anni Trenta, delle scuole di Partito. Grazie a questi sforzi il numero di questi corsi passò, tra il 1930 e il 1933, da 52000 a più di 200000 e il numero di studenti da un milione a 4,5 milioni.

In secondo luogo si cominciarono a svolgere delle epurazioni, in modo da eliminare dal partito gente corrotta e carrierista o coloro che un tempo erano stati kulaki, ufficiali bianchi e contro-rivoluzionari.

La prima epurazione fu condotta nel 1929 e vide espulso l’11% degli aderenti. Nel 1933 vi fu una nuova campagna di epurazione che durò più del previsto, per via dell’azione danneggiatrice dei burocrati locali, i quali non facevano alcunché, per assolvere ai loro doveri, o, ancor peggio, espellevano membri del partito senza alcun motivo apparente. Alla fine risultò che il 18% dei membri fu escluso.

La più grande iniziativa per risolvere il problema, però, fu presa in considerazione nel febbraio del 1937 in un Plenum del Comitato Centrale, ove si discusse del problema della democrazia in seno al Partito e del burocratismo. In particolare Stalin e Zdanov si focalizzarono sullo sviluppo della critica e dell’autocritica e sulla necessità per i quadri di sottoporre dei resoconti alla base.

Per la prima volta si decise di organizzare elezioni a votazione segreta nel Partito con più candidati e dopo una discussione pubblica su ogni candidatura. Nonostante, dopo le elezioni, vi fu un certo grado di rinnovamento nei comitati locali, nelle Regioni, sin dall’inizio degli anni Venti, si erano saldamente insediati degli individui e dei clan, i quali chiaramente operavano in opposizione al Partito e al socialismo. Uno di questi fu Rumjancev, il segretario del Comitato del Partito della Regione occidentale, il quale esercitava il suo potere in maniera personalistica. Un altro personaggio simile è Kabakov, il primo segretario del Partito Comunista della regione degli Urali, che ricopriva questa carica sin dal 1922 ed era considerato talmente potente che lo chiamavano “il viceré bolscevico degli Urali”. Sotto il suo governo la regione degli Urali, una delle regioni minerarie più ricche della Russia e che aveva ricevuto ingenti fondi per sfruttarne i giacimenti, non aveva mai prodotto ciò che avrebbe dovuto. Infatti Kabakov fu responsabile del cosiddetto sabotaggio negli Urali.

Lo stesso fatto si verificò nelle grandi città. In particolare Krinickij, il primo segretario di Saratov, aspramente criticato dalla stampa di Partito, riuscì lo stesso a farsi eleggere nuovamente.

Per fortuna questi individui saranno fatti fuori giustamente con le Grandi Purghe, le quali risolsero di fatto, fra le altre cose, anche il problema burocratico. Eppure il falsario Chruscev, nel suo “Rapporto segreto” del 1956, prese le difese dei vari burocrati fatti fuori e, in particolare, del già citato precedentemente Kabakov. Il revisionista e traditore Chruscev sottolineò che quest’ultimo fosse un esempio di dirigente meritevole, «iscritto al Partito dal 1914» e vittima «di repressioni che non si basavano su nulla di tangibile».

Nonostante tutto questo, in seguito alla grande vittoria nella Grande Guerra Patriottica, il problema burocratico cominciò a ripresentarsi.

Malenkov, nel suo rapporto principale, durante il XIX congresso del PCUS nel 1952, criticò l’atteggiamento dei pubblici funzionari e dei quadri, i quali si arricchivano illecitamente, esercitavano il loro potere senza rendere conto delle loro azioni alle base, rifiutavano la critica e non si impegnavano nell’educazione ideologica. Nel Plenum che seguì il congresso Stalin fu ancora più duro e rivolse le sue critiche anche ai membri della Direzione, fra cui persino Molotov. È chiaro che, se Iosif Stalin fosse rimasto in vita per ancor più tempo, molto probabilmente avrebbe epurato i membri del suo Ufficio politico e avrebbe scatenato, a ragion di veduta, una seconda purga contro gli elementi che si sottraevano alla disciplina del Partito.

Sebbene Stalin comprese che il burocratismo fosse una tendenza pericolosa e lottò contro di essa, non riuscì a cogliere la natura di classe da cui ha origine questa pericolosa deviazione. Infatti, nonostante egli asserì che la lotta ideologica nella dittatura proletaria avrebbe dovuto continuare e che «più ci si avvicina al socialismo più nemici si avranno», egli affermò anche che «non c’è una base di classe per il dominio dell’ideologia borghese». Trattasi questa di un’analisi non dialettica e, per via dei limiti di questa analisi, Stalin non mobilitò le masse contro gli elementi disgregatori che si nascondevano nei gangli del Partito.

Fu il Presidente Mao, alla luce dell’esperienza sovietica, a delineare la teoria sulla lotta fra le due linee in seno al Partito, fra la linea nera del revisionismo e quella rossa del marxismo-leninismo. La marcia verso il socialismo, infatti, deve avvenire tramite numerose mobilitazioni delle masse e, quindi, con numerose Rivoluzioni culturali, col fine di eliminare ogni tendenza reazionaria presente nel Partito!