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Di Andrea Giumetti

Il generale Carmine Masiello, capo sezione di SM dell’ufficio generale Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, rompe gli indugi, e inneggia alla rivoluzione. Foto da Rivista Italiana Difesa.

Si tranquillizzino i lettori, non è evidentemente quella con la R maiuscola, quanto piuttosto il tentativo di lanciare una riforma così profonda del nostro Esercito, da giustificare pienamente l’utilizzo del termine. Infatti, nel corso del convegno “Esercito Futuro: la trasformazione dell’EI” organizzato da RID presso il Palazzo della Minerva a Roma nei primi giorni di Ottobre, il generale ha tenuto un intervento, notabilmente senza leggere nulla di stampato, in cui ha presentato i punti salienti dei cambiamenti della trasformazione che si vuole tentare di imprimere sulle forze armate, nel tentativo di recuperare verso gli sviluppi della dottrina bellica al netto delle lezioni mostrate dall’Ucraina, e della situazione globale di grande instabilità. Alcuni di questi cambiamenti, se effettivamente si tradurranno in realtà, effettivamente giustificano pienamente l’utilizzo del generale della parola rivoluzione, in luogo del più sommesso trasformazione adoperato dagli organizzatori del convegno.

Bisogna innanzitutto comprendere un fatto, ovvero che l’Esercito Italiano, al netto delle riforme operative e di organigramma introdotte con l’integrazione nelle forze NATO, nondimeno nella sua essenza profonda ha ancora l’impronta dottrinale del vecchio esercito di Sardegna-Piemonte. Questo si declina in due principi, apparentemente banali, ma che nondimeno sono stati, e lo sono ancora oggi in qualche misura, incredibilmente ingombranti per quello che riguarda la condotta bellica italiana. In primo luogo, la storica debolezza che in Italia la politica soffre nei confronti dell’Industria, per cui spesso gli interessi economici si sovrascrivono alle necessità militari per quello che riguarda le forniture di equipaggiamenti; in secondo luogo, il fatto che la filosofia profonda attorno a cui è modellato l’Esercito Italiano è quello della rigidissima verticalità di comando, per cui tendenzialmente gli ufficiali sul campo tendono a dipendere fortemente dagli ordini arrivati dall’alto, anche a scapito delle valutazioni che possono fare gli ufficiali sul campo. Questo schema di comportamento, che sostanzialmente si è ripetuto dalla vittoriosa Battaglia dell’Assietta fino al disastro di Caporetto, è stato osservabile anche in tempi molto recenti, come l’Operazione Ibis, ovvero della missione in Somalia del 1992-94. Nel corso del violentissimo scontro a fuoco avvenuto presso il Checkpoint Pasta, le colonne meccanizzate italiane rimasero sotto il fuoco incrociato dei miliziani somali, senza che arrivassero ordini precisi dall’alto su come comportarsi salvo il resistere fino all’arrivo della colonna di soccorso Alpha. Pare che in quel caso la gravità della situazione abbia fatto salire la ricerca di autorizzazioni nella scala gerarchica fino ad arrivare a Roma. Contro questi archetipi si è scagliato il generale Masiello, che ha aperto il suo intervento in maniera diretta con la considerazione, evidente ma non banale, che le trasformazioni geopolitiche nel mondo hanno fatto tornare la parola guerra nei vocabolari, nel senso che in precedenza ai militari era “proibito utilizzarla” mentre adesso è pienamente rientrata nella quotidianità; questo, per il generale, vuole anche dire la presa di coscienza che: “l’esercito serve per combattere, il resto sono compiti accessori”. La riforma che si vuole spingere, dunque, sta lavorando sostanzialmente attorno a 5 punti cardini, che saranno integrati all’interno della nuova dottrina: tecnologia, numeri, addestramento, adeguamenti normativi della legge e coinvolgimento dei giovani. Il primo punto, quello della tecnologia, è evidentemente il più banale, non ultimo perché è quello su cui si è concentrato maggiormente il discorso mediatico, mentre invece gli altri sono molto significativi, perché provenendo dalla bocca di un militare dello Stato Maggiore, rappresentano anche in qualche misura la presa di coscienza di alcuni aspetti critici trascurati negli anni. I numeri, sono forse l’aspetto più critico per tutti gli eserciti occidentali, sia per quello che riguarda le riserve di armi, dove l’Ucraina ha mostrato che in condizioni di conflitto simmetrico intenso, anche il più bel gioiello tecnologico inevitabilmente si rompe per usura o perdita, sia per i numeri del personale militare impiegato. Il generale ha chiaramente detto che l’Italia non ha più una riserva, e che questa è una delle principali esigenze da recuperare. Secondo Masiello, tra le soluzioni al problema, l’ipotesi di un ritorno alla leva in massa non è realisticamente praticabile, laddove invece la strada su cui si stanno “ponendo molte riflessioni” è invece quella di un esercito misto, in cui si combina il professionismo con l’esistenza di una coscrizione limitata. Di pari passo con i numeri, il secondo cardine della riforma toccherà le politiche di addestramento, per cui si andranno ad incrementare i fondi, e i programmi verso un regime più intensivo. Particolarmente importante in questo senso, come evidenziato anche da Masiello, l’abituarsi alla durezza del quotidiano di situazioni di attrito come la guerra di trincea. Nelle sue parole: “il sistema delle rotazioni di servizio per le missioni di pace ha fatto si che il regime di addestramento basico costante fosse un po’ dimenticato, invece questo è l’essenza dell’esercito. Quindi stiamo fortemente concentrandoci sull’addestramento più classico, come la Guerra di Trincea, una cosa che noi avevamo completamente dimenticato […] noi ci siamo trovati addirittura a non avere più dei poligoni, ed è un problema che stiamo affrontando assieme ai nostri Partners”. Per il Generale Masiello, il nesso fondamentale è passare dalla reazione agli eventi, a politiche proattive, che guardino quindi ai futuri scenari di guerra: “per evitare che chi si sieda al mio posto, tra 20 anni, si trovi nello stesso posto in cui mi sono trovato io, completamente spaesato perché lo scenario era cambiato, e in trent’anni nessuno lo aveva previsto”. Quindi guardare con un occhio al futuro, pensando già a quelli che potranno essere gli scenari futuri di conflitto, come ad esempio l’Africa.

Le soluzioni proposte dal generale per questo passaggio da organizzazioni reattive a proattive, sono i due punti chiave che giustificano pienamente l’utilizzo del termine rivoluzione. In primo luogo, l’adeguamento delle normative dei codici rispetto alla realtà della guerra contemporanea, ma anche la definizione di valori chiari: “le battaglie di retroguardia non sono più tollerabili, e in un mondo in cui i valori sono costantemente sotto attacco, cosa che nella società civile e tollerabile per la vita militare non lo è. I valori non possono più essere messi in discussione per l’esercito. […]Se vogliamo che nel prossimo Covid ci sia sempre l’Esercito, questi valori devono rimanere integri, e non possono essere intaccati da derive della società civile”. Questo si estende anche verso l’Industria della difesa, che deve accelerare al massimo l’immissione di mezzi per fornire ciò che i militari chiedono. Il generale Masiello invita pubblicamente gli industriali a passarsi una mano sulla coscienza: “ogni mese passato a discutere con i partners in affari di ritorno industriale, è un mese in più in cui i nostri soldati potenzialmente rischiano la vita”. Infine, la rivoluzione culturale che apre ai giovani, le idee dei quali, come il generale ammette apertamente: “difficilmente arrivano al vertice”. Secondo Masiello questa è una vera e propria miopia, perché il cambiamento arriva sempre da parte dei giovani, e dunque a loro bisogna fare strada affinché le idee nuove possano essere prese in considerazione ed eventualmente sviluppate per poter avere un vantaggio nella guerra futura. Insomma, il Generale Masiello ha prospettato un’attività di riforma che punta a superare quei due grandi archetipi che l’Esercito Italiano si porta dietro fin dalla sua fondazione, ma in qualche misura anche a superare quei limiti ideali che l’Italia ha posto fin dalla creazione della Repubblica rispetto al suo rapporto con le forze armate, verso una guerra futura che, a sentire parlare il Generale di SM Masiello, sembra inevitabile.