Di Carlo Minnaja e Giorgio Silfer, segue testo in esperanto

Nel corso dei decenni i saggi sulla nostra letteratura sono abbondati. Non dovremmo menzionare qui prefazioni, introduzioni, recensioni in un’ampia varietà di riviste, molte delle quali hanno raggiunto il rango di studi esaustivi. Da Kalocsay a Waringhien, da Hohlov a Szilágyi non mancarono i critici nel periodo tra le due guerre, e ovunque semplici conferenze o trasmissioni radiofoniche trattarono di letteratura.
Dopo l’embrionale saggio sulla letteratura di Privat (1912), la raccolta di Totsche che di pagina in pagina riflette l’approccio estetico della scuola di Budapest, una vera e propria esplosione ha inizio negli anni del rinascimento di Montevideo. Era già sufficientemente distante dal periodo florido tra le due guerre, che produsse il maggior numero di pubblicazioni, esistevano già esperti formati professionalmente allo studio della letteratura, che, senza precedenti precedenti propagandistici, potevano guardare con una lente d’ingrandimento e separare il grano dalla pula. Non è più necessario che qualcosa che appare in esperanto porti un sassolino al traguardo dell’espansione, e quindi va lodato in linea di principio per incoraggiare la gente all’acquisto e per fornire strumenti per aiutare la persuasività dei propagandisti. La formazione di base di molti di questi critici non fu letteraria: medici, avvocati, economisti, dipendenti pubblici maturarono la loro formazione letteraria attraverso la poesia, l’editoria, la traduzione, la scrittura, ma la maggior parte di essi rimasero benevoli dilettanti, divenuti critici per una quasi mancanza di concorrenza. Al contrario, la critica fiorita, a parte Waringhien, nel secondo dopoguerra presenta una base specialistica completamente diversa: Auld, Boulton, De Kock, Mattos, De Diego, Régulo, Benczik, Silfer, Mi alkov, per citarne solo alcuni .
In questo campo si distingue Gaston Waringhien, aggregatore di linguistica, lessicografo e poeta con lo pseudonimo G. E. Maura (altri pseudonimi: A. Nurak, l’anagramma Arieh ben Guni), con diverse migliaia di pagine scritte o curate da lui stesso con ampie annotazioni. È di gran lunga lo scrittore più produttivo e fino all’ultimo giorno ha parlato con Perla Martinelli di un’edizione del Decameron di Boccaccio, che ha co-tradotto con lei.1

Oltre alla curatela delle Lettere di Zamenhof (S.A.T., 1948) inizia una collana di saggistica con Eseos I Beletro (Stafeto, 1956; seconda edizione ampliata: Flandra Esperanto-Ligo, 1987). Un volume importante che, attraverso tre capitoli, introduce il lettore in tre ambiti: commento di opere importanti, figure interessanti della letteratura e del movimento, letteratura comparata. Il tutto si mescola con le sue esperienze personali, raccontate con umorismo, tanto che le opere letterarie e linguistiche di Waringhien raggiungono di diritto il rango di letteratura vera e propria. Nel saggio La Infero – Dopo aver letto Dante… accenna a come (e dove!) scoprì l’origine di alcune caratteristiche dell'”inferno” di Dante, dalla sua struttura a forma di imbuto, i tre animali uno di fronte all’altro all’inizio, la pioggia di fuoco sui dannati, e tanti altri dettagli:

In una delle prigioni dove mi portarono a passeggiare le misteriose decisioni dell’O.K.W.2, mi imbattei in un libro spagnolo il cui titolo attirò subito la mia attenzione: La eschatologia musulmana en la Divina Commedia de iu Miguel Asin Palacios. Ho capito bene il titolo: L’escatologia musulmana della Divina Commedia, ma è lì che si è fermata la mia conoscenza della lingua spagnola. Fortunatamente, ho trovato tra i miei sambarakan un interprete benevolo, il cui tempo era libero quanto il mio (questo era, tra l’altro, tutto ciò che era gratuito in quei recinti). E questo è quello che ho scoperto da lui, durante le nostre consultazioni serali, su un angolo di qualcosa che sarebbe più propriamente chiamato un dispositivo per dormire che un letto, e spesso alla luce tremolante di un fornello a gas, se non si conta il chiarore più intenso ma effimero dei riflettori e delle bombe incendiarie, un’atmosfera quasi dantesca.
Che il signor Asin Palacios ha quindi scoperto la fonte della Divina Commedia in due libri, Il Viaggio Notturno e L’Apocalisse della Mecca, entrambi dell’arabo spagnolo Mohyddin-ibn-Arabi, soprannominato El-Andalûsi, l’Andaluso.3

Il saggio Eterna Bukedo – L’arte della traduzione è, oltre a documentare con chiarezza l’opera di Kalocsay, anche una lezione molto appropriata sull’argomento. Un potenziale traduttore imparerebbe sicuramente molto da questo.
Waringhien ama raccontare, sempre con spirito, il dietro le quinte. Qui dà forti prove che Maura è lui stesso (Le tre apparizioni di G. E. Maura), qui rivela cosa accadde sul ponte della nave dei Pirati, comandata da Schwartz, qui ricorda con dolcezza Helmi Dresen, qui descrive Lanti al primo incontro :

La sua testa ossuta e il corpo compatto, il naso grosso e un po’ aquilino, le labbra sottili, le sopracciglia folte mi colpirono meno del suo modo sereno e diretto di contattare il destinatario, e della convinzione profonda e inscindibile che giaceva sul fondo del suo cappello azzurro. occhi . La sua lingua non si muoveva sempre senza imbarazzo, talvolta balbettava, ma il suo pensiero vivo oltrepassava ogni barriera, e la sua parola sussultava, come a scatti, in esplosioni di fuoco.

Un po’ pedante, anche se non del tutto ingenuo, è il terzo capitolo, “Schizzi sulla letteratura comparata”, dove Waringhien puntualizza: il metodo migliore per studiare una materia letteraria è definirla confrontandola con quelle vicine. Per quanto riguarda il romanzo poliziesco, paragona Sofocle del re Edipo a molti altri autori multilingue di storie o drammi simili, comunque molto difficili da conoscere universalmente. Ecco perché allusioni e giustapposizioni rischiano di essere un esercizio scolastico che solo l’insegnante è in grado di gestire davanti agli studenti stupiti: la maggior parte sono solo nomi di opere, senza reale possibilità di confronto a meno che non si trovi nelle vicinanze un’enciclopedia o testi specialistici. Altrove il titolo è solo un pretesto per presentare traduzioni (alcune esistevano già in un’altra penna, ma non se ne parla): in un saggio Triple Triptych egli annuncia un confronto visivo tra il tedesco Jozef Eichendorff, l’italiano Jozuo Carducci e il francese Stefano Mallarmé , ma oltre alle tre traduzioni ciascuna di questi poeti non viene fatto alcun confronto significativo.
Sicuramente di maggiore interesse per il mondo esperantista fu la seconda ampia raccolta di saggi, lunga 450 pagine: Lingua e vita – Saggi esperantologici (Stafeto, 1959). Anche dopo la pubblicazione dell’Opera completa di Zamenhof di Ludovikito, essa rimane un testo insuperato sulla nascita e lo sviluppo dell’esperanto, sebbene riguardi principalmente la lingua e meno l’ambiente sociale. Nel primo capitolo si trovano tutti i testi esistenti sui processi Zamenhof prima della rottura definitiva con l’esperanto, nonché commenti su altri quaderni la cui esistenza un tempo veniva rivendicata da persone vicine al Maestro, ma di cui si sono perse le tracce. Seguono le ricerche sull’etimologia, sulla presenza dell’accusativo nelle varie lingue e sul suo uso nell’esperanto; non manca la passione fraterna, perché in quasi tutti i confronti presentati Waringhien dimostra la superiorità dell’esperanto rispetto ad altri progetti e anche alle lingue etniche.

Il capitolo Il passivo dell’esperanto preannuncia la battaglia su -ata/-ita che sta per scoppiare a breve. Sebbene le posizioni fossero già definite senza compromessi dalla prefazione alla terza edizione della Grammatica completa (1957), dove i suoi autori Kalocsay e Waringhien accusavano i nordici di ribaltare il sistema verbale di Zamenhof, una vera battaglia non era ancora iniziata. Ma è proprio in quel capitolo che Waringhien prepara la sua arma:

Sotto l’influenza del sistema verbale germanico, che, nella questione in questione, è molto diverso da quello esperanto, cominciarono a sciamare errori riguardanti i participi passivi; e, cosa del tutto nuova, vi furono in quella regione del Nord Europa – culla di tante eresie – alcuni teorici che vollero giustificare la loro inesattezza e cercarono di stabilire un sistema di coniugazione passiva assolutamente estraneo alla tradizione di Zamenhof. Migliaia di nuovi esperantisti hanno succhiato quel latte avvelenato e ora siamo di fronte ad un vero e proprio scisma, forse meno spettacolare della separazione tra i membri ujo e i membri io, ma molto più grave.

L’incrollabile convinzione del suo diritto e la vivace difesa letteraria (e divertente!) delle sue tesi sono di casa anche in altre opere. Il suo contributo Come per finire… al multiautore La Zamenhofa Esperanto – Sympozio pri -ata/-ita (Reafeto, 1961) è conclusivo; ammette però che Zamenhof non ha mai parlato di aspetti, ma ha usato i participi come se gli aspetti fossero codificati nella grammatica:

A meno che non si tratti di un idiota nato [così!] o di un imprevedibile incoerente, il buon senso richiederebbe che la grammatica schematica venga spiegata attraverso l’abbondante corpus di lavori, e non il contrario. Questo mi ricorda il famoso clown che lottava per spingere il pianoforte a coda fino al posto troppo lontano.4

(La “battaglia su -ata/-ita”, che di fatto divise non il popolo, ma solo pochi personaggi di spicco tra “atisti” e “itisti”, provocò un diluvio di articoli, lettere aperte, studi, pubblicazioni, nuove recensioni e anche una proiezione del tutto seria delle opere del Maestro, soprattutto delle traduzioni, favorì anche il risveglio di uno stile polemico che purtroppo non si era mai spento, che sarebbe un po’ ardito definire “letterario”, e che aveva come presunto filo conduttore. fedeltà alla Fondazione, argomento abituale per nascondere un altro scopo Le elezioni in Accademia del 1963 furono fortemente influenzate dall’appartenenza di questo o quel candidato a questa o quella scuola verbotempo, con cavilli sulla maggioranza, partecipazione alle votazioni, proteste. Waringhien divenne presidente, sostenuto dalla scuola itista, e poi, in tutto equilibrio e secondo statuto, ma non del tutto imparziale, condusse l’istituzione linguistica attraverso precipizi di polemiche, restrizioni, mancate risposte fino al verdetto definitivo, che nel 1967 sancì che solo alcune frasi scelte e presentate in modo rappresentativo dagli “itisti” sono compatibili con il sistema verbale Zamenhof. Di conseguenza, il conflitto si ridusse completamente, molto probabilmente a causa della stanchezza dei principali combattenti, ma, come in altri tempi, la battaglia linguistica nascose un conflitto di potere, e il suo risultato stabilizzò per un decennio il movimento e la struttura culturale, con l’UEA come organizzazione principale, Relay come editore principale e Herald con il ruolo di opposizione costruttiva, ma minoritaria. Creaks che annuncia il crollo di quell’edificio inizierà nel 1971 e culminerà nella crisi del Regno Unito di Amburgo nel 1974).

Il terzo volume di saggi di warengje, Us and it (Relay, 1972), dedicato al figlio morto Marc Olivier, tratta di religione e arte. La questione dei misteri dell’infinito, dell’aldilà, delle cause e degli scopi della vita umana è sempre attuale, e non trova una risposta soddisfacente nelle migliaia di opere che nel corso dei secoli si sono avvicinate all’argomento. Waringhien, da editore erudito, ricerca codici poco conosciuti, rileva e spiega parzialmente analogie e similitudini, discute date, traduzioni errate, interpretazioni parziali, focalizzandole nei conflitti sociali e di potere delle epoche rilevanti. Cerca di spiegare con ragione perché le persone si affidano irrazionalmente alla religione o concepiscono l’arte.

Nel decennio successivo Waringhien continua a produrre, questa volta solo sull’esperanto. Il quarto volume di saggi, 1887 e il seguito… (tkStafeto, 1980) è quasi solo una raccolta di articoli o conferenze, possibilmente con un opportuno aggiornamento, che egli ha voluto affidare alla carta stampata, intuendo l’arrivo del suo fine che, per ragioni statistiche, riteneva imminente. Quindi dall’opera non si può estrarre quasi nulla di nuovo, se non la commovente durata di quella fedeltà all’Ideale (scritto da lui in maiuscolo) della fratellanza umana attraverso un solo linguaggio, che lo accompagnò per tanto tempo, e che ancora lo accompagnerà per un altro decennio. Paradossalmente, il suo quinto e ultimo saggio, Kaj la ceter’ – solo letteratura (tkStafeto, 1983), con cui chiude la collana iniziata con il primo, tornando al suo più grande amore, la letteratura, sembra più recente. È ancora attratto principalmente dall’arte della traduzione, che commenta giustapponendo diverse versioni di diverse lingue; anche questa volta il gioco è erudito: solo gli studenti attenti possono trarre beneficio dall’erudizione di questi commenti. Ma non mancano ricordi amichevoli, affettuosi, dolci, ad esempio di Kalocsay, al quale Waringhien era profondamente legato non solo per la pluriennale collaborazione, ma per una tale somiglianza di gusti, anzi non solo letterari. Così dedica le sue ultime parole all’amico:

Egli merita certamente di occupare il primo posto subito dopo Zamenhof, perché, dopo il creatore dell’esperanto, è colui che meglio ha posseduto la lingua, ne ha studiato più a fondo le possibilità e l’ha utilizzata con maggiore abilità. È morto, e mai più rivedrò quella scintilla nei suoi occhi, quel sorriso malizioso sulle sue labbra che tanto amavo; mai più potrò rivolgermi a lui per una richiesta di consiglio o per una decisione.5

Waringhien impressiona per la sua educazione; riesce, per un certo verso si diverte, a mettere insieme allusioni e collegamenti alle culture più diverse, come se volesse impressionare la gente comune: nei suoi pezzi ci sono versi dal greco, dal latino, dall’italiano, dallo spagnolo, dal tedesco, dal francese , inglese, dalle lingue vicine e lontane dell’est, con citazioni dei popoli più diversi e dei vari saggi del tempo. Il culmine principale di questa erudizione sono le traduzioni, non solo molto esaustive dalle varie lingue citate, ma, per la prima volta in Occidente, completamente direttamente dal persiano: non passando per adattamenti inglesi, come altre traduzioni, presenta i Poemi di Omar Khayam, introducendo le strofe di quattro versi con rima aaba, talvolta anche con una ricca rima di quattro sillabe (che Waringhien chiama “rima di ritornello”)6.

Non sai nulla del percorso della zolla terrestre,
e le tue fondamenta poggiano sul vento, amico!
Il limite della tua vita corre tra due spazi,
tocchi due zeri e c’è uno zero nel mezzo!

Oppure, del secondo tipo:

Il vino allontanerà ogni preoccupazione per le collezioni di ricchezza,
preoccupatevi delle settanta dozzine di pie sette!
Non aver paura dell’Elisir, perché se ne prenderai
solo una goccia, che scaccerà mille contagi!

Un ampio file con le lettere di Kalocsay ricevute da Waringhien si trova, ancora non letto, nell’archivio dell’UEA.

Un poeta focosoUn’introduzione alla letteratura originale dell’esperanto

Il romanzo sociale in esperanto è lungo solo sedici pagine, un semplice taccuino stampato di una conferenza tenuta da Henri Vatré al Centro Culturale Esperanto nell’aprile del 1973. Tuttavia esplora con acutezza il prodotto di tre romanzi, che egli indica come sociali, una categoria si divide tra letteratura di consenso e letteratura di contestazione. La sua combinazione di Turstrato 4 di Weinhengst, Metropolitan di Varankin e Viaggio in Kazohinia di Szathmári è del tutto convincente: tutti e tre i romanzi sono quasi gli unici romanzi dei rispettivi autori, sono ambientati in tre città diverse (Vienna, Mosca, Budapest), tutti a est dal centro europeo, e tutti hanno il loro background nello stesso periodo della grande crisi dell’anno 1930.
Un ampio studio in forma di libro di M. Boulton tratta del caro “papà” Julio Baghy: Poeto fajrakora (1983). Autorevolmente, da vero critico professionista, mette in chiaro non solo la passione che Baghy stimolava, non solo l’amore per l’umanità che irradiava da tutte le sue opere, non solo la capacità di scrivere universalmente riconosciuta

La nostra prosa originale

Stile di intrattenimento veritiero

Note:

1 Non esiste ancora una bibliografia completa su di lui, ma quella fino al 1984, registrata nel libro delle celebrazioni per il suo ottantesimo compleanno, a cura di R. Haupenthal, Li ka ni (tk*Stafeto, 1984), copre cinquantacinque pagine . Decameron – i primi tre giorni apparvero dopo (LF-koop, 1995)

2 lettere tedesche che significano “comandante in capo dell’esercito”. [nota dell’autore] Waringhien, in quanto militare francese, fu per anni detenuto in un campo di prigionia tedesco.

3 Di questo scrittore arabo esistono traduzioni in esperanto che si trovano in A. M. Botella, Perle liriche di Al-Andalus, Institución “Fernando el Católico”, 1995.

4 Pagina 299 ibidem.

5 Da “Kalocsay ed io”, p. 32.

6 Nella Prefazione alle poesie di Omar Khayam, S.A.T. 1953. La raccolta conta 150 poesie e quelle qui presentate hanno rispettivamente i numeri 59 e 101. Una seconda edizione riveduta e ampliata (211 strofe) è apparsa presso tk*Stafeto-Fonto (1984), con il titolo I Robaios e una risistemazione tematica delle strofe; quelli qui presentati compaiono rispettivamente ai nn. 83 e 144 (leggermente modificati).

Testo originale

ESEOJ PRI LITERATURO, LITERATURO DE ESEOJ

Eseoj pri nia literaturo abundis dum la jardekoj. Ni ne menciu ĉi tie antaŭparolojn, enkondukojn, recenzojn en plej diversaj revuoj, el kiuj pluraj atingis la rangon de elĉerpaj studaĵoj. De Kalocsay al Waringhien, de Hohlov al Szilágyi ne mankis kritikistoj en la periodo inter la du militoj, kaj ankaŭ simplaj prelegoj ĉiuloke aŭ radiodissendoj ofte pritraktis literaturon.

Post la embria eseo pri literaturo de Privat (1912), la kolekto De paĝo al paĝo de Totsche spegulanta la estetikan alrigardon de la budapeŝta skolo, vera eksplodo komenciĝis dum la jaroj de la montevidea renesanco. Estis jam sufiĉa tempa distanco for de la flora periodo intermilita, produktinta plejan amason da eldonaĵoj, estis jam fakuloj profesie trejnitaj al studado de literaturo, kiuj sen la ĝistiama propaganda fono kapablis rigardi lupee kaj apartigi tritikon disde lolo. Iĝis ne plu esenca la fakto, ke io aperanta en esperanto alportas ŝtoneton al la celo pri plivastiĝo, kaj do oni devas principe laŭdi por instigi al aĉetado kaj por doni instrumentojn helpe al konvinkemo de propagandistoj. La baza formiĝo de pluraj el tiuj kritikistoj estis ne literatura: kuracistoj, advokatoj, ekonomikistoj, oficistoj maturigis sian literaturan trejnitecon tra poemado, redaktado, tradukado, verkado, sed plimulto el ili restis bonvolemaj diletantoj, kiuj iĝis kritikistoj pro preskaŭa manko de konkurenco. Tute alian fakan bazon prezentas male la kritikistoj ekflorintaj, krom Waringhien, post la dua milito: Auld, Boulton, De Kock, Mattos, De Diego, Régulo, Benczik, Silfer, Mi alkov, por citi nur kelkajn.

En ĉi tiu kampo nete elstaras, per plurmilo da paĝoj mem verkitaj aŭ editoritaj kun ampleksaj komentarioj, Gaston Waringhien, agregaciulo pri lingvistiko, vortaristo kaj poeto sub pseŭdonimo G. E. Maura (aliaj pseŭdonimoj: A. Nurak, la anagrama Arieh ben Guni). Li estas longdistance la plej produktiva verkisto, kaj ĝis sia vere plej lasta tago li ankoraŭ priparolis kun Perla Martinelli pri eldono de la Dekamerono de Boccaccio, kiun li kun ŝi kuntradukis.1 Krom la editorado de la duvoluma Leteroj de Zamenhof (S.A.T., 1948) li startigas kolekton de eseaj libroj per Eseoj I Beletro (Stafeto, 1956; dua eldono ampleksigita: Flandra Esperanto-Ligo, 1987). Grava volumo, kiu tra tri ĉapitroj enkondukas la leganton en tri fakojn: komentariado de gravaj verkoj, interesaj elstaruloj de literaturo kaj movado, komparaj literaturoj. Ĉio estas miksita kun propraj personaj travivaĵoj, humure rakontataj, tiel ke la priliteraturaj kaj lingvistikaj verkoj de Waringhien plenrajte atingas la rangon de mem literaturo. En la eseo La Infero – Post legado de Dante… li mencias kiel (kaj kie!) li malkovris la originon de iuj apartaĵoj de la “infero” de Dante, ekde ĝia funelforma strukturo, la tri bestoj frontataj ĉe la komenco, la fajra pluvo sur la damnitojn, kaj multaj aliaj detaloj:

En unu el la kaptitejoj, tra kiuj promenigis min la misteraj decidoj de la O.K.W.2, mi trafis hispanan libron, kies titolo tuj allogis miajn okulojn: La escatologia musulmana en la La Divina Commedia de iu Miguel Asin Palacios. La titolon mi bone komprenis: La muzulmana eskatologio de la Dia Komedio – sed tie haltis mia scio de la hispana lingvo. Feliĉe, mi trovis inter miaj sambarakanoj bonvolan interpretiston, kies tempo estis tiel libera, kiel la mia (tio estis cetere ĉio, kio estis libera en tiuj enfermejoj). Kaj jen kion mi eksciis de li, dum niaj vesperaj konsiliĝoj, sur angulo de io, kion oni pli ĝuste nomus dorm-aparato ol lito, kaj ofte je tremanta lumo de gasbruligilo, se ne kalkuli la pli intensan sed efemeran brilon de la lumserĉiloj kaj de la fajrobomboj, sufiĉe danteska atmosfero.

Tiu sinjoro Asin Palacios do malkovris la fonton de la Dia Komedio en du libroj, la Nokta Vojaĝo kaj la Revelacio de Mekko, ambaŭ de la hispana arabo Mohyddin-ibn-Arabi, kromnomata El-Andalûsi, la Andaluziano.3

La eseo Eterna Bukedo – La tradukarto estas, krom klere dokumenta pri la verko de Kalocsay, ankaŭ tre taŭga leciono pri la temo. Potenciala tradukanto certe multon lernus el ĝi.

Waringhien ŝatas rakonti, ĉiam sprite, pri postkulisaĵoj. Jen li donas fortan indicon, ke Maura estas li mem (La tri aperoj de G. E. Maura), jen li malkaŝas kio okazis sur la ferdeko de la ŝipo de La Pirato, estrata de Schwartz,jen li dolĉe memoras pri Helmi Dresen, jen li priskribas Lanti ĉe la unua renkontiĝo:

Lia osteca kapo kaj kompakta korpo, lia granda, iom agleca nazo, la maldikaj lipoj, la vepraj brovoj malpli frapis min, ol lia senĝena, rekta maniero kontaktiĝi kun sia alparolanto, kaj la kerneca, nefandebla konvinko, kiu kuŝis funde de liaj helbluaj okuloj. Lia lango ne ĉiam sin movis sen embaraso, iafoje li balbutis, sed lia vigla penso transpaŝis ĉiun baron, kaj la parolo saltis, kvazaŭ ŝpruce, en flamaj eksplodoj.

Iom pedanteca, kvankam ne tute malnaiva, estas la tria ĉapitro, “Skizoj pri kompara literaturo”, kie Waringhien sentencas: la plej bona metodo por studi literaturan temon estas difini ĝin per komparo kun la najbaraj. Pri la detektivromano li komparas la Sofoklon de Reĝo Edipo kun multaj aliaj diverslingvaj aŭtoroj de samspecaj rakontoj aŭ dramoj, tamen tre malfacile universale konataj. Tial aludoj kaj apudigoj riskas esti skolastika ekzerco, kiun nur la instruisto kapablas mastrumi antaŭ mire gapantaj lernantoj: plejmulto estas nur nomoj de verkoj, sen efektiva eblo de komparo se ne apudas enciklopedio aŭ fakaj tekstoj. Aliloke la titolo estas nur preteksto por prezenti tradukojn (kelkaj jam ekzistis aliplume, sed mankas mencio): en eseo Triobla triptiko li anoncas vidalvidan konfronton inter germano Jozefo Eichendorff, italo Jozuo Carducci kaj franco Stefano Mallarmé, sed krom po tri tradukoj el ĉi tiuj poetoj neniu signifa komparo estas farita.

La dua granda esearo, 450-paĝa, certe interesis pli multe la esperantistan mondon: Lingvo kaj vivo – Esperantologiaj eseoj (Stafeto, 1959). Eĉ post la apero de la Plena verkaro de Zamenhof fare de Ludovikito, ĝi restas nesuperita teksto pri la naskiĝo kaj evoluo de esperanto, kvankam ĝi ĉefe rilatas al la lingvo kaj malpli multe al la socia fono. Unuaĉapitre troviĝas ĉiuj ekzistantaj teksteroj pri zamenhofaj provoj antaŭ la definitiva elpaŝo kun esperanto, kaj ankaŭ komentarioj pri aliaj kajeroj kies ekzisto estis iam asertita de personoj proksimaj al la Majstro, sed kies spuroj perdiĝis. Sekvas esploroj pri etimologio, pri la ĉeesto de la akuzativo en diversaj lingvoj kaj ĝia utili(ig)o en esperanto; ne mankas samideaneca pasio, ĉar je prekaŭ ĉiuj prezentataj komparoj Waringhien evidentigas la superecon de esperanto kompare kun aliaj projektoj kaj ankaŭ etnaj lingvoj.

La ĉapitro La esperanta pasivo heroldas pri la tre baldaŭ eksplodonta batalo pri -ata/-ita. Kvankam la pozicioj estis jam senkompromise difinitaj per la antaŭparolo al la tria eldono de la Plena Gramatiko (1957), kieties aŭtoroj Kalocsay kaj Waringhien akuzis nordlandanojn pri renverso de la zamenhofa verba sistemo, vera batalo ankoraŭ ne estis komencita. Sed ĝuste en tiu ĉapitro Waringhien prajmas sian pafilon:

Sub la influo de la ĝermana verbsistemo, kiu, en la koncernata demando, tre diferencas disde la esperanta, komencis svarmi la eraroj pri la pasivaj participoj; kaj, kio estis io tute nova, troviĝis en tiu nordeŭropa regiono – naskiĝejo de tiom da herezoj – kelkaj teoriistoj, kiuj volis pravigi sian nekorektaĵon kaj penis starigi sistemon de pasiva konjugacio absolute fremda al la zamenhofa tradicio. Miloj da novaj esperantistoj suĉis tiun venenitan lakton kaj nun ni troviĝas antaŭ efektiva skismo, eble malpli spektakla ol la apartiĝo inter la ujo-anoj kaj io-anoj, sed multe pli serioza.

La senŝancela konvinko pri sia pravo kaj la literature vigla (kaj humura!) defendo de siaj tezoj hejmas ankaŭ en aliaj verkoj. Lia kontribuo Kvazaŭ por fini… al la pluraŭtora La Zamenhofa Esperanto – Simpozio pri –ata/-ita (Stafeto, 1961) estas verdikta; li ja koncedas, ke Zamenhof neniam parolis pri aspektoj, sed li uzis la participojn kvazaŭ aspektoj estus koditaj en la gramatiko:

Krom se temus pri denaska idiotulo [tiele!] aŭ pri senkonsekvenca ventkapulo, la simpla saĝo postulus, ke oni klarigu la skeman gramatikon per la abunda verkaro, kaj ne inverse. Tio memorigas al mi pri la fama klaŭno, kiu penegadis alŝovi la fortepianon al la tro malproksima seĝeto.4

(La “batalo pri –ata/-ita”, kiu dividis, fakte ne ja la popolon, sed nur kelkajn elstarulojn inter “atistoj” kaj “itistoj”, kaŭzis riveron da artikoloj, nefermitaj leteroj, studoj, eldonaĵoj, novaj revuetoj kaj ankaŭ tute seriozan trakribradon de la verkoj, precipe tradukaj, de la Majstro. Ĝi krome favoris la revekiĝon de bedaŭrinde neniam estingita polemika stilo, kiun nomi “literatura” estus iom aŭdace, kaj kiu havis kiel kvazaŭan ĉeftemon la fidelecon al la Fundamento, kutima argumentado por kaŝi alian celon. La elektoj en la Akademio en 1963 estis forte influataj de la aparteno de tiu aŭ alia kandidato al tiu aŭ alia verbotempa skolo, kun harfendaĵoj pri plimulto, partopreno en voĉdonoj, protestoj. Waringhien iĝis prezidanto, apogate de la itista skolo, kaj poste tute ekvilibre kaj laŭstatute, tamen ne tute senpartiece, kondukis la lingvan institucion tra la klifoj de polemikoj, sindetenoj, nerespondoj ĝis definitiva verdikto, kiu en 1967 sankciis, ke nur iuj frazoj reprezente elektitaj kaj prezentitaj de la “itistoj” kongruas kun la Zamenhofa verbosistemo. Sekve, la konflikto tute ŝrumpis tre verŝajne pro laciĝo de la ĉefaj batalintoj, sed, kiel ankaŭ alitempe, la lingva batalo kaŝis povokonflikton, kaj ĝia rezulto stabiligis dum jardeko la movadan kaj kulturan strukturon, kun UEA kiel ĉefa organizo, Stafeto kiel ĉefa eldonejo kaj Heroldo kun la rolo de konstruiva, sed minoritata, opozicio. Knaroj anoncantaj la disfalon de tiu konstruaĵo komenciĝos en 1971 kaj kulminos en la krizo de la hamburga UK en 1974)

La tria warengjena esea volumo, Ni kaj ĝi (Stafeto, 1972), dediĉita al la mortinta filo Marc Olivier, pritraktas religion kaj arton. La demando pri la misteroj de la senfino, de la postmorto, de la kaŭzoj kaj celoj de homa vivo estas ĉiam ĉeesta, kaj ne trovas kontentigan respondon en la miloj da verkoj, kiuj alproksimiĝis al la temo dum la jarcentoj. Waringhien, kiel erudicia editoro, esploras malmulte konatajn kodeksojn, rimarkas kaj parte klarigas analogiojn kaj similaĵojn, diskutas pri datoj, mistradukoj, partiecaj interpretoj, ilin enfokusigante en la sociaj kaj povocelaj konfliktoj de la koncernaj epokoj. Li klopodas klarigi per racio kial homoj malracie sin konfidas al religio aŭ konceptas arton.

En posta jardeko Waringhien ankoraŭ produktas, ĉi-tempe jam nur pri esperanto. La kvara esea volumo, 1887 kaj la sekvo… (tk*Stafeto, 1980) estas preskaŭ nur kolekto de artikoloj aŭ prelegoj, eventuale kun oportuna ĝisdatigo, kiun li volis konfidi al presita papero, sentante alvenon de sia fino, kiun, pro statistikaj kialoj, li supozis baldaŭa. Do el la verko preskaŭ nenion novan oni ĉerpas, krom la kortuŝa daŭro de tiu fideleco al la Idealo (de li skribita majuskle) de homa frateco per unu lingvo, kiu lin akompanis dum tiom longa tempo, kaj kiu ankoraŭ lin akompanos dum plua jardeko.

Paradokse, pli freŝa aspektas lia kvina kaj lasta esearo, Kaj la ceter’ – nur literaturo (tk*Stafeto, 1983), per kiu li fermas la kolĉenon komencitan per la unua, revenante al sia pleja amo, literaturo. Ankorax lin ĉefe logas la tradukarto, kiun li komentarias per apudigoj de diversaj versioj el diversaj lingvoj; ankaŭ ĉi-foje la ludo estas erudicia: nur atentaj studantoj povas profiti el la klereco de tiuj komentarioj. Sed ne mankas amikaj, amaj, dolĉaj rememoroj, ekzemple pri Kalocsay, al kiu Waringhien estis profunde ligita ne nur pro longjara kunlaboro, sed pro tioma simileco de gustoj, ja ne nur literaturaj. Tiel li dediĉas lastajn vortojn al sia amiko:

Li certe meritas okupi la unuan rangon tuj post Zamenhof, ĉar, post la kreinto de Esperanto, estas li, kiu plej bone posedis la lingvon, plej funde studis ĝiajn eblaĵojn kaj plej lerte utiligis ilin. Li forpasis, kaj neniam plu mi revidos en liaj okuloj tiun fajreron, sur liaj lipoj tiun petolan rideton, kiun mi tiel amis; neniam plu mi povos turni min al li kun peto pri konsilo aŭ decido.5

Waringhien impresas per sia klereco; li kapablas, certagrade li ĝuas, kunmeti aludojn kaj kunligojn al plej diversaj kulturoj, kvazaŭ li volus imponi al ordinaruloj: troviĝas en liaj pecoj versoj jen helenaj, latinaj, italaj, hispanaj, germanaj, francaj, anglaj, jen el lingvoj de proksima kaj neproksima oriento, kun citaĵoj de plej diverspopolaj kaj diverstempaj saĝuloj. Ĉefa pinto de tiu klereco estas tradukoj, ne nur tre amplekse el la diversaj menciitaj lingvoj, sed, unuafoje en Okcidento, tute rekte el la persa: ne pasante tra anglaj adaptoj, kiel aliaj tradukoj, li prezentas la Poemojn de Omar Kajam, konigante la kvarversajn strofetojn kun rimado aaba, eĉ kelkfoje kun riĉa kvarsilaba rimado (kiun Waringhien nomas “refrenrimo”)6.

Nenion vi ekscias pri l’ iro de l’ terbulo,

kaj fundamento via sur vento kuŝas, ulo!

La lim’ de via vivo inter du vakoj kuras,

vi tuŝas al du nuloj – kaj meze estas nulo!

Aŭ, de la dua speco:

La vino ĉian zorgon pri riĉkolektoj pelos,

zorgon pri l’ sepdekduo da piaj sektoj pelos!

Ne timu l’ Eliksiron, ĉar se de ĝi vi prenos

nur unu guton, tiu mil mil infektojn pelos!

Ampleksa dosiero kun la leteroj de Kalocsay ricevitaj de Waringhien kuŝas, ankoraŭ ne trastuditaj, en la arkivo de UEA.

Poeto fajrakora

Enkonduko en la originalan literaturon de Esperanto

Nur deksespaĝa estas La socia romano en Esperanto, simpla stencilita kajero de prelego farita de Henri Vatré ĉe la Kultura Centro Esperantista en aprilo 1973. Tamen ĝi akravide esploras la produkton de tri romanoj, kiujn li indikas kiel sociajn, kategorio kiun li dividas inter literaturo de konsento kaj literaturo de kontestado. Lia kunigo de Turstrato 4 de Weinhengst, Metropoliteno de Varankin kaj Vojaĝo al Kazohinio de Szathmári estas tute konvinka: ĉiuj tri romanoj estas preskaŭ la solaj romanoj de la respektivaj aŭtoroj, ili fonas en tri malsamaj urboj (Vieno, Moskvo, Budapeŝto), ĉiuj oriente de la Eŭropa centro, kaj ĉiuj fonas en la sama periodo de la granda krizo rajde de la jaro 1930.

Ampleksa studo libroforma de M. Boulton pritraktas la karan “paĉjon” Julio Baghy: Poeto fajrakora (1983). Aŭtoritatece, kiel vera profesia kritikistino, ŝi evidentigas ne nur la pasion, kiun Baghy stimulis, ne nur la amon la la homaro, kiu disradiis el ĉiuj liaj verkoj, ne nur la kapablon versi de ĉiuj agnoskitan

Nia originala prozo

Vereco distro stilo

1 Plena bibliografio pri li ankoraŭ ne ekzistas, sed tiu ĝis 1984, registrita en la festlibro por lia 80-jariĝo, editorita de R. Haupenthal, Li ka ni (tk*Stafeto, 1984), ampleksas kvindek kvin paĝojn . Dekamerono – la unuaj tri tagoj aperis posteume (LF-koop, 1995)

2 Germanaj literoj signifantaj “Ĉefkomandantaro de la armeo”. [noto de la aŭtoro] Waringhien, kiel franca armeano, estis dum jaroj en germana militkaptitejo.

3 De tiu araba verkisto ekzistas en esperanto tradukoj troveblaj en A. M. Botella, Lirikaj perloj de Al-Andalus, Institución “Fernando el Católico”, 1995.

4 Paĝo 299.

5 El “Kalocsay kaj mi”, p. 32.

6 En la Antaŭparolo al Poemoj de Omar Kajam, S.A.T. 1953. La kolekto havas 150 poemojn kaj la ĉi tie prezentataj havas n-rojn 59 kaj 101 respektive. Dua eldono reviziita kaj ampleksigita (211 strofetoj) aperis ĉe tk*Stafeto-Fonto (1984), kun titolo La Robaioj kaj laŭtema reordigo de la strofetoj; la ĉi tie oprezentataj aperas ĉe n-roj 83 kaj 144 (apenaŭ modifita) respektive.