tirannicidi

Di Ivan Branco

«In fondo tirannide e libertà non possono essere considerate separatamente, anche se dal punto di vista temporale l’una succede all’altra. È giusto dire che la tirannide rimuove e annienta la libertà – anche se non si deve dimenticare che la tirannide è possibile soltanto se la libertà è stata addomesticata e ormai ridotta a vuoto concetto.» [Ernst Jünger]

Il tema dell’uccisione del tiranno, di colui che abusa del proprio potere, è caro all’arte tanto quanto alla politica. I Tirannicidi dell’opera, Armodio ed Aristogitone che alzarono la spada sul tiranno di Atene del periodo, Ipparco, sono un emblema di ideale romantico di sconfitta dell’oppressore e di conferimento di libertà. Tuttavia, la libertà assume diverse sfumature, per alcuni modi di concepire i sistemi sociali essa diventa ben volentieri una pretesa di disordine, secondo altri un qualcosa da soffocare perché imprevedibile. Quello che andiamo a trattare è l’argomento su diversi aspetti, la contrapposizione fra idee di libertà ed applicazioni pratiche.

La questione anarchica

Il tema dell’anarchismo è un argomento che, sia dai più ma anche da una buona parte di quella sedicente classe “intellettuale e spirituale”, viene spesso e ingiustamente bistrattato sia a causa della faciloneria con cui viene trattato e criticato e, soprattutto, del basso modo in cui viene percepito sia da chi anarchico non è ma anche da chi invece si fa cosciente portatore di tale visione; quella che andrò a chiamare, molto semplicemente, come la “questione anarchica” è un tema che, sia per motivazioni filosofiche e ideologiche e sia per motivazioni prettamente politiche, ha bisogno di un approfondimento non solo per essere meglio compreso nel suo insieme e nelle sue sfumature (in questo scritto, in particolare, saranno trattate criticamente le correnti dell’anarco-comunismo e sindacalismo), pertanto in questo breve e piccolo saggio cercherò di spiegare brevemente i principali fini dell’anarchismo (per poi potermi ricollegarmi al resto dello scritto) e le contraddizioni che per più di un secolo hanno portato non solo la semplice popolazione, ma anche delle consistenti parti del pensiero filosofico e politico a rigettare in toto o quasi l’anarchismo e l’anarchia; questo è dovuto principalmente al fatto che per molto tempo gli anarchici non sono riusciti a svolgere un buon lavoro per cercare di sistemare quelle falle (che dopo andremo ad approfondire) presenti nella loro stessa visione e ideologia, come, per esempio, la questione della massima libertà per ogni individuo con l’assenza di qualsiasi gerarchia e, soprattutto , di un ordinamento morale e coercitivo posto alla base di ogni singola comunità, oppure dei rapporti di potere all’interno di una comunità e del fatto che inevitabilmente uno o più gruppi manterranno comunque una certa influenza (sia essa politica o morale) su tutti gli altri, o ancora le stesse modalità di azione e, soprattutto, del pensiero dello stesso anarchismo, di fatto l’autore del libro “Discorso sull’Autogoverno” (che, insieme ad altre fonti, userò come ausilio per la seguente analisi), ovvero Matthew Wilson, afferma che gli anarchici, anche se non tutti ovviamente, hanno sempre evitato o mal posto la questione di dover creare, in qualche modo, una base ideologica e quindi una dottrina che, quantomeno generalmente, potesse dare un’indicazione agli anarchici sul come poter agire nella prassi e nella lotta politica, sul futuro dello stesso progetto utopico anarchico, sull’organizzazione del loro movimento e sulla possibilità di poter condurre dei progetti anarchici o simili anche all’interno dell’attuale sistema.

Questa, pertanto, sarà principalmente una critica che cercherà di dare il suo piccolo contributo per cercare di fare chiarezza sull’ambizioso progetto anarchico e quelli che sono i suoi limiti e, infine, per cercare di trovare una via che riesca a trarre in salvo i buoni aspetti dell’anarchismo e che cerchi di mitigare, quantomeno, le sue problematiche, poiché per una vera risposta ribelle alla realtà umana e alla decadenza di questa civiltà abbiamo il compito di portare in alto, dentro di noi, il fuoco della Grandezza e della Libertà, dell’armonico divenire della nostra fiumana musica.

Perché l’Anarchismo?

Il mondo moderno è segnato da molteplici crisi, da quelle economiche che colpiscono ciclicamente l’Europa e l’America e che influenzano l’intera economia mondiale, a quelle alimentari e sanitarie che invece colpiscono principalmente il sud del globo (Africa e Medio Oriente in primis), a quelle politiche e geopolitiche che coinvolgono il mondo intero con i giochi portati avanti, dietro le quinte, dalle grandi superpotenze e dalle potenze regionali, a quelle militari, anche qui non si possono non citare gli esempi del continente africano e dei nostri vicini arabi, per non parlare del conflitto che abbiamo proprio dentro casa, in Ucraina; o ancora, anche le piccole guerre e scontri che coinvolgono tutti gli altri continenti, dalle lotte religiose ed etniche in India e gli scontri di confine fra la stessa e la RPC, alle rivendicazioni di quest’ultima sull’isola di Taiwan e altri spazi contesi con Vietnam, Filippine e i suoi altri vicini, oppure le sanguinose guerre portate avanti dai cartelli della droga in Sud/Centro America, che ogni anno mietono migliaia di vittime; e ancora, non dimentichiamoci anche di tutti i conflitti “dimenticati”, come il caso emblematico dello Yemen, ma potremmo citare anche quello della Somalia, della Libia, della Siria e del Nagorno-Karabakh.

Ma oltre a queste molteplici crisi (che si ripresentano in modo quasi ciclico, come già detto) e all’instabilità da esse portate in tutto il globo e in ogni società e civiltà umana, dobbiamo considerare, in primis, quelle che sono le basi dell’attuale sistema vigente nella “parte bella e buona “ del mondo: capitalismo, liberalismo, nichilismo passivo, fluidità, classismo, sfruttamento (non solo dell’uomo sull’uomo), incompetenza, morte della Kultur e della Civiltà in favore di un cieco e assoluto sviluppo tecnico, economico e accademico (Zivilisation) condotto da un’etica della decadenza (morale, politica, sociale ed economica) e della debolezza e dai rapporti che le classi dirigenti hanno con l’attuale assetto socioeconomico del mondo moderno che devono, per la loro incolumità e prosperità, necessariamente difendere con ogni arma che hanno a disposizione.

A causa di tutto ciò, molte sono le persone (fra comuni cittadini e pensatori/poeti) che, ad oggi, desiderano un vero e radicale cambiamento dello status quo e delle condizioni di vita della loro patria, del loro continente e dell’umanità intera, ed è anche quello che vuole l’anarchismo, portando questa critica radicale al desiderio e all’idea di voler abbattere tutto ciò che, per secoli, non ha fatto altro che opprimere la libertà degli individui e la giustizia: lo stato, per dare così la possibilità al popolo di poter prendere completamente le redini della sua vita e del suo destino, sia come singoli individui sia come comunità di liberi associati; insomma, il progetto anarchico sarebbe quello di garantire massima libertà e massima uguaglianza per tutti e di distruggere qualsiasi tipo di oppressione, sia essa velata o esplicita.

Ma ciò è veramente possibile?

Questa domanda non viene posta soltanto dagli intellettuali, ma anche dalle masse della popolazione che si chiedono se, effettivamente, tali finalità e i mezzi con cui poterci arrivare non siano altro che pura utopia, anzi, che magari possano anche essere un qualcosa di dannoso per la società e la convivenza fra gli individui proprio per la “totale” assenza di un ordine abbastanza forte da poter tenera coesa una comunità e far rispettare al suo interno le leggi per una pacifica convivenza fra gli individui; per questo motivo sono in molti a scegliere una via “alternativa” all’anarchismo per cercare di giungere ai suoi stessi fini: il liberalismo che, almeno in teoria, dovrebbe consentire ad ogni persona di poter vivere tranquillamente e nel modo più libero e giusto possibile senza che lo stato interferisca troppo nelle questioni private, limitandosi quindi alla politica “generale” senza intromettersi in quella “particolare” che riguarda i singoli individui.

Ovviamente, come ci insegnano gli ultimi due-tre secoli di storia, questa idea si è rivelata del tutto fallace e contraddittoria per via delle contraddizioni presenti sia nell’organizzazione politica e socioeconomica liberale, sia per l’etica e i presupposti che costituiscono la sua “forma umana”: il borghese.

Nel primo caso gli effetti delle disparità, delle ingiustizie e delle catastrofi sociali, economiche e politiche che il capitalismo e il liberismo hanno provocato sono ben note a chiunque conosca un minimo la storia moderna/contemporanea e abbia anche quel tanto di spirito critico per potersi permettere di ragionare oltre gli schemi imposti dall’ideologia liberale e dalla sua sola interpretazione delle cause degli eventi e delle giustificazioni etiche usate per portare avanti i progetti delle potenze borghesi che, persino con i primissimi e/o veri liberali, non hanno nulla a che vedere (ad esempio né Mill né Von Hayek avrebbero mai desiderato la creazioni delle attuali condizioni in cui miliardi di persone versano anche a causa della loro stessa creazione, a differenza dei vari Von Mises, Rand e Rothbard, apogeo e tappa finale dello sviluppo del sistema liberal-capitalista e borghese).

Nel secondo caso invece possiamo riscontrare una grandissima ingenuità in quella che è l’analisi della natura e dello sviluppo dell’essere umano nel suo senso “spirituale” e, quindi, etico e psicologico; partendo da dei presupposti illusori sulla naturale eguaglianza di ogni essere umano e, quindi, con la conseguente creazione del “diritto-dovere” di essere tutti uguali, alla pari, ciò che si è andato a creare non è un miglioramento della levatura morale degli individui, né tantomeno la creazione di una vera giustizia politica e sociale, bensì solo l’imbastardimento e la produzione in massa degli animi e il livellamento degli stessi in ogni campo, dalle arti alle scienze, dalla politica all’economia; basti dare uno sguardo alla nostra società, altro non è che l’auge delle prime civiltà e stati borghesi; consumismo di massa, parlamentarismo, dominio dell’economicismo (e non dell’economia, attenzione) sullo spirito e il politico, in altre parole, il dominio del più becero materialismo sulla coscienza, l’immanenza e la natura delle cose e delle epoche.

Ora, ritornando al discorso sulle debolezze del “sistema” e, in un certo grado, della stessa etica filosofica e spirituale (di cui già sopra sono state esplicate le principali basi e della sua teoria-pratica (e praticità), politica, sociale ed economica dell’anarchismo, dobbiamo anzitutto inquadrare quegli stessi punti critici per poter portare avanti una sana critica costruttiva sia del pensiero sia del poetare anarchico, ed essi principalmente sono:

1) La mancanza di una solida teoria filosofica anarchica che porta molto spesso a un cieco dogmatismo su quelli che dovrebbero essere gli “assoluti” principi anarchici (anche se poi nemmeno gli stessi anarchici, molto spesso, discutono e cercano di ideare il come e il perché, effettivamente, vadano applicati), e quindi anche il conseguente disperdersi delle sue “forze pratiche” in una strategia e in delle tattiche (quali, ad esempio, la creazione di momentanee comunità autonome, la creazione di cooperative etc.) su piccolissima scala e, soprattutto, che agiscano unicamente sul breve/medio periodo.

2) L’idea di cosa sia la libertà, di come essa vada applicata, quali sono i suoi limiti e come poter conciliare questa limitatezza (inevitabile) di una libertà assoluta (che, come già detto, bisogna in primis definire) con i concetti di etica, di giustizia, di comunità e di individualità.

3) Le possibili forme di organizzazione sociale, economica e “politica” che, sul piano nazionale e poi delle singole comunità, si andranno a creare e sperimentare all’interno di quest’ultime.

Partendo dal primo punto, il sistema filosofico su cui poggia l’anarchismo è tale e quale alla stessa natura interiore di cui i suoi esponenti si fanno portatori: libera, si, ma in quali proporzioni lo è veramente? Se l’anarchico è un uomo fortemente individualista (nel suo senso non negativo, si intende) e libero da ogni coercizione e moralismo, per che cosa però ricerca e alimenta questa sua fame di libertà? Molti oggi sbandierano le bandiere nere (o rosse molto spesso) dell’anarchia per dei fini che non sono poi tanto differenti da quelli dei borghesi, ovvero da una assoluta libertà e di un’assoluta giustizia per tutti, ma ripeto, cosa volete farci di questa vostra volontà e libertà? Fino a dove siete disposti a spingervi soggettivamente per essere davvero uomini liberi e non, invece, come nella stragrande maggioranza dei casi, dei semplici ignavi o lussuriosi che trovano nell’anarchia il semplice mezzo per giungere alle vane glorie della vanità e del consumo, della mollezza di spirito e del delitto intellettuale?

Certo è che i grandi pensatori e molti fra uomini e donne del pensiero e dell’azione anarchica non volevano emulare, de facto, l’essenza della società e della morale borghese, di certo né Bakunin né Kropotkin né Proudhon né (anche se quest’ultimo non può essere inserito nella sfumatura socialista/comunista/mutualista anarchica, ma è bene citarlo per poter portare la riflessione su livelli più ampi) Stirner hanno teorizzato ciò né tantomeno è mai stato presente nei loro istinti e nelle loro tensioni etiche.

L’attuale composizione dei cosiddetti “ribelli” anarcoidi non è altro che il risultato dello stesso anarchismo che, come esso stesso propugna, può essere solamente individuale, può essere solo una libera decisione e spinta dell’individuo nel cercare in sé stesso qualcosa di grande e di valore, combattendo contro ogni restrizione della propria coscienza, ma la coscienza, la grandezza e la libertà sono direttamente proporzionali all’essenza del Singolo, alla sua volontà e alla sua natura; non bastano le belle parole per essere degli spiriti liberi, poiché il tutto dipende dal peso e dalla profondità che si dà alle parole e alle azioni stesse, e più si è leggeri e profondi, più allora si ha il diritto di poter essere anarchici; certamente anche gli individui più mediocri o, addirittura, ignobili possono esserlo, ma ciò non cambierà affatto l’uomo che essi sono, a meno che non esistano spiriti iconoclasti e radicali che li esortino a sentire e a risvegliare questa loro coscienza sopita.

Per quanto concerne l’azione pratica di questi individui e gruppi anarchici i fatti parlano da sé: poche volte l’azione e i progetti anarchici sono stati portati avanti su vasta scala e hanno avuto un grande impatto in una determinata situazione storica e nelle menti e nei cuori degli uomini, anche se non possiamo assolutamente dire che, quantomeno in una piccola parte dell’umanità, non fecero sentire in alcun modo la loro voce nel dato momento in cui ci furono e nei tempi a venire; basti pensare alla Comune di Parigi, o alla lotta portata avanti dagli anarchici durante la guerra civile di Spagna, o ancora quella portata avanti in Ucraina nel più complesso teatro della guerra civile russa.

Ciò certamente può essere conferito al fatto che i movimenti e le organizzazioni anarchiche (soprattutto quelle di stampo prettamente socialista) non sono mai riuscite a creare da sé le giuste condizioni affinché la loro azione potesse trasformarsi dai soli scioperi, dalle sole barricate, dalle sole e singole lotte politiche in una vera e propria azione generale contro il potere centrale e la morale dominante; ma ciò da cosa può esser causato? Principalmente due possono essere le interpretazioni dell’andamento dei fatti:

  • La prima è da addursi alla forza organizzativa anarchica, colpita principalmente dal fatto che essa si basa su dei rapporti totalmente orizzontali ed egualitari; il problema non sta, certamente, nell’equa partecipazione di ogni uomo e donna nel processo politico e decisionale, bensì nell’assenza poi di un quadro preciso in cui poter agire e quindi la dispersione delle forze all’interno dell’azione stessa e delle sue finalità.
  • La seconda motivazione è che la stessa etica anarchica presuppone l’assenza di gerarchie e di un’autorità centralizzata che si occupi della gestione delle questioni “pratiche” (es. La gestione della burocrazia) e che garantisca la presa di comando da parte di un ristretto gruppo di individui, fra i più capaci, che si occupi di dare poi l’indirizzo politico, etico (in primis) e decisionale (in secundis) all’intera comunità; ma ciò, come la guerra civile di Spagna ci ha dimostrato, giusto per fare un esempio, è anche causa di evidenti contrasti all’interno della stessa filosofia anarchica, poiché se essa presuppone la totale assenza di gerarchie e di un’organizzazione centralizzata, come mai, su volontà dello stesso Durruti, sono state adottate alcune forme d’autorità all’interno dell’amministrazione civile e del comando militare del CNT-FAI? Una prima considerazione potrebbe assolutamente essere quella che era una situazione complicata quella in cui gli anarchici si sono ritrovati nel quadro della guerra civile spagnola, e certamente possiamo ben concordare con tale affermazione, ma al contempo ciò afferma anche un altro fatto: un’organizzazione di tipo anarchica, in un contesto che riguarda un vasto territorio, una grande popolazione (e quindi un’eterogeneità di temperamenti, idee, condizioni materiali etc.) e una situazione di lotta molto difficilmente può perdurare nel tempo, se non, appunto, a costo di sacrificare i suoi stessi propositi che poi, nel corso del tempo, potrebbero persino non essere proprio più mantenuti preferendo un tipo di organizzazione più centralizzata e cancellando completamente le basi teoriche e pratiche anarchiche.

Parlando invece dell’azione portata avanti dai singoli individui, esse in praticamente ogni caso hanno rivelato il loro carattere prettamente simbolico e “mitico” piuttosto che pratico (per citare un esempio, l’uccisione del re Umberto I da parte dell’anarchico Gaetano Bresci); sicuramente è da lodare tanto l’atto e tanto le giustificazioni che possono portare a queste azioni solitarie, ma nel più ampio spettro pratico e teorico rivoluzionario tali atti possiedono ben poca risonanza e a ben poco possono davvero servire, ma, al contrario, dal punto di vista della prassi e della teoria del ribelle, ciò non solo è la dimostrazione di come anche solo un singolo individuo, sommato poi a tutti gli altri, possa smuovere in un certo qual modo le coscienze e i cuori di altrettanti individui eroici e perfino di intere masse, ma è anche la dimostrazione di come, come già accennato più sopra, l’anarchismo, il libertarismo, la stessa organizzazione rivoluzionaria e il divenire storico e individuale possano sorreggersi solo con tali elementi iconoclasti che vadano a creare una forza affermativa contro i soprusi sociopolitici (rivoluzione) e contro il nichilismo e il caos della realtà (ribellione), cercando così la perfetta sintesi fra la libertà e la grandezza, fra l’etica e l’autorità, fra il diritto e la legge, fra i doveri e i sacrifici.

Un grave errore viene fatto da molti dei detrattori dell’anarchismo, ovvero quello di considerare l’anarchia come assenza totale di ordine, come un caos che si impadronisce di ogni aspetto della vita dell’individuo come tale e in rapporto agli altri uomini; niente di più sbagliato penseranno, giustamente, coloro che invece sanno che la libertà anarchica non pretende e non vuole il disordine, bensì l’assenza di coercizione e di imposizione autoritaria sulla vita degli individui, sul loro modo di dover pensare, agire, comportarsi in società etc.

La libertà anarchica va di pari passo con una strettissima etica che dovrà poi porsi come conciliatore fra tutti gli individui all’interno di una medesima comunità; ma giunti a questo punto siamo costretti a chiederci: se la libertà va di pari passo con l’etica, allora non sarà conseguente a ciò anche la formazione di un preciso tipo di etica e di stile di vita che, seppur non imposte con la violenza (e quindi politicamente tutti dovrebbero essere liberi), prenderanno comunque il potere all’interno di una comunità delimitando, dunque, i presupposti di nessuna ingerenza nella libertà del singolo individuo e dell’assenza di una morale “centralizzata” che faccia ritornare in auge la coercizione?

Come appena accennato, la coercizione di stampo prettamente politico all’interno di una società anarchica può essere ben mitigata se non sparire quasi completamente con una totale eguaglianza sul piano decisionale e quindi legislativo, esecutivo e giudiziario, in un sistema in cui tutti i componenti di una comunità (comunità federate fra di loro) saranno esortati a prendere attivamente parte, in modo spontaneo, autonomo e diretto, alla vita politica comune; pertanto, sotto questo punto di vista, possiamo affermare che una sorta di totale libertà per ogni individuo sia finalmente raggiunta, ma è veramente così?

Lo sviluppo di ogni società umana e, soprattutto, di ogni singolo individuo, ci insegnano come ogni essere umano sia munito di una sua propria natura che viene influenzata sia dal contesto particolare sia dal contesto spirituale (leggasi culturale) e materiale (socioeconomico, politico e naturale), pertanto ad ogni natura equivarrà, di conseguenza, un tipo di etica e di società che più si adattino a sé stessa, ma è giusto dover ritenere come completamente uguali ogni natura esistente?

Già da questo punto di vista si sta facendo una chiara dichiarazione etica in cui si afferma che ogni individuo è uguale all’altro, pur con tutte le differenze legate proprio a quelle particolarità della natura di ogni individuo; ciò significa che il valore di quest’ultimo non sarà certamente negato in nome di questa uguaglianza, ma si richiederà a tali spiriti superiori di doversi conformare agli assolutismi etici della nuova società in vista di una totale libertà etica, ideologica ed economica (non intese in senso liberale e liberista, chiaramente, bensì intese come assenza di coercizione, nel destino e nel modus vivendi per la prima, nella politica per la seconda e nelle necessità materiali di ogni individuo per la terza), togliendo loro, aprioristicamente, non la libertà di esprimersi quanto invece la loro libertà e il loro dovere di imporsi, come è naturale che sia, all’interno dell’assetto filosofico della società.

Pertanto, il fine ultimo e illusorio, che è preceduto proprio da dei principi che fondano le proprie basi solo su dei desideri finali che su delle analisi delle cose per quello che sono e per nulla differenti da quelli borghesi e nichilisti, dell’anarchismo umanitarista non è altro che l’instaurazione di un nuovo ordine Totale del tipo “umano” che sacrifichi ancora una volta tutti i presupposti per la giusta nascita e divenire di ogni grande umanità, cultura e storia; pertanto, non solo l’anarchismo, su questo punto, si illude di poter abbattere qualsiasi tipo di ingiustizia e qualsiasi tipo di potere solo con l’eliminazione di quegli apparati prettamente politici che, sul medesimo piano, favoriscono la violenza dello stato, di una determinata morale e di un determinato sistema socioeconomico, senza però tener conto del fatto che, quantomeno sul piano politico e spirituale, le masse non possono essere creatrici di grandi rivoluzioni e di grandi ordini e culture se non nel solo atto pratico di adottare o di contrastare tali creazioni o di una classe in decadenza o di spiriti superiori, di geni i quali, con la loro grande sensibilità e razionalità, non si lasciano piegare da alcun tipo di moralismo e di dogmatismo esistente, portando sia eticamente(culturalmente) sia storicamente l’umanità a nuovi gradi di sviluppo e di evoluzione; esso, come appena detto, si illude anche del fatto che l’uomo sia destinato e naturalmente predisposto alla volontà anarchica, quando ciò è possibile solamente per una ristretta cerchia di individui i quali hanno le giuste facoltà superintellettuali e supermorali per poter essere degli spiriti liberi.

Questo non significa che le masse, la cultura, le tradizioni e la storia già esistenti in un dato contesto non facciano alcuna differenza, anzi, come già detto le prime sono anch’esse munite di una razionalità e di una creatività tale da poter accedere a una vera e propria elevazione spirituale del proprio animo, portandoli a comprendere pienamente i meccanismi e le volontà delle realtà naturali e sociali, ma al contempo, essendo, tali individui, esseri e divenienti meno accorti rispetto a quegli aristocratici di cui parlavamo sopra, da soli non possono far altro che vivere, pensare, distruggere e creare solo attraverso delle facoltà intellettive, morali e sentimentali mediocri e al limite della ferinità, pertanto, così saranno tutte le rivoluzioni che essi porteranno avanti; inoltre, per quanto concerne invece proprio i loro prodotti nella cultura e nella storia, essi serviranno comunque proprio come base per lo sviluppo e la critica di sé stessi e per la nascita di grandi menti e cuori che avranno il compito di osservare quella stessa mediocrità in cui sono cresciuti per farne critica e terra bruciata, un grande tempio da spianare per erigere non già altre Torri di Babele, bensì tutte quelle opere dell’intellighenzia e delle volontà attive e vitaliste.

Sotto il punto di vista della sperimentazione di nuove forme di governo, di morali, culture etc. L’anarchismo presenta un ottimo mezzo per portare questo tipo di insaziabile ricerca scientifica, intellettuale e artistica a nuovi grandi livelli e possibilità, ma ciò deve anche scontrarsi con la stessa eticità totalizzante e confusionaria insita nell’organizzazione politica anarchica.

Il problema non sta nell’avere dei principi cardine sul piano politico, sociale ed economico su cui doversi attenere per giungere ai fini che l’anarchismo si pone per il raggiungimento di una società più libera e migliore, bensì nel rapporto fra i singoli individui e fra le comunità autonome presenti in vaste porzioni di territorio, come può essere il territorio di una grande nazione (all’inizio sono stati citati i territori sotto l’influenza della CNT-FAI in Spagna e della Makhnovia in Ucraina): se diverse comunità o gruppi di individui dovessero decidere di non sottostare più a quei principi fondanti della nuova costituzione filosofico-politica di un territorio anarchico e magari decidessero persino di appoggiare nuove forme di governo e nuovi principi in antitesi (più o meno distante) con tutte le altre comunità, quest’ultime avrebbero il diritto e il dovere di poter imporre nuovamente e magari anche con la violenza il proprio volere su questi “ribelli antisociali” che minano la stabilità non tanto delle comunità in sé quanto invece dell’ideale rivoluzionario?

Ciò sicuramente sarebbe un’altra contraddizione che va solo a creare un incoerente chimericità all’interno dello spettro anarchico, poiché mancano proprio nelle fondamenta dello stesso i giusti presupposti per poter definire in modo Unitario ed equilibrato e non più Totale e incoerentemente contraddittorio non solo il modus operandi da dover seguire in casi come questi, ma anche nella stessa cura e responsabilità degli uomini dinanzi al loro singolo e collettivo sviluppo; ciò pertanto non porterebbe ad altro che a un disorientamento sul piano dell’agire pratico (con la conseguente decadenza in un inutile dogmatismo dottrinario e/o caotico), della veduta teorica di tali accadimenti e della conseguente assente o superficiale critica e, infine, alla falsa e mediocre responsabilizzazione del singolo solo nei limiti delimitati dal supremo principio di libertà che, come già spiegato, viene semplicemente inteso sempre nella sua forma moralista e compassionevole e non, invece, superomistica e naturalista, scadendo ancora una volta nella divinizzazione della bontà assoluta tanto come ricerca e fine che come prassi.

Inoltre, qui si è trattato di una ipotetica presa del potere dell’anarchismo in un territorio nazionale e che si sia già ben stabilito come forza dominante all’interno dello stesso (che, oltre a riportare tutti i problemi e i contrasti irrisolti già riportati sopra, spesso non tiene nemmeno conto delle stesse condizioni storico-tradizionali di un popolo e di una nazione, causando quindi, nella sua azione molto spesso irruenta, una totale distruzione indiscriminata di tutto il vecchio apparato culturale senza alcuna considerazione prettamente strategica e razionale per il raggiungimento dei propri fini; ciò non significa affatto che le utopie non sono permesse e che bisogna adattarsi in toto alle condizioni materiali di un determinato popolo, ma bisogna cercare di equilibrare i propri fini a una buona strategia che permetta il consolidamento e lo sviluppo di una buona prassi rivoluzionaria, senza quindi alcun tipo di sentimentalismo conservatore e progressista), chiudendo quindi un occhio su tutti i problemi organizzativi e morali conseguenti alla propria vittoria e supremazia su tutte le altre essenze e forme spirituali; trattando quindi il tipo di organizzazione che le comuni anarchiche potrebbero sviluppare all’interno di un contesto in cui la lotta per il potere è ancora accesa e dove sono necessarie delle forme di autorità, gerarchie formali e coercizione (vedasi le già citate esperienze in Francia, Spagna e Ucraina), ecco che anche l’organizzazione politica e l’amministrazione civile locale e nazionale dovranno far fronte a delle necessità del momento impellenti che le porteranno all’ennesima contraddizione già accennate nella critica al primo punto della questione.

Ricapitolando brevemente tutto quello che è stato detto in rapporto a questi tre temi, i principali problemi dell’anarchismo sono da ritrovarsi: nel suo illusorio umanitarismo; nella sua volontà di livellamento e/o di uguaglianza forzata (sul piano culturale e spirituale) di tutti gli uomini; nei suoi riscontri pratici che, oltre ad essere contradditori con la sua stessa etica, su grande scala favoriscono una spinta organizzativa troppo spontaneista e troppo poco strategica e ben salda; nei contrasti fin troppo laceranti ed evidenti nella sua organizzazione prettamente politica delle comunità autonome.

Ora, però, è necessario anche affermare che grazie alle esperienze pratiche e all’evoluzione teorica dello stesso anarchismo e degli altri movimenti e filosofie libertarie, possiamo accingerci a costruire qualcosa di migliore e, magari, anche di nuovo che non solo possa risolvere (almeno parzialmente) le principali criticità già affrontate, ma che ci dia anche nuovi orizzonti per immaginare e creare un tipo sempre più nuovo, più grande e più libero di umanità, libero da tutti i moralismi e detentori di una più forte Etica, distruttore di tutti i giochi e creatore di un nuovo Pathos, distruttore degli uomini civilizzatissimi per la creazione di un’umanità più barbara ed elevata in ogni campo, dal pensiero alle scienze fino alle arti, combattendo quindi contro ogni forma di oppressione e debolezza.

Costruzione Critica di una Nuova Libertà

Dopo aver spiegato quali sono le principali debolezze (sul piano filosofico, politico e organizzativo) dell’anarchismo, siamo finalmente pronti per dare un nuovo e migliore indirizzo a quegli stessi punti criticati per permetterci di non abbandonare del tutto i buoni principi anarchici e per la creazione di un nuovo modo pensare, sentire e organizzare la nostra vita individuale e collettiva e per portare avanti l’innalzamento della nostra volontà e la lotta contro le forze a noi ostili.

Da dove partire dunque?

Anche qui, riprendendo ciò che è stato già fatto all’inizio della prima parte, possiamo designare tre punti su cui poter svolgere la parte principale di questa costruzione critica per una nuova forma di libertarismo destinata a diminuire le contraddizioni interne al pensiero anarchico e a far valere al meglio i fini di quest’ultimo:

1) Costruire una nuova Etica non più basata sul pensiero umanitarista e ugualitario, ma fondata sull’eroicità del vivere tragico, rinunciando quindi a ogni salvezza per scegliere la beata dannazione dell’uomo.

2) Organizzare un nuovo tipo di società basato non più sulle gerarchie e le forme di potere formali e oppressive ma sull’egualitarismo sociale e politico e l’innalzamento del carattere artistico, filosofico e scientifico di ogni essere umano, con la conseguente distinzione e solidarietà spirituale che si andrà a creare grazie alla Distanza che separa i “tipi e i talenti” creatori e rivoluzionari dai “geni” cercatori della propria unione fra il sangue e l’inchiostro.

Siamo nati troppo tardi per poter assistere di persona a quell’epoca che ha portato al definitivo tramonto e a una nuova alba l’Europa intera, siamo nati troppo tardi per poter stare fra la fine e l’inizio di qualcosa di enorme e di spaventoso e pericoloso per chiunque, le nostre sono le generazioni degli intermezzi, di quelle epoche che hanno la grande possibilità di essere il punto di svolta per un nuovo inizio (e una nuova e prossima fine); ma finora cosa è stato creato di così grande nell’esperienza italiana e in quella internazionale da potersi permettere di definirsi come quello spartiacque che si inserisce in questo grande intermezzo?

Fino ad ora abbiamo conosciuto i caratteri di una grande ribellione che non porta, come se fosse un marchio indelebile, uno stendardo politico, che non agisce solo in funzione storica, ma che si estende per coprire sé stessa e la stessa storia fino a farne un moto di accettazione e di conquista della vita, in qualunque forma si preferisca.

Parlando di esempi più concreti di queste forze, esse riguardano, in primis, le grandi esperienze del presente e del futuro che, in ogni momento della storia e del nostro impegno creativo, troveranno sempre spazio in ogni angolo dell’Italia e del Vecchio Continente (da dover svecchiare!), e si tratta proprio del movimento artistico e politico fondato da Filippo Tommaso Marinetti, il futurismo, e l’altrettanto elogiabile moto del Vate d’Italia, Gabriele D’Annunzio.

Tali movimenti, seppur con le dovute differenze di veduta, detengono comunque in comune la totale immolazione per la creazione di un destino superiore che riguardi non solo l’individuo, ma anche la nostra patria e il mondo intero, poiché una volontà che voglia veramente ampliarsi sempre, che tenda perciò al massimo grado della propria potenza dovrà essere tanto acuta quanto profonda; dovrà farsi portatrice non del mero opportunismo mondialista e borghese o delle illusioni messianiche del socialismo e comunismo umanitario, bensì di un internazionalismo e un’eguaglianza prettamente latini, non annebbiati dal desiderio di ricchezza e benessere, ma dal più alto sacrificio di sé per sé e per l’avvenire della grande libertà e della grande giustizia.

Il tono e l’essenza di tutto ciò, sicuramente a molti non sarà sfuggito, contiene effettivamente un intrinseco significato e significante alquanto metafisico e persino avveniristico, e questo è assolutamente vero e innegabile e, anzi, vorrei perfino innalzare ciò come un vanto, ma è anche doveroso spiegare brevemente il perché di tutto ciò.

Nessuna grande prospettiva, nessuna grande condanna, nessuna grande rivalutazione delle cose e delle persone, nessuna lotta fra i contrari, dunque, può avvenire in modo ateo, nessuna grande volontà, nessuna Rivolta contro il mondo può avvenire nel comodo quadro di una semplicità dei valori, essa può appartenere unicamente a due categorie di persone: i credenti e coloro che si illudono di non esserlo; noi al contrario possiamo ben definirci come qualcosa di più contorto e sfuggente del credente e dell’ateo, noi siamo immanentisti, ma non per questo siamo delle bestie o ci sacrifichiamo per gli altari.

Dunque, se l’obiettivo è quello di creare in noi e in questa nuova società futura un’essenza e una struttura votata all’ardore della volontà e dei sensi, all’intellighenzjia derivata dal sapere e dal vivere filosofico e alla giustizia come forma materiale di questa rivolta contro un’esistenza vuota e piena di sofferenza, quale forma di stato, di governo, di società e di economia possono cercare di avvicinarsi il più possibile e tendere sempre di più a tali necessità del corpo, dell’anima e della mente?

In termini puramente astratti, un prototipo di questa società equivarrebbe a uno stato di tipo libertario e federale, con un governo costituito non più dai rappresentanti dei partiti e dagli interessi del capitale e della borghesia, bensì dalla vera ossatura di ogni grande popolo, di ogni grande civiltà e rivoluzione e, in particolare, dalla vera essenza del popolo italiano: le grandi individualità dei giovani, che andranno a costituire le nuove generazioni di artisti, pensatori e tecnici; e infine gli operai, uomini semplici dotati di una naturale sensibilità nel saper cogliere al volo gli aspetti più importanti delle condizioni sociali ed economiche di uno stato e quei piccoli aspetti della vita che la rendono tanto bella, drammatica e ironica.

Solo dalla fusione di una grande gioventù e di un grande proletariato completamente rinnovati (spolverati dai rimasugli di ogni passività e pochezza di sensibilità degni di ogni bravo borghese), innalzati ad una nuova coscienza della realtà dell’Essere e della storia e guidati nello sprigionamento delle loro individuali forze creatrici potremo dare a ogni uomo ciò di cui necessita primariamente per poter vivere nel modo più degno possibile: una mente vasta, un cuore profondo, uno spirito aristocratico e il pane con cui potersi nutrire; tale processo, come già accennato nella prima parte dello scritto, potrà essere portato avanti principalmente dai due motori del divenire e dello sviluppo umano, ovvero dai singoli illuminati e dalle masse coscienziose (oltre che, di conseguenza, delle adatte contingenze storiche e culturali, ma qui bisogna anche fare una piccola precisazione, ovvero che per masse coscienti e individui illuminati certamente, in questo caso almeno, sono intesi come spiriti liberi e masse pur sempre affini alle linee tracciate all’interno di tale scritto, ma esse sono solo una sfumatura e, quindi, una parte di tutte le grandi forze rivoltose che, nei singoli iconoclasti e/o nelle masse volenterose e coscienziose si possono sviluppare, ciò perché non esiste un singolo “essere etico” né tantomeno un “essere uomo” all’interno del carattere della Rivolta, a dimostrazione di come essa non solo si sia sviluppata in modi differenti a seconda dei tempi, ma di come sia differente anche fra i singoli individui che si ergono a suoi rappresentanti).

Da ciò deriva anche una netta presa di posizione contro ogni genere di “totalitarismo” e demagogia, contro ogni forma di mediocre religiosità ateistica e scientista che affida un cieco ottimismo alla implacabile e indiscutibile lotta che va portata avanti solo ed esclusivamente per la rivoluzione, tendendo quindi lo sguardo solo verso l’utopia e non anche verso l’umanità del presente; il nostro essere dei rivoluzionari va di pari passo col nostro essere dei rivoltosi, qui l’uomo in rivolta di Camus e la sua lotta e rivalsa contro il nichilismo nel nichilismo stesso è l’esempio più lampante da cui poter prendere spunto, il nostro di fatto non dovrà essere uno scontro che servirà solo per buttare giù l’ennesima corona senza però sbarazzarsi del trono; non sarà l’ennesima lotta puramente idealista e nichilista come lo sono tutte quelle insurrezioni che continuano a guardare nel cielo azzurro a immaginare mondi mai esistiti, bensì una lunga introspezione succeduta del ritorno degli occhi alla terra stellata e piena di aspirazioni oltreumane.

In sintesi, conciliare Dostoevskij con la ribellione aristocratica, avanguardista e, dunque, rivoluzionaria, aprire il mondo superiore per far emergere gli abitanti tragici del sottosuolo, ergere a mezzo ogni grande fine per giungere finalmente a una vera Unità del singolo con sé medesimo e con i suoi compagni, lasciando agli indifferenti e agli sconosciuti non il suo disprezzo, ma il suo onore cavalleresco da vittorioso come da vinto, rimanendo sollevato e gaio anche dinnanzi alla morte; la rivolta non è dunque un baluardo di salvezza, né tantomeno una fabbrica di militanti e di capi, ma quel leggero filo interiore smosso dai venti e dalle tempeste, sensibilissimo a ogni movimento, eppure sempre saldo lì sui cardini su cui si regge.

Partendo da tutte le considerazioni fatte fino ad ora, è tempo di porci l’ultima questione di questo piccolo scritto: come sarà formato il corpus strutturale di questa nuova società e di questo nuovo stato?

Essendo questa una società di uomini liberi e uniti, grandi e piccoli, intellettuali/artisti e lavoratori, lo stato sarà necessariamente di stampo libertario, aristocratico, universale e socialista.

Partendo dall’organizzazione delle varie comunità locali, provinciali e regionali, esse saranno rette da dei consigli che riuniranno le unioni dei lavoratori e dei tecnici (sindacati, cooperative, aziende socializzate etc.), degli intellettuali artisti e scienziati (circoli culturali di qualsiasi tipo, le associazioni universitarie etc.), con dei consiglieri eletti tramite un sistema democratico-organico attuato all’interno dei luoghi di lavoro e di cultura; questi consigli avranno il compito di dover gestire gli affari riguardanti l’economia:

più precisamente sul piano della produzione di beni primari/secondari e la gestione dei servizi, dell’organizzazione del mercato interno e della distribuzione dei beni di prima necessità e, infine, della gestione congiunta delle aziende rurali e cittadine fra i lavoratori, le unioni sindacali e le corporazioni; per quanto concerne il primo caso, i lavoratori, i sindacati e le corporazioni dovranno occuparsi rispettivamente della raccolta dei dati sui bisogni di ogni lavoratore e dei suoi potenziali parenti, moglie/figli e amici per poi riferirli ai sindacati dei lavoratori e dei tecnici (con dei rappresentanti eletti fra le due categorie tramite delle elezioni democratiche sul luogo di lavoro) che si occuperanno di organizzare la produzione dei beni per una determinata comunità di individui e dell’equa spartizione del salario per la compera dei beni di consumo, di fatto i beni di prima necessità, come già detto, saranno direttamente distribuiti fra la popolazione locale; per quanto riguarda invece il controllo e la gestione del mercato interno nazionale e locale esso sarà regolato dalle corporazioni (in cui saranno riunite tutte le macrocategorie di lavoratori, siano essi degli specialisti o dei qualificati/manovali) e dallo stato nazionale/dalle regioni federali e più piccole località in base alle esigenze economiche, sociali e politiche, cerando di trovare una buona unità ed equilibrio sia nella protezione dell’economia sia, invece, nella sua necessità di doversi sviluppare e protrarre sempre di più, cercando di sviluppare così un senso del rischio e, al contempo, della misura tali da potersi completamente distaccare dal vecchio sistema psicologico-morale-politico del passato borghese, immobilista e sfruttatore.

La cultura e l’istruzione:

con un’organizzazione decentralizzata del sistema scolastico, rimanendo però pur sempre in “stretto contatto” con gli organi di governo superiori che saranno incaricati solamente di confrontare i sistemi migliori che nasceranno dalla sperimentazione degli stessi nelle varie scuole materne, elementari, medie, superiori e universitarie per poi cercare di trasferire tali metodi innovativi in tutto il resto del territorio; inoltre sarà data la massima importanza allo sviluppo caratteriale e delle singole qualità di ogni ragazzo fin dall’infanzia, facendo diventare così le ore di otium e di lavoro delle attività non più distraenti e costrittive, ma dedite alla creatività e al suo sviluppo nelle arti, nel pensiero, nel rapporto con gli altri ragazzi e con sé stessi e, dunque, a una presa di coscienza da parte di questa rinnovata gioventù dello “thauma” della vita. Inoltre, data le naturali differenze nelle tendenze di ogni essere umano, i ragazzi, col passare del tempo e del loro apprendimento e conoscimento di sé, saranno poi suddivisi in differenti gruppi in base alle loro qualità e ognuno di questi gruppi sarà indirizzato verso delle classi e dei corsi di studi adatti alle loro capacità, così da sfavorire il disperdimento degli spiriti e menti migliori e cercando di dare la giusta possibilità a chiunque di poter valorizzare al meglio i propri caratteri, ciò pertanto non significa assolutamente che sarà un processo sistematico e assolutista, bensì completamente meritocratico, pertanto ogni studente dovrà guadagnarsi con l’impegno e l’audacia il posto a cui vuole destinarsi, inoltre non vi sarà alcuna esclusione dei ragazzi meno dotati all’interno del sistema scolastico, rappresentativo e sociale, giacché potranno sempre imparare qualche cosa di nuovo sia sul campo conoscitivo sia dell’esperire e, col passare delle generazioni e con il possibile aumento dell’intelligenza e sensibilità nella popolazione, persino gli individui meno intelligenti e profondi o anche soltanto quelli nella media saranno pur sempre dotati di attributi che prima, magari, possedevano i ragazzi nella media (per quanto riguarda i primi) o sopra di essa (per i secondi), portando così a una coscienziosità e altezza spirituale sempre maggiore e migliore in tutti gli uomini.

La magistratura, essendo essa l’applicatrice della Legge che vigerà all’interno dello stato e, soprattutto, essendo che tale nuova Legge dovrà coronare l’allontanamento da qualsiasi spirito di casta censura, di assente levatura morale e di coscienza e di ingordigia materiale, dovrà severamente rimanere indipendente e dedita esclusivamente al giusto e consapevole ordinamento delle questioni giudiziarie; ciò, dunque, equivale anche a dover creare un nuovo senso di giustizia che non sia falsamente austera (ma farisea) bensì improntata alla sollevazione del dubbio e del rinnovamento dei rapporti e delle concezioni morali e sociali; ciò non significa assolutamente che i reati contro il giusto ed eroico vivere collettivo saranno trattati e giudicati con frivolezza infantile, facendo appello (ad esempio) a ciò che l’animo imbestialito o colmo di compassione ci dice in quel dato momento, ma che dovrà esser posta l’enfasi sul fatto che ogni caso non andrà trattato con una fredda applicazione burocratica degli ordinamenti giuridici, ma avrà bisogno anche della conoscenza e comprensione delle quinte di ogni fatto; se un uomo fosse costretto a rubare solo per poter sfamare almeno un po’ la propria famiglia, perché la società dovrebbe condannarlo duramente per aver provato a fare del bene a delle persone togliendo a delle altre solo della materia che sarà poi redistribuita (nemmeno da comperare dunque!)?; o ancora, se una manifestazione dovesse pian piano tramutarsi in un vero e proprio moto di rivolta, se esso portasse con sé degli elementi che possano contribuire al cambiamento della società in modo positivo, non avrebbe senso condannare tali azioni anche se dovessero sfociare nella violenza.

Il potere giudiziario, dunque, sarà organizzato nel seguente modo:

Partendo dal gradino più basso della gerarchia e dell’organizzazione giudiziaria, saranno istituiti dei comitati locali, provinciali e regionali composti esclusivamente dai magistrati (selezionati non dalla popolazione come per i sindacati e gli altri comitati, ma scelti direttamente da un organo consultivo composto, a sua volta, da saggi ed esperti magistrati che avranno il compito di verificare la validità di quest’ultimi e del loro percorso di studi per poi dare la delibera alla loro partecipazione ai tribunali locali, provinciali e regionali) e da un esiguo collettivo di uomini e donne scelti dalla popolazione come rappresentanti del giudizio popolare su di un determinato caso.

Più in profondità di questa gerarchia troviamo invece il Tribunale per l’Unità, il quale sarà usato solo in casi speciali riguardanti i casi in cui vengano coinvolte le personalità politiche e giudiziarie; questo tribunale (con sede nella capitale della Repubblica) sarà presieduto da un consiglio delle 20 più elevate e specializzate figure giuridiche di tutto lo stato, in modo tale che, sia sul piano dei prìncipi sia su quello pratico e reale, ci si possa sempre attenere alle migliori e più libere discussioni indirizzate alla comprensione e risoluzioni di tali casi speciali.

Poi dobbiamo anche trattare della questione delle forze armate, facente parte dell’ossatura della nuova società anzitutto come una delle principali forme d’espressione e di creazione dello spirito di uno stato, di una società e di individui sublimi nei loro doveri e lussi e ben ricompensati con quei diritti che garantiranno loro tanto il riconoscimento delle loro capacità quanto una giusta ed equa libertà che serva per riconoscere e accrescere la propria natura individuale; per tali motivi, la cosiddetta levée en masse e ogni forma massificata nella qualità e nei numeri di un esercito sono completamente distanti dalla concezione di guerra, di lotta, di comando, di disciplina e di libertà di un vero popolo aristocratico e giusto che conta unicamente sulla buona razza dei suoi uomini e non sulla loro quantità; non sarà dunque il gregge massificato a formare l’armata che dovrà difendere l’ordine e la sicurezza della nostra nazione e portare in alto le sue aspirazioni universali, bensì una casta di audaci e fieri volontari addestrati non solo nelle materie belliche, ma anche nello stesso spirito che la guerra e lo scontro richiedono, cercando, quindi, di elevare tali uomini ad un alto senso di onore, sacrificio e spirito di conquista; ma, come già detto in precedenza, essendo anche l’esercito un ulteriore specchio su cui rifletterà il carattere dell’uomo nuovo latino e universale, sarà assolutamente necessario che le armate non siano composte da truppa senza cervello, da mezzi-uomini che come unico dovere hanno quello di seguire il loro Cesare negli ordini che dà e nella sua stessa volontà, a tale processo dovrà essere parallela la presenza di uno spirito intellettuale e culturale degno non solo del portamento di questa élite di uomini, ma anche utile per instillare continuamente in essi, in tutti gli strati della popolazione e in tutte le nuove generazioni un senso sempre pronto e rinnovato di fresca giovinezza e saggia maturità di intelligenza e argutezza, di creatività e solida unione, di partecipazione e senso del dovere che, come già detto, non sarà presente unicamente nei ranghi delle forze armate, ma (in primo luogo) nello spirito individuale e collettivo di tutti gli uomini a seconda delle loro capacità e delle loro aspirazioni che troveranno un posto adatto e rispettoso in ogni angolo della società e della vita intellettuale e lavorativa della nazione.

Infine, dopo aver trattato delle basi etiche, estetiche e reali dello Stato Nuovo, dopo aver delineato la sua struttura nelle sue varie parti, è giunto il momento di trattare dell’ultima sua colonna portante e massimo esempio dei valori di questo arcaico e rivoluzionario spirito ribelle e intransigente nei confronti di tutte le bassezze dell’istinto, di tutti i moralismi retti soltanto da delle vuote e momentanee emozioni e dai sistemi che si allontanano dalla realtà delle cose umane e naturali, così come sono le politiche, le idee, le arti e le vite degli uomini più vuoti e deboli che abitano da sempre la terra, ma che in questi ultimi secoli hanno guadagnato una somma tale di potere da potersi permettere di governare e modellare la vita e le vite di ogni uomo col proprio modo di essere e volere.

Come già esplicato all’inizio di questa seconda parte, la forma e l’essenza del governo e dello stato di questo “grande e rivoluzionato mondo” saranno essenzialmente di stampo:

Aristocratico; poiché solo chi si impone e possiede per natura il dovere di volersi elevare al di sopra e/o al di là della massa informe e, soprattutto, delle bassezze dell’intelletto, dei doveri, degli svaghi, delle passioni, delle morali etc. per trovare in sé la grande forza di imporsi sia un destino sia un eterno presente avrà anche il diritto di guidare gli uomini verso migliori e poderose realtà e utopie.

Libertario; poiché una società composta da spiriti liberi e gai ma assolutamente priva dell’animo borghese e velleitario dello stesso e che punta alla creazione di questa stessa razza di uomini non può che adattarsi alle necessità naturali di ogni uomo e alle necessità dell’avvenire che da quelli più grandi verrà imposto (senza demagogia e illusorietà alcuna) alle masse da elevare, regolando così la natura umana con le rispettive singolari nature e con l’ambizione e la forza d’animo delle medesime.

Repubblicano; poiché non vi possono che essere grandi doveri e grandi diritti solo lì dove è presente una vera partecipazione di tutti gli uomini in modo giusto e ordinato alla vita pubblica sociale, economica e politica, nazionale e internazionale.

Federativo; poiché solamente una legislazione meno legata a una fredda burocrazia e formalità potrà conferire agli uomini semplici e alti il dominio di sé e la liberazione di sé stessi dai vincoli delle norme moraleggianti per la giustizia e forza naturali.

Sociale; poiché la necessità di porsi come uomini che non vivano di e per i dogmi, le menzogne, i demagoghi e la decadenza dei sensi e della ragione ci conduce anche al rigetto di qualsiasi forma di degenerazione dei legami fra l’uomo e i rapporti sociali, economici e lavorativi creati e portati avanti dalle ideologie che predicano l’accumulazione materialistica e il disprezzo per qualsiasi forma di vera libertà, coscienza e volontà presenti nell’uomo (ma ciò non si deve assolutamente confondere con i sistemi del pensiero materialistico che, a differenza degli economicismi, del consumismo e, appunto, dell’accumulazione materiale e l’apatia e l’indifferenza da essa generata, ci porta ad analizzare al meglio possibile quelle stesse condizioni storico-economico-sociali che, in parte, regolano l’esistenza stessa delle società e degli uomini, ma bisogna anche riconoscere che tali analisi possiedono delle limitazioni a cui deve correre in ausilio una visione improntata sul piano “psico-morale” e non unicamente materiale dell’uomo e della società).

Conclusioni

“Anarkhiya Mama synov svoikh lyubit” diceva una canzone rivoluzionaria ucraina della prima metà del ‘900; ebbene, anche se è una madre che pretende una forma e un legame reciproco che ha delle difficoltà a rimanere davvero saldo, non significa affatto che non lo si possa vivere abbastanza bene già ora o che non lo si possa addirittura migliorare e far maturare dentro di noi.

Ma la strada è lunga, non è lineare e tantomeno tranquilla, ma abbiamo già avuto il coraggio e la forza per poterla iniziare a intraprendere, perché doversi fermare ora che si incontrano le prime vere asperità?

Proprio come un parente che non comprendiamo appieno e che non ci comprende davvero, anche se possiamo esser spinti dall’impulso dell’abbandono nei suoi confronti, al contempo un altro istinto d’amore e potenza ci spinge a rimanere per cambiare completamente la situazione; e la calma e arguzia della ratio ci permette di sviluppare al meglio questo cambiamento che vogliamo vedere.

Non siamo nati per un’impresa simile ma, meglio ancora, abbiamo scovato in noi la volontà e la necessità di voler abbattere ogni paradigma per donare al mondo e al tempo kg di tritolo e libertà, consapevolezza e non più castità e non già fluidità; il dinamismo ha bisogno di buon cibo per potersi rinvigorire, e non di magre minestrine contadine o di lavorazioni industriali su vasta scala; è la fresca aria, l’aria di montagna e del cielo ciò che genera e rigenera l’uomo nuovo, non l’aria del conservatorio o del climatizzatore.

Il processo di rielaborazione del “sistema-lirica” anarchico ha bisogno di uno svecchiamento e di una rinnovata rinfrescata da parte d’uno stile veramente incendiario, giovane ed elevato, che lo porti lontano dall’ammasso umanitarista-decadente che lo incatena non solo ad un’assenza della sua realizzazione pratica del vasto e profondo progetto di cui si fa portatore, ma anche ad un edificio ormai prossimo a crollare per via della sua pessima architettura e della riprovevole qualità dei suoi materiali, per potergli finalmente offrire la possibilità di ristabilire i suoi archi di trionfo e non più delle chiese o dei centri commerciali che castrano corpo e volontà.

E dunque, dopo aver presentato le varie critiche e le loro motivazioni sul perché l’anarchismo, non solo nei nostri giorni, ma in tutte le epoche a partire dalla sua nascita, debba esser ripensato andando oltre i suoi caratteri moraleggianti quali l’innata uguaglianza e libertà umana e la sua “predestinazione” a forma-essenza perfetta della vita sociale, si è giunti a dei nuovi porti, in delle nuove e vivide città in cui poter risanare il nostro spirito d’avventura, di conoscenza e d’ingegno; la più alta forma di sensibilità, intellighenzia e potenza umana non può di certo reggersi su delle pretese che fanno capo alle stesse illusioni e debolezze di quelle filosofie e di quegli ideali che compongono lo spettro di forze ai quali l’anarchismo e il libertarismo si contrappongono, così facendo cambierebbero solo le parole per definire gli stessi identici concetti, cambierebbe solo la forma della vita ma non la vita stessa, si passerebbe semplicemente da un’incoscienza all’altra; e tutto questo mosso dal desiderio che accumuna ogni volontà passiva: la sicurezza, il benessere, la faciloneria, l’astuzia nel saper sviare ciò che punge per mantenere la pelle delicata e intatta da qualsiasi pericolo e possibilità, filosofia del risparmio (per alcuni) e dell’accumulazione (per altri)!

Ecco perché non è il carattere che anela alla liberazione dell’uomo, che pretende l’esplicazione delle sue più grandi forze, che afferma la sua sensibilità e vicinanza a tutto il genere umano, che vuole vedere la fine del dominio del materiale sullo spirituale; non è minimamente la nobiltà d’animo ciò che non va nell’anarchismo, bensì la pretesa che la natura e la ragione della stessa abbiano una sola faccia, che il potere e la forza siano solo dei mali che offuscano la mente, che le “sante forze della libertà” abbiano il diritto di ritenersi ontologicamente superiori a qualsiasi altra visione.

Un miglior tipo d’uomo ha il compito di forgiare il nuovo spirito anarchico del secolo ventunesimo, ed esso non è né lo scribacchino ed intellettuale da salotto né tantomeno il decerebrato da strada, e nemmeno il figlio del borghesotto di turno, bensì un uomo gentile e fedele alla sua sola aspirazione, conciliata con una razionale volontà di creare una titanica e prometeica opera di elevazione del presente e del futuro stesso; farsi tempo per trascenderlo e per poter andare oltre a tutti gli scientismi e alle fedi d’umana (in)coscienza, essere esso stesso scienza, fede e volontà verso solo ed esclusivamente la propria opera.

E le masse delle classi che più possono sentire le potenti cariche degli individui, delle civiltà e dei secoli fecondi e, al contempo, che possono meglio vivere i soprusi delle morte caste usuraie (poiché da quest’ultime vengono direttamente privati della vitalità), accompagneranno, edificheranno e vivranno insieme a questi cavalieri, poeti, filosofi e scienziati, insieme all’avanguardia della fine dei tempi e del nuovo caos delle forze arcaiche; il rinnovamento del sangue che darà nuova linfa vitale al cervello, al cuore e ai muscoli.

Ecco perché anche le grandi collettività del proletariato, della piccola borghesia e delle altre classi sottomesse alla classe alto-borghese, ultra-capitalista e decadente dovranno trovare l’ispirazione e la forza per far valere la propria rivolta e rivoluzione contro il mondo borghese e il mondo capitalista, contro la tirannia della mediocrità e dell’avidità fatte leggi naturali e divine da coloro che vogliono a tutti i costi mantenere i loro privilegi, diritti e possedimenti nel nome del loro egoismo puramente edonista, che nulla ha a che fare con l’individualità di colui che si uccide per potersi rinnovare in eterno e nel suo centro di gravità.

Questa, quindi, sarà una lotta spietata e che coinvolgerà tutti i nervi del nostro organismo; fasci di luce di un corpo in estasi pronto ad abbandonare sé stesso per raggiungere un etere in fondo alle profondità oscure dell’umanità, pronto anche alla guerra per la conquista del potere, oltre che delle stelle.