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Marco Novarino su “Massoneria Oggi”, Anno V n. 3 Giu/Lug 1998

Nell’ampio arco dei movimenti e delle istituzioni politiche, sociali e religiose che si opposero alla
massoneria speculativa a partire dalla sua nascita, l’antimassoneria dei movimenti socialista e
comunista rappresentò una parte minoritaria se confrontata con la conflittualità della Chiesa
cattolica e della destra fascista.
L’antimassoneria di sinistra, fino al secondo dopoguerra, nasceva dalla convinzione che la natura
interclassista della massoneria nuocesse alla causa del proletariato e che pertanto dovesse essere
contemplata l’incompatibilità tra socialisti e massoni.
La proposta venne regolarmente fatta in tutti i congressi dei Partito socialista a partire dal 1904.
Dopo che la questione non era stata discussa nel congresso del 1905, per mancanza di tempo, la
direzione del PSI promosse un referendum per conoscere se la qualifica di massone costituisse “per
un socialista uno di quei casi di indegnità morale e politica che, secondo lo Statuto, portano
all’espulsione dal partito” 1 . I promotori del referendum non ottennero i risultati sperati. Il numero
degli astenuti fu altissimo e su 37.921 iscritti solo 9.163 si pronunciarono per l’espulsione malgrado
l’aperto sostegno del quotidiano l’Avanti! che conduceva da due anni una spietata polemica
ritenendo la loggia “la chiesa della speculazione borghese e dell’avventurismo democratico
borghese. È necessario – proseguiva il giornale socialista – votare per l’esclusione dell’elemento
massonico dal partito e per l’intimazione ai compagni che sono massoni di dimettersi: o di qua o di
là” 2 . In questa fase si distinse particolarmente un ex-massone, Paolo Orano, che raccolse i suoi
scritti in un opuscolo intitolato La massoneria dinanzi al socialismo e che ritroveremo vent’anni
dopo, a fianco di Mussolini, come intellettuale di punta del fascismo e convinto antisemita. La
polemica antimassonica riprese durante l’XI congresso, tenutosi a Milano nel 1910, quando un
delegato ripropose il problema dell’incompatibilità trovando l’appoggio del delegato della
federazione di Forlì, Benito Mussolini, di Gaetano Salvemini e le nette opposizioni di esponenti
come Podrecca, Modigliani e Lerda. La mozione, grazie alla mediazione di Filippo Turati, si risolse con un nulla di fatto , ma il problema rimase latente e riesplose puntualmente in occasione del XIII Congresso
che si tenne a Modena nel 1913. La polemica venne ripresa ancora una volta da Mussolini che appoggiò un ordine del giorno in cui si chiedeva che la massoneria fosse contrastata perché portatrice di quella “politica bloccarda nella quale si deformano i caratteri specifici dei partiti politici” 3 .


La mozione dopo lunghe discussioni non venne messa ai voti e trovò un ostinato oppositore in Giovanni Lerda. Quest’ultimo, brillante dirigente torinese, rassegnò le dimissioni (in seguito ritirate) per protesta. Il massone Lerda, principale candidato prima del congresso alla carica di segretario del PSI, dopo questo
episodio non venne eletto, pagando pesantemente la sua coerenza. La battaglia antimassonica raggiunse il suo apice in occasione del XIV Congresso che si tenne ad Ancona nel 1914. In quella assise vennero presentate due mozioni di segno opposto: una presentata da Giovanni Zibordi, in cui si chiedeva di sancire l’incompatibilità tra socialismo e massoneria e l’altra, presentata da Alfredo Poggi, in senso contrario.
Secondo Zibordi, “Noi combattiamo la Massoneria per la sua funzione attuale che reputiamo
perniciosa per l’educazione socialista. Il socialista che militando nella Massoneria si illude di
raggiungere più presto i suoi fini sociali, rischia di trovarsi accanto, nella Loggia, colui che
nell’aperta arena dei conflitti economici o politici, troverà contro di sé, del proprio partito, del
proletariato. Noi domandiamo se possa un cittadino tenersi legato a due discipline di istituzioni
distinte, diverse ed avverse, senza sentirsi in grande conflitto fra la coscienza di socialista e la
coscienza di massone. Il socialismo segue la sua strada e sale al meriggio, mentre la Massoneria
tramonta e si allontana, per avere esaurito la sua funzione, dai primi ideali”.
A questa presa di posizione rispondeva Poggi che ribatteva affermando che i principi socialisti e
massonici avevano la stessa matrice e rifiutando la tesi dei massimalisti, secondo cui l’istituzione
libero-muratoria era un partito. E ciò, secondo Poggi, in quanto essa “non da oggi, ma da anni
accoglie i suoi militi da ogni partito senza riconoscere fra loro differenze di origine, di classi, di
credenze e di condizioni sociali. Che se vi fosse qualche socialista il quale trovandosi nella Loggia
massonica a contatto con avversari sentisse smorzarsi in animo l’impeto della lotta o attenuarsi la
fierezza dei principi di classe, costui dovrebbe incolpare non la influenza massonica, ma la
debolezza della sua coscienza”.
La mozione di Zibordi, che invitava genericamente i socialisti iscritti alla massoneria a uscirne e
dichiarava incompatibile per i socialisti di aderirvi, venne appoggiata da Mussolini, direttore
dell’Avanti! e di fatto leader del partito, e integrata con un emendamento che invitava le sezioni del
partito ad attuare l’immediata espulsione dei socialisti-massoni. Questa mozione così emendata
ottenne 27.378 voti su un totale di 34.152, mentre la mozione di Poggi ebbe la fiducia di 1.819
votanti. Altre due mozioni presentate da Giacomo Matteotti, favorevole all’incompatibilità ma
formulata in termini meno perentori di quella di Mussolini per “evitare processi inquisitoriali ed
eventualmente delle espulsioni su semplici sospetti” 4 e da Montanari, che chiedeva il
disinteressamento della questione, ottennero rispettivamente 2.296 e 2.485 voti.
L’antimassonismo della corrente massimalista si trasferì in toto nel Partito comunista d’Italia (PCd’I)
nato da una scissione a sinistra del PSI.
Essendo il PCd’I una sezione dell’Internazionale Comunista (o Terza internazionale) fin dalla sua formazione, seguì fedelmente la politica stabilita a Mosca. Il movimento socialista internazionale, unito dal punto di vista organizzativo nella II Internazionale, aveva subìto una grave crisi con lo scoppio della I guerra mondiale. Il dissidio tra l’ala sinistra, rivoluzionaria, e l’ala destra, riformista, si era aggravata fino alla totale separazione delle due componenti. Nel marzo del 1919, preceduto da un documento di Leone Trotsky dal titolo “Sul Congresso dell’Internazionale Comunista”, nasceva a Mosca la III
Internazionale.
L’Internazionale non era solo un organismo di collegamento tra i partiti nazionali, come era stata la II Internazionale, ma era una struttura gerarchicamente centralizzata che stabiliva la strategia dell’intero movimento comunista imponendo ad ogni partito membro i compiti necessari per sviluppare e consolidare la rivoluzione mondiale.
Per tanto le direttive, anche quelle specifiche per i vari partiti nazionali, avevano valore vincolante
per l’intero movimento.
Nel primo Congresso, che si tenne a Mosca nel marzo del 1919, la questione “Massoneria” non
venne discussa. Ma già nel secondo, che incominciò a Pietrogrado e proseguì a Mosca nell’agosto
1920, la delegazione italiana del Partito Socialista Italiano presentò ufficialmente il problema che
era stato uno dei cavalli di battaglia della corrente massimalista fin dal congresso dei 1904.
I delegati italiani tentarono di inserire come clausola per l’ammissione all’Internazionale Comunista
dei partiti rivoluzionari l’epurazione dei massoni dal loro interno. Nella seduta del 29 luglio della
commissione per l’elaborazione delle condizioni di ammissione all’Internazionale Comunista i
delegati italiani annunciarono di aver presentato una mozione che obbligava i partiti aderenti
all’Internazionale ad escludere dalle proprie fila gli appartenenti alla massoneria ritenuta come una
organizzazione piccoloborghese. Essendo stata presentata come mozione e non come punto
programmatico, la richiesta non comparve nella stesura finale del documento che fissava i ventun
punti d’ammissione. La mancata inclusione dipese non solo da un cavillo procedurale ma anche dal
fatto che l’assise comunista riteneva ovvia, visti i principi inconciliabili tra massoneria e
comunismo, l’esclusione dei massoni.
Se durante il secondo congresso la richiesta d’epurazione dei massoni fu ritenuta ovvia, in occasione
del terzo congresso la situazione peggiorò, tanto che Trotsky, all’epoca l’esponente di maggior peso
dopo Lenin in seno all’Internazionale, nel corso delle assisi congressuali propose che l’adesione
fosse proibita ufficialmente a tutti i membri del partito. Secondo Trotsky lo spirito borghese, la
ritualità e la segretezza massonica rappresentavano un grave pericolo per l’azione rivoluzionaria e
pertanto non erano ammissibili dalla dittatura del proletariato. La solidarietà “principio basico della
massoneria, costituisce un serio ostacolo per l’azione rivoluzionaria. La massoneria rappresenta una
grande forza sociale e per le sue riunioni segrete e la discrezione assoluta dei suoi membri
rappresenta una specie di stato nello stato” 5 .
Le direttive di Trotsky furono approvate dal Congresso e di conseguenza tutti i partiti aderenti
proibirono ai loro membri di affiliarsi alle logge massoniche.
Da questo momento Trotsky divenne il più accanito avversario della massoneria: tutti gli scritti e le
risoluzioni antimassoniche adottate dall’Internazionale Comunista provenivano direttamente dalla
sua penna.
Prendendo spunto dalla crisi del Partito Comunista francese, in occasione del IV Congresso che si
tenne a Mosca nel novembre del 1922, il rivoluzionario russo risollevò il problema
dell’incompatibilità, fissando questa volta precise direttive e scadenze improrogabili.
Alla luce della notizia secondo cui, malgrado il distacco dell’ala riformista, un ragguardevole
numero di comunisti francesi apparteneva alle logge massoniche, veniva intimato specificatamente
al comitato direttivo del Partito Comunista Francese, ma di fatto a tutti i partiti comunisti e in
particolare a quello spagnolo e italiano, di recidere ogni contatto, individuale o di gruppo, con la
massoneria entro il 1° gennaio 1923 e di espellere dal partito, entro la medesima data, i militanti che
non avessero attraverso la stampa del partito comunicato la loro completa rottura con le Obbedienze
massoniche.
Una speciale commissione composta dai maggiori dirigenti comunisti, tra cui Trotsky, Zinoviev e
Bucharin, redasse una articolata risoluzione sulla questione francese, comprendente una
dichiarazione d’incompatibilità tra massoneria e comunismo, che fu approvata dall’assemblea
congressuale con due voti contrari e una astensione.
La risoluzione fu preceduta da un discorso di Trotsky comprendente uno specifico capitolo sulla
massoneria 6 . Per Trotsky la massoneria era una questione nuova che si poneva agli occhi stupiti
dei congressisti i quali non sospettavano, dato che la stampa comunista francese non ne aveva mai
parlato, che, a distanza di due anni dal congresso di Tours, ci fossero ancora dei massoni all’interno del partito.


Un comunista, continuava l’oratore, non poteva appartenere a una organizzazione che era uno strumento della borghesia radicalizzante per “masquer son entreprise réactionnaire, sa mesquinerie, la perfidie dans les idées, l’esprit, le programme” 7 . L’Internazionale, secondo Trotsky, aveva ordinato al partito di creare un abisso con la classe borghese ma questo abisso non era stato creato: esistevano infatti passerelle, nascoste e mascherate, che permettevano contatti costanti.
Queste passerelle erano la massoneria e la Lega dei diritti dell’uomo e dei
cittadini che permettevano contatti con le istituzioni del partito, la redazione del giornale, il
comitato direttivo, il comitato federale. Un militante comunista non poteva condannare la società
borghese corrotta e poi abbracciare, nelle logge massoniche, i suoi rappresentanti. I comunisti
dovevano “affirmer l’incompatibilité complète et absolue, implacable, entre l’esprit révolutionnaire
et l’esprit de la petite bourgeoisie maçonnique, instrument de la grande bourgeoisie!” 8 . Questa
perentoria dichiarazione suscitò, secondo il resoconto stenografico dell’assemblea, gli applausi dei
congressisti.
Le argomentazioni di Trotsky, pronunciate durante il IV Congresso, ottennero larga eco sulla
stampa comunista internazionale. Il suo articolo “La massoneria forza controrivoluzionaria” venne
pubblicato da varie riviste comuniste e dal quotidiano italiano socialista l’Avanti!.
In questo articolo, riprendendo i temi antimassonici di carrierismo, servilismo piccolo borghese,
radicalismo e infiltrazione nel campo rivoluzionario presentati nelle assise congressuali, Trotsky
concludeva che il problema era stato sottovalutato e non si poteva permettere che si prolungasse o
addirittura si sviluppasse. La questione massonica era stata sottovalutata dai precedenti congressi
dell’Internazionale in tal modo egli riconosceva alla delegazione italiana al II Congresso una visione
lungimirante.
Anche se la richiesta d’espulsione dei massoni rientrava nel piano di bolscevizzazione dei partiti
comunisti da parte dell’Internazionale, la questione della presenza di militanti e dirigenti comunisti
iniziati nella massoneria era reale e con dimensioni sconosciute in altri paesi. Durante il congresso
di Tours del 1920 la Sezione Francese dell’Internazionale operaia (il Partito socialista francese) si
divise. La minoranza rimase, secondo una espressione di Leon Blum, nella “Vecchia casa” mentre
la maggioranza guidata dal massone Marcel Cachin e da Ludovic Oscar Frossard diede vita alla
Sezione francese dell’Internazionale Comunista che nel maggio del 1921 assunse il nome di Partito
comunista francese. Vari massoni socialisti, o futuri massoni come Frossard, aderirono al nuovo
Partito e ricoprirono incarichi dirigenti di primo piano. Nel primo Comitato direttivo, istanza
suprema del partito, figuravano L.O. Frossard, segretario; M. Cachin, direttore dell’organo centrale
“L’Humanité”, il glorioso quotidiano fondato da Jean Jaurès e acquisito per merito del vecchio
massone e comunardo Camélinat che deteneva la maggioranza delle azioni del giornale essendo
tesoriere della SFIO; Antonio Coen, futuro Gran Maestro della Gran Loggia di Francia; Louis
Antoine Ker e Victor Méric. Malgrado la massiccia adesione ma soprattutto il ruolo dirigente
assunto da vari massoni il Comitato Direttivo accolse le istruzioni di Mosca di risolvere la questione
entro il 1° gennaio 1923. La mancata pubblica rottura con la Massoneria comportava l’immediata
espulsione senza il diritto di aderire mai più in futuro. Il nascondere l’appartenenza a una loggia
massonica era considerata come un atto deliberato di penetrazione all’interno del partito da parte di
un agente nemico ed esponeva l’individuo all’accusa d’ignominia davanti al proletariato. Però anche
la rottura con la massoneria non significava assoluzione completa dato che il fatto di essere stato
massone rivelava uno sviluppo insufficiente della coscienza comunista e della dignità di classe. Il
“peccato originale” provocava la sospensione per due anni da qualunque incarico dirigente.
Le decisioni di Mosca provocarono un vero e proprio terremoto. L’adesione incondizionata della
maggioranza del partito alle risoluzioni approvate dall’Internazionale Comunista delegittimarono le
funzioni del segretario L.O. Frossard, contrario al nuovo indirizzo politico, che si dimise unitamente
ad Antoine Coen. Altri come i giornalisti Henry Torrès, Georges Pioch, Victor Méric, Bernard
Lecache, il deputato Charles Lussy e il sindaco di Boulogne-sur-Seine, André Morizet, tentarono di
creare all’interno del partito, insieme a un centinaio di quadri intellettuali, un “Comitato di
resistenza” ma vennero a loro volta espulsi. Louis-Antoine Ker darà le dimissioni dalla Massoneria
ma sarà ugualmente escluso dalla direzione.
Con l’esclusione dei massoni iniziava la cosiddetta “bolscevizzazione” intesa come assimilazione e
adattamento alle situazioni peculiari di ogni singolo paese dei principi e dell’esperienza dei
bolscevichi russi. Dopo il Quarto congresso la questione massoneria non venne più affrontata
dall’Internazionale Comunista.
Prima in Unione Sovietica e in seguito nei paesi del cosiddetto “socialismo reale”, eccetto che a
Cuba, la massoneria venne messa fuori legge e perseguitata come organizzazione
controrivoluzionaria.
In Italia nel secondo dopoguerra continuò l’opposizione dei partiti d’ispirazione marxista nei
confronti della massoneria, anche se cambiarono le motivazioni. Dal 1945 per il PCI la massoneria
non era pericolosa in quanto portatrice di valori borghesi e interclassisti in seno alla classe operaia
ma perché era diventata un centro di potere occulto fortemente manovrato dagli americani. L’atteggiamento della diplomazia statunitense a favore della ricostruzione della libero-muratoria italiana
nell’immediato dopoguerra fornì elementi a favore della polemica antimassonica del PCI e della stampa comunista che pubblicò elenchi di fratelli e promosse indagini tra i dipendenti pubblici con l’esplicito scopo d’impedire l’accesso alle cariche pubbliche ai massoni. Il PCI ha sempre mantenuto la clausola dell’incompatibilità nel suo statuto e a quanto pare, anche il PDS sarebbe sulla medesima linea.

  1. F. CORDOVA, Massoneria e politica in Italia, Bari, 1985, p. 229.
  2. Il referendum sulla massoneria, in “Avanti!”, 21 giugno 1905.
  3. C. CASTELLACCI, Le polemiche nei partiti socialisti, in “Critica sociale”, 1977, n. 10, p. 20.
  4. R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, Torino, 1965, p. 191.
  5. J. A. FERRER BENIMELI, El contubernio judeo-masónico-comunista, Madrid, Istmo, 1982, p.
    217.
  6. Testo del Rapport au 4ème Congrès Mondial, pubblicato in “Bulletin communiste”, n. 2-3, 1923.
    Ora anche in L. TROTSKY, Mouvement communiste en France, Paris, Ed. de Minuit, 1967, pp.
    250-54.
  7. L. TROTSKY, Le mouvement communiste en France, cit., p. 250.
  8. Ivi, p. 251