Di Giovanni Amicarella
L’orgoglio nel ritenersi sconfitti ed il complesso del messia
Una strana tendenza “squisitamente” socialista è il social-disfattismo: dicesi tutti coloro che pur definendosi socialisti ripudiano qualsiasi stato odierno che abbia mantenuto un sistema socialista, o tracce di esso, abbracciando una retorica stantia basata sulla purezza ideologica distaccata dalla condizione pratico-storica. Praticamente, per i “socialisti più socialisti”, il socialismo è stato sconfitto a livello internazionale. Ogni rivoluzione è fallita o è degenerata, ad oggi la speranza sono circoscritti gruppi più o meno organizzati, più o meno digitalizzati, che esistono come unico baluardo al revisionismo.
Più volte ho espresso, anche nelle interviste ricevute (di cui trovate una sintesi qui), un parere contrario in merito alla questione dell’antirevisionismo come etichetta tout-court, e reputo che l’unica tangibile forma di revisionismo oggi sia la negazione della lotta di classe. Il resto è tutto talmente relativo e soggettivo, specialmente nell’ottica in cui viene posto, da risultare banale.
Tuttavia, c’è una malizia di fondo. Perché gli stessi soggetti sono poi quelli che pubblicizzano la propria realtà circoscritta come “più migliore” perché più antirevisionista, e si è visto con le critiche poste al Socialismo Italico che fortunatamente ha sempre rigettato la “purezza” in favore di un approccio diretto e senza fronzoli.
Ovviamente il partito “quellovero” “quellogiusto” è sempre quello dell’interlocutore di turno, il che tradisce la reale natura idealista e controrivoluzionaria, come direbbe qualcuno, di chi cela la propria inazione dietro ad una presupposta purezza. A poco serve fare notare che ci sono almeno sei/sette realtà in Italia che vogliono esattamente la stessa cosa, si definiscono allo stesso modo, ma continuano a respingersi pur di non mettere da parte i loro vetusti paradigmi. “Meglio non fare che fare male” è il loro leitmotiv, passivismo, attesa di condizioni che se non si creano sicuramente non vedremo mai spuntare.
Scissione in purezza ed altre barzellette
Fa abbastanza amareggiare come il socialismo sia diventato ad oggi un sinonimo, ironico e provocatorio di “scissione”. Noi socialisti ci scindiamo sempre, spesso per motivazioni futili. Se in passato le scissioni erano dettate e ben motivate da prassi ideologiche completamente opposte, vedasi quelle del 1907 ad opera dei sindacalisti e del 1921 ad opera dei comunisti dal PSI, ad oggi sono il diporto di pingui borghesucci da strapazzo che usano i nostri termini e simboli gli uni contro gli altri, al pari di bambini che giocano con i soldatini, o molto più giovani emulatori virtuali che lo hanno reso il passatempo per eccellenza.
Nel SOCIT è risaputo che convivano diverse estrazioni ideologiche socialiste, accomunate dai nostri dieci punti programmatici, che in modo pragmatico permettono un’unità di azione e di intenti senza fronzoli. Dal mio e del nostro punto di vista un punto imprescindibile per il raggiungimento di un contesto rivoluzionario. La prassi è di fatto dettata dalla necessità storica in un’epoca di quasi completa morte del movimento operaio e di disinteresse sempre più marcato nella nostra generazione in merito alla questione nazionale e di classe, grazie a decenni di geniale, quanto diabolica, propaganda borghese affiancata ad una generazione di vegliardi incapaci di mollare il testimone a quella successiva.
Qualcuno non si spiega come il SOCIT, che riunisce dai marxisti-leninisti ai sindacalisti rivoluzionari, sia riuscito a compiere tre anni senza la minima slavina, portando informazione e contenuti da tutte le proprie radici ideologiche, progetti editoriali, collaborazioni nazionali ed internazionali, formando al socialismo chi per la prima volta, motivato da gente giovane anche da altre generazioni, conosce la politica, facendo lavorare come compagni, spalla a spalla, membri che in altri partiti si sarebbero presi a mazzate su barricate vicine, ma a detta dei rispettivi pomposi segretari, opposte. Eppure eccoci qua, con tutto discretamente documentato.
Settarismo come negazione stessa del socialismo
Il settarismo ideologico comporta delle importantissime contraddizioni, non assolutamente trascurabili. Toglie qualsiasi possibilità di avanguardia proletaria, stringendo il tutto ad un mero gioco di rubarsi l’iscritto, farsi concorrenza (come se fossimo al mercato del pesce) e spesso di confronto ideologico fra membri stessi, vitale per l’arrivo ad una direzione ed il ponderare le priorità pratiche. Stringendo sempre di più il numero dei membri per partito/associazione/collettivo/ecc. fino alla disgregazione completa, tenendo un numero molto basso di membri per tutta la vita politica, favorendo anche in modo pestilenziale il favoritismo e l’accondiscendenza per prolungare la permanenza all’interno, le famose “amicizie”.
Ciò significa, come qualche “trombato” affermi faccia il SOCIT ed il sottoscritto, doversi alleare o tirare dentro di sé chiunque? Assolutamente il contrario, le alleanze, come le iscrizioni, si devono basare sull’unità di intenti, a sua volta derivante dal programma. E’ vitale che vi sia un’unità di intenti come collante, a cui poi affiancare una formazione ideologica, è invece insalubre la ricerca ostentata della purezza ideologica come condicio sine qua non.
Entrambi gli atteggiamenti sono imputabili, e lo sottoscrivo, ad opportunismo. Il primo, del singolo che teme che possa perdere il ruolo da capetto o l’alone di intransigenza ideologica che causa orgoglio ma ben poco attua nella prassi; il secondo, ove si teme di essere troppo pochi e si cerca disperatamente di gonfiare i numeri, un po’ al pari di chi acquista seguaci finti sui social con la speranza di sembrare popolare (ed il SOCIT è stato accusato anche di questo, ci mancherebbe, seppur l’apertura ed il successo poi riscosso anche dai nuovi canali e pagine abbia un po’ “assassinato” questa gelosa e piagnona retorica).
Tuttavia, mi viene spontanea una domanda.
Se la maggior parte dei vostri sforzi sono rivolti al vendere giornali, farvi faide per virgole lette diversamente su testi ideologici e cercare di ostacolare altre organizzazioni che hanno i vostri stessi obiettivi per giocare a chi è più “fedele alla linea”, invece che alla preparazione e realizzazione della lotta proletaria, come potete voi dirvi socialisti?
Il nostro secondo e terzo punto del programma, danno massima enfasi all’azione disinteressata individuale, oltre al costante confronto ed ascolto interno appositamente per ovviare ai frazionamenti che vengono, fin troppo spesso, generati da malumori personali più che ideologici. E’ preoccupante che ci siano movimenti che criticano la politica borghese per gli accordi e scissioni sottobanco, per finire a fare lo stesso, decine di volte più ridicolo perché su una scala microscopica.
Non vedo alcuna differenza, per l’appunto se non la scala, fra due collettivi comunisti che si scindono per divergenze personalistiche, ed un partito di centrosinistra che fa lo stesso. Anzi, c’è da dire, almeno i secondi continuano a riscuotere i maledetti privilegi, i primi si allontanano sempre di più dalla rivoluzione che (dicono) di desiderare ardentemente.
Movimento di pochi eletti, magari fosse blanquismo
Il giochino della setta comporta, alla fine, di ritenersi ideologicamente più puri di altri. Ed ancora, il proletariato, rimane un grande assente, da fulcro ideologico a soprammobile da tirare fuori a cadenza regolare negli scritti, spolverato e rimesso via subito dopo. Il socialismo deve convogliare le masse, dar loro la spinta verso l’applicazione dell’idea politica, non essere un circolo per la briscola, la creazione di un’avanguardia rivoluzionaria deve necessariamente passare dalla formazione di un fronte comune su solide posizioni comuni.
Se giocate al frammentare movimenti maggiori in qualcosa di sempre più piccolo, state andando contro il proletariato, non certamente in sua direzione, sviluppando una stomachevole concezione elitaria che ricorda tutto tranne che quello che come socialisti dovrebbe essere il nostro obiettivo. Così come sterili e velleitarie possono risultare le scherme ideologiche su personaggi storici (perchè si ferma al soggetto, non vi è un’analisi critica delle idee dello stesso), soprattutto in un contesto in cui muoiono centinaia di lavoratori ogni anno, di cui specialmente hoxhaisti e maoisti ci deliziano fra loro. Assolutamente vitale lo scontro accesissimo sui vari social sulla virgola, la frase, l’uscita, la considerazione, ovviamente tutto decontestualizzato per dare quel gusto teatrale che piace tanto a loro.
Non è un caso infatti, a mio avviso, se l’idea alla fine di una concezione elitista comporta un ulteriore sforzo nel mantenere il relativo gruppo, già circoscritto ricordiamo, “puro” da contaminazioni, ulteriore energia dirottata dalla lotta proletaria, e assimilabile ad un copia ed incolla telematico di citazioni della qualunque, decontestualizzate ad hoc e sciacallate a mo’ di rudimentale e filosofica clava.
Non a caso questi gruppi solitamente fondano giornali pubblicando un solo numero per poi precipitare nell’inazione (nemica principale del socialismo), partecipano ad un a sola manifestazione per poi abbassare la saracinesca, si fingono vivi ben oltre la data di scadenza per orgoglio personale e così via. Si è talmente alla perenne ricerca dell’oppositore travestito da compagno, da dimenticarsi degli operai assassinati dal capitalismo.