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Di Andrea Falco Profili

Introduzione: scrivo questo articolo per presentare alcuni limiti attuali della politica italiana, in particolare della proposta di conseguire una sovranità nazionale senza però un’analisi strutturata sul piano internazionale. Inoltre, presento una visione personale di quale potrebbe essere la strada da intraprendere per l’Italia, quali vantaggi ne deriverebbero e quali svantaggi sarebbe così in grado di mitigare tramite l’integrazione economica e successivamente politica con i principali stati mediterranei, dalla transizione da un’economia di servizi ad una trasformativa per le risorse naturali, all’eventuale status di interlocutrice paritaria nella nuova dimensione internazionale multipolare.

L’Italia non ha carbone

Al giorno d’oggi, in Italia esiste un’area definita sovranista o “del dissenso” che, benché meritevole di non essere allineata all’agenda dell’Occidente Collettivo sulle dirimenti questioni internazionali, pecca nel vedere le potenze d’Oriente come un qualcosa di messianico; un Putin salvifico prossimo a liberare l’Occidente dal “nuovo fascismo” o uno Xi Jinping pronto ad assolvere la medesima funzione. Al livello di militanza politica, questo è un approccio da condannare fermamente, poiché tradisce il non aver pienamente superato mentalmente la dimensione unipolare a cui siamo abituati. La Russia, la Cina né nessun altro verranno in soccorso dell’Italia, non per menefreghismo, ma poiché non è compatibile con il multipolarismo fare ciò. L’Italia dovrebbe allora sperare in un moto di popolo in grado di rottamare la classe politica e nullificare eventuali ingerenze del presunto “stato profondo” per aprire un dialogo con l’Oriente, oppure potrebbe rassegnarsi a aderire al Sistema Occidente con i suoi paradigmi; esiste in verità, un’altra possibilità: l’Italia come potenza.

Il conseguimento di una condizione di neutralità non è un processo esclusivamente politico e dettato dalla volontà, ma necessita di condizioni materiali che ne permettano la riuscita. Nel 1920, Vladimir Lenin obietta all’eventualità di una rivoluzione fattibile in Italia facendo notare che il paese, detto con estrema franchezza, non ha carbone. L’osservazione di Lenin è un invito a constatare che, al di là della volontà indomabile dei popoli, vi sono delle misure di pragmaticità da adottare per la riuscita di una grande impresa politica. Nella nostra epoca, un sistema imperiale composto da poche nazioni ne tiene incatenate molte di più limitando crescita, sviluppo e progresso materiale al di fuori della propria “Fortezza Occidente”. La storia recente ci dimostra che, quando le nazioni riescono a spezzare il giogo dei propri dominatori, riescono in breve tempo a prosperare e sradicare molte delle piaghe che le affliggono: povertà, analfabetismo, sottosviluppo e, scardinando l’ordine imperialista, i loro risultati economici sono notevoli. L’Italia ad oggi subisce un sistema di dominio imperiale, le sue decisioni in politica nazionale e internazionale sono vincolate in modo tale da nullificare qualunque risultato elettorale, la classe politica non risponde alle masse non solo per nefandezza personale bensì perché impossibilitata a farlo, ridotta ad un comitato di tecnici, affaristi e concertatori di interessi i quali, tutto richiedono agli italiani e nulla restituiscono all’Italia. L’ostacolo più impellente al conseguimento di una dimensione di neutralità nei rapporti internazionali è, nella nostra epoca, il dominio dell’economia. L’Italia necessita per la sua sopravvivenza di costituirsi stato sovrano; definiamo sovranità la condizione per cui sia possibile intrattenere rapporti e intese, siglare accordi e rispondere ai grandi momenti della politica internazionale, con la minor ingerenza estera possibile sui lavori interni dell’apparato politico.

Non è una pretesa sentimentale quanto logica che una liberazione nazionale oggi possa solo essere vantaggiosa e necessaria per l’Italia e per gli Italiani. Il limite che riscontriamo sta tutto nelle possibilità pragmatiche di conseguire ciò, l’Italia non ha il carbone. Il sistema imperialista ricalca sulla cartina geografica le principali rotte di transito delle risorse naturali necessarie a sostenere un grande impianto infrastrutturale, industriale e scientifico; il campo di battaglia sono i combustibili fossili, primo fra tutti il petrolio, ma anche il gas, il litio e le terre rare. Un tentativo scapestrato dell’Italia di sottrarsi alla sua dimensione di vassallaggio, allo stato attuale delle cose, significherebbe l’esclusione dell’Italia dall’accesso a queste risorse. L’Italia non dispone nel suo arsenale domestico di nessuna grande produzione tra quelle sopra elencate, è materialmente incapace di ricattare sul piano internazionale. Poiché nella politica internazionale attuale ogni rapporto tra stati è possibile come rapporto di forza, fondandosi sulla necessità di un margine di ricatto necessario affinché si risulti persuasivi, ne consegue che l’Italia allo stato attuale delle cose non è credibile se non come manovalanza dell’imperialismo statunitense.

Orizzonte Mediterraneo

Si sta affermando nel mondo un nuovo sistema di relazioni detto “multipolare”. Questo si fonda, come suggerisce il nome, sull’esistenza di una pluralità di poli, ovvero centri politici, ovvero potenze autonome in grado di costituire il proprio grande spazio, cercando di mantenere relazioni cordiali con il maggior numero di stati. Il risultato per le piccole patrie è quello di avere un maggior margine di manovra internazionale in quanto non esiste il ricatto di un solo poliziotto globale, bensì la possibilità di dialogare con una moltitudine di attori. L’Italia è una nazione singolare in questa prospettiva, può beneficiare del multipolarismo esclusivamente come piccola patria in dialogo, o può costituirsi polo a sé?

L’Italia è la più mediterranea delle nazioni, si estende verticalmente nel centro del mare quasi come un grande ponte proiettato verso l’Africa settentrionale. La penisola è mediterranea non solo nel senso geografico quanto in quello etimologico di essere “in medio terrarum”. Questa funzione geografica è stata nell’ultimo decennio portata all’attenzione per motivi spiacevoli, ovvero la funzione dell’Italia di ponte letterale per i transiti umani durante la crisi migratoria, un esempio tragico di come un punto di forza possa esser tramutato in vulnerabilità in assenza di una classe politica autenticamente forte e autorevole. L’Italia potrebbe ambire ad un processo di integrazione mediterranea a discapito della presente situazione proiettata verso il continente europeo. Benché sabotato dalla terziarizzazione selvaggia, l’apparato industriale italiano rimane il secondo in Europa. Le nazioni nordafricane dovrebbero, congiuntamente all’Italia, liberarsi dal debito nei confronti dell’estero, per aderire successivamente ad un patto per lo sviluppo comune ricercando soluzioni mutualmente vantaggiose.

Sarebbe possibile muoversi in questa direzione, constatando come esista già, benché fortemente limitata, una dimensione cooperativa tra gli stati mediterranei. Attualmente UNIMED, l’Unione delle Università del Mediterraneo conta 162 atenei e 25 paesi aderenti; se un ente di questo tipo trascendesse la dimensione del semplice dialogo interaccademico e riunisse i suoi migliori poli ingegneristici, potremmo ambire a grandi opere per migliorare le condizioni di vita della popolazione. Ricordiamo ad esempio come, stando al World Factbook della CIA, la Libia di Gheddafi, sotto il socialismo, avesse edificato il più grande impianto di irrigazione al mondo, ma lasciamoci trasportare dalla fantasia e osiamo anche solo immaginare l’eventualità di un polo di ricerca mediterraneo in grado di emancipare ulteriormente la regione ed il mondo dalle attuali gerarchie energetiche con una ricerca pionieristica nel campo della fusione nucleare. Nel solo 2022, l’interscambio commerciale tra Italia e nazioni nordafricane ammontava a 33 miliardi di euro, una somma che esclude naturalmente le altre nazioni della riva europea come la Spagna, la Grecia e la Turchia. Una grande integrazione economica tra risorse africane e infrastruttura italiana (e sudeuropea) porterebbe ad una sinergia in grado di realizzare una reale economia di potenza.

Ciò condurrebbe ad un’Italia differente, un perno mediterraneo, un centro di innovazione per Europa, Africa e Vicino Oriente. Tutto ciò renderebbe l’Italia la grande nazione del mediterraneo. Un processo che inizialmente ricalcherebbe una dimensione puramente economica e in futuro federale, ma con il rafforzarsi degli scambi, dei partenariati di ricerca per le sfide comuni e il prospetto di essere un unico grande egemone di un mare che, rimane il principale snodo per il commercio intercontinentale tra Europa, Asia e Africa, potrebbe assumere una forma nuova: un grande stato mediterraneo, con l’economia italiana ad assumere il ruolo del suo pulsante cuore latino.

La grande politica continentale

La situazione attuale rende impossibile alcun progresso ulteriore senza una politica di grandi spazi geografici. Mentre i multipolaristi attendono messianicamente l’Eurasia, naturalmente con il nostro migliore augurio, l’Italia può facilitare questo processo ritagliandosi il suo grande spazio. Questo processo non avverrà per mezzo di politiche imperiali ma sarà fondato sullo sviluppo mutuale, l’integrazione del Mediterraneo non tollererà sciovinismi o pretesti guerrafondai mascherati da nazionalismo, sarà la concretizzazione di un modello che è stato assente sulle sponde di questo mare per millenni, la capacità di popoli differenti di prosperare in una politeia comune. L’integrazione mediterranea porterà all’edificazione di un modello economico in grado di sostenere le sfide dei mutamenti globali contemporanei, un modello che sappia essere autosufficiente, indipendente, proiettare la sua potenza e garantire la dignità sociale. Sarà necessaria una stretta autarchica in particolare sui settori strategici, maggiormente un paese è indipendente dagli altri, più la sua popolazione può dirsi libera di scegliere, di crescere, di prosperare. D’altra parte, non può esservi indipendenza economica senza materie prime, e senza materie prime non può esservi socialismo.

Ciò che consegue da queste considerazioni è che per l’edificazione di un socialismo nuovo, è necessaria la grande nazione, mediterranea o continentale che sia; più la nazione è grande, più è libera; mentre invece le piccole nazioni non sono libere di scegliere le proprie politiche economiche e sociali, ma devono prestare ascolto all’interferenza straniera. L’Italia per non dipendere dalle interferenze straniere, deve smettere di essere una nazione piccola. L’Italia deve invece divenire una grande nazione, ma questa necessità di grandi spazi non deve essere confusa con pretese mondialiste o ambizioni cosmopolite, la nazione è l’involucro che contiene il socialismo.

In conclusione, nonché in estrema sintesi: i limiti energetici ed economici dell’Italia possono essere superati ricercando un’intesa con le altre nazioni del Mar Mediterraneo. Le economie europee possono completarsi a vicenda con le economie nordafricane e del Vicino Oriente, rendendo ideale in futuro la costruzione di una dimensione propriamente talassocratica, per portare l’Italia ad assolvere la sua funzione geografica naturale di cuore di un polo mediterraneo nel nascente mondo multipolare. La questione della grande politica continentale non è una questione accessoria quanto una necessità da affrontare obbligatoriamente per affrontare pragmaticamente la questione del “dopo occidente”.

«Il popolo italiano fu sempre il più sagace dei migratori. Quando non aveva l’ala senza battito, gli archi dei ponti e le lastre di pietra, che le legioni lasciavano dietro di loro sopra i fiumi e nelle paludi, segnarono i suoi cammini. Nell’Evo medio, nel Rinascimento, nell’età più tarda, l’uomo italiano fu re in tutti i mari, fu signore in tutte le terre, sino agli ultimi orizzonti, sino agli estremi confini. Quell’Africa e quell’Asia, che oggi gli sono contese dalla perfida avarizia altrui, furono sempre alla mercé de’ suoi ardori. Ma non importa che gli sieno contese. Teneo te, Africa è una parola romana da rendere italica. Teneo te, Asia è una parola romana da rendere italica. Liberiamoci, allora, anche con la forza delle nostre ali, dall’Occidente che non ci ama e non ci vuole. Volgiamo le spalle all’Occidente che ogni giorno più si sterilisce e s’infetta e si disonora in ostinate ingiustizie e in ostinate servitù. Separiamoci dall’Occidente degenere che, dimentico d’aver contenuto nel suo nome “lo splendore dello spirito senza tramonto”, è divenuto una immensa Banca meticcia in servizio della spietata plutocrazia transatlantica. L’Italia che “sola è grande e sola è pura”, l’Italia delusa, l’Italia tradita, l’Italia povera, l’Italia della vittoria mutilata si volga di nuovo all’Oriente dove fu fiso lo sguardo de’ suoi secoli più fieri. Non ode l’appello degli Arabi, degli Afghani, degli Indi, dei Cinesi, dei figli di Yamato, dei Bulgari, degli Ungheresi, dei Russi, oppressi da quei sedicenti giusti che tengono la nostra Malta e ci strappano la nostra Fiume? Ad appello d’amore risposta d’amore, che non può mancare e che non può essere se non alata. Le ali, le nostre ali ieri armate, le nostre ali oggi pacificatrici, ma solo per la giusta pace, secondano il senso vero della vita, che è la bramosia di ascendere per fatica e dolore alla conquista dello spirito e alla liberazione dell’umanità».

Gabriele D’Annunzio, Primavere sacre dell’Italia alata e ripudio dell’Occidente. Agli aviatori di Centocelle, 9 luglio 1919.