agrario (1)

Di Leonardo Bellucci, Giampiero Braida, Simone Bianco e Giovanni Amicarella

Uno spettro si aggira per l’Europa” – Leonardo Bellucci
A ravvivare la lotta di classe, che sta ogni giorno emergendo con forza, come noto, sono gli agricoltori. Che da tempo stanno protestando con particolare tenacia da un capo all’altro del continente. Talvolta impegnandosi anche in azioni di particolare importanza, come ad esempio accerchiare con i trattori il palazzo reale belga o bloccare il confine tra Belgio ed Olanda, oppure ancora, quella sotto il parlamento europeo.
Il luogo non è affatto casuale, infatti, la rabbia degli agricoltori, è soprattutto rivolta contro l’Unione Europea, la quale, è colpevole di aver esasperato la loro situazione, con una burocrazia asfissiante, norme ecologiche come il “nuovo green deal”, ribattezzato dagli agricoltori come “ecologismo punitivo”. Le misure adottate dall’UE anche in virtù delle politiche agricole comunitarie (PAC), prevedono l’obbligo di destinare almeno il 4% dei terreni coltivabili a funzioni non produttive, a cui si aggiunge sia l’obbligo di effettuare rotazioni delle colture più l’obbligo di ridurre l’uso di fertilizzanti di almeno il 20%, nonché un blocco ad alcune colture cerealicole per almeno dodici mesi.
Il tutto sommato sia alla questione relativa al caro vita ma anche alla questione della cosiddetta “carne sintetica” e da altri come la famosa “farina di grillo”. Trattasi di pietanze che qualitativamente lasciano molto a desiderare e che contribuiscono in modo significativo a peggiorare il tenore di vita dei lavoratori agricoli, i quali, avendo già una vita resa particolarmente dura per via delle politiche europee di qui sopra, impediscono loro di vendere i loro prodotti e, di conseguenza rendendo loro la vita pressoché impossibile.
Questi fattori hanno causato una situazione per loro insostenibile, ad aggravarla c’è anche il fattore “Ucraina”, che essendo un paese esportatore di prodotti sia derivanti dall’allevamento, come la carne di pollo, sia di prodotti agricoli, soprattutto cereali a basso costo. Questo sta distruggendo il mercato interno. Gli agricoltori infatti denunciano che produrre in Ucraina costi la metà rispetto a produrre nella gran parte dei Paesi europei. Quest’ultima incognita è quella che sta dando di più a cui pensare ad Ursula von der Leyen, che sin dal 24 febbraio 2022 si è impegnata profondamente per sostenere l’Ucraina anche senza badare ai costi ed alle conseguenze che il suo voler aiutare l’Ucraina ad oltranza comporti, infatti, la possibile adesione dell’Ucraina all’UE è sempre stata fortemente voluta in primis da lei in persona.
La cosa più interessante da evidenziare è come hanno reagito gli uomini di potere in Europa di fronte alle proteste. Infatti, da Orbán a Macron si sono tutti addetti “a sostegno” degli agricoltori, come mai questo? Sarà forse che gli agricoltori siano in realtà dei “borghesi”?. La risposta è assolutamente NO. La ragione di tale comportamento da parte dei vertici politici di tutta Europa risiede nel fatto che, i cittadini sono ormai stremati da più di due anni da un caro vita per molti non più sopportabile, a cui va sommato l’insoddisfazione che serpeggia tra i cittadini a causa del sostegno cieco che l’Europa dà ai macellai sionisti nel loro genocidio.
E soprattutto, le imminenti elezioni europee, che si terranno a giugno. Quest’ultimo aspetto è quello che è diventato sempre più palese, come conferma una dichiarazione di Roberta Metsola che afferma “Il mio appello è quello di usare la propria voce per votare a giugno, non per distruggere”.
Si tratta di una dichiarazione che mostra il timore che questi malcontenti presenti in tutto il continente possano trasformarsi in vera e propria rivoluzione, possibilmente usando la rivolta degli agricoltori come miccia.

“Tra panettoni usurocratici e bombardamenti pacifici” – Giampiero Braida

Tra i panettoni usurocratici della Ferragni e il “pacifico” bombardamento angloamericano sugli avamposti degli Houti in Medio Oriente insomma ne vediamo di cotte e di crude. Tra queste però una questione dimenticata: la rivolta degli agricoltori, che sta divampando in tutta Europa in questo momento. Dall’Olanda (nelle primissime proteste di due anni fa) alla Francia, dove alcuni agricoltori hanno scaricato massicce quantità di letame sugli uffici statali, fino alla Germania, poi alla Romania e alla Polonia, passando infine per l’Italia. Non si è voluto dare un eco enorme alla faccenda: troppo scomoda o forse troppo inutile, siccome sono più importanti i gossip per distrarre le masse o le notizie più invitanti e meno impegnative. Eppure non si possono non notare i video sulle piattaforme online, dove si vedono file sterminate di trattori che occupano le strade come un esercito ben organizzato in marcia. Ma per quale ragione stanno avvenendo proprio ora tali proteste? Le ragioni si devono trovare nelle ultime politiche agricole proposte dall’Unione Europea e le scelte fatte dai rispettivi governi nazionali in materia di agricoltura. Nel caso olandese, le proteste con 10000 agricoltori che scesero in strada erano dovute alla nuova regolamentazione sulla riduzione delle emissioni di azoto da parte del governo di Mark Rutte. Il governo, pur di rispettare i parametri dettati dall’UE, aveva a suo tempo offerto 24 miliardi di euro di sussidi complessivi per far abbandonare la terra agli agricoltori. Le risposte si sono fatte subito sentire con grinta da parte degli “uomini della terra”. Nelle altre proteste invece i motivi sono stati i più svariati, ma sempre riconducibili a politiche scellerate: il blocco energetico con la Russia, causato dal conflitto in Ucraina, ha determinato un’impennata dei prezzi del gasolio agricolo, unitamente al taglio dei sussidi agricoli e all’aumento delle tasse sui prodotti. Nelle zone di Romania e Polonia, la lotta agraria avviene contro le importazioni europee del grano ucraino a discapito degli altri paesi produttori dell’est Europa. Al centro delle proteste anche l’agenda dettata dal “Green New Deal” il nuovo piano europeo per rendere più sostenibile e produttiva la politica comune agricola, indirizzando i sussidi agricoli in maniera diversa dal passato. Lo scontro che si è innescato però va assunto come reazione alle politiche borghesi e classiste di Bruxelles: nella PAC infatti vi è una diseguale distribuzione della ricchezza tra gli agricoltori. Solo il 6% dei fondi va al 50% degli agricoltori più poveri, mentre il 10% più ricco gode di più della metà delle ricchezze. E ora le proteste reclamano più giustizia e più tutele per un settore che rappresenta la chiave della sovranità e del benessere alimentare di uno stato.

“La protesta ad Udine: delusione velata ma speranze positive” – Giampiero Braida

Lunedì 29 gennaio e sabato 3 febbraio si sono svolte ad Udine alcune delle tante manifestazioni agrarie che stanno avvenendo in Italia. La prima del lunedì, partita con un po’ di lentezza e varie difficoltà per via di alcune problematiche organizzative (legate all’orario di partenza e al ritrovo), si è avviata verso le 14 e mezzo. Il colmo di tutto l’evento è stato però il fatto che la protesta si sia divisa in due tronconi fin dall’inizio: una parte, si era radunata prima dell’orario ufficiale nei pressi della zona stadio, un’altra invece si era raggruppata dopo le 11 nel piazzale del mercato. Ci sono state alla fine due manifestazioni distinte, che non si sono incrociate né parlate, ognuna sulla propria strada. A quanto pare delle divergenze ideologiche (si era vociferato di due gruppi con pareri diversi su OGM, con uno dei due attestato su posizioni favorevoli) sono state la causa scatenante questa divisione. Oltre a ciò non si è vista da nessuna parte la presenza degli organi confederali come la Confederazione Italiana Agricoltori o Confagricoltura, in realtà mal visti e non graditi da molti manifestanti, cosa comprensibile per via dell’inattività dei sindacati agrari nella difesa degli operatori agricoli in questi ultimi anni. Triste insomma vedere come un progetto che dovrebbe muovere in massa tutti gli animi di un determinato settore si divida in maniera così semplice davanti ad un tema comune quale la contestazione della PAC europea e la richiesta di maggiori tutele. Oltre a ciò la partecipazione non insignificante ma nemmeno numericamente consistente rispetto ad altre zone d’Italia ed in rapporto alla popolazione della città di Udine con ex provincia annessa. Il coinvolgimento della popolazione friulana e udinese alla protesta è stato purtroppo non molto significativo rispetto a quanto uno potesse aspettarsi, osservando la dimensione delle manifestazioni di tutta Europa. A ciò si è aggiunta poi la scarsa o quasi nulla presenza di giovani. Tra i manifestanti inoltre serpeggiava un sentimento di forte delusione politica e smarrimento ideologico, determinato presumibilmente anche dal fallimento delle ultime elezioni (con la divisione e le lotte intestine tra i vari cartelli elettorali antisistema) e dalla sfiducia (totalmente comprensibile) verso le istituzioni rappresentative e decisionali dello stato (del Sistema). Non a caso la manifestazione era guidata da un comitato autogestito di agricoltori e attivisti liberi senza adesioni partitiche di sorta (simboli e propaganda politici espressamente vietati nel corteo). Ovviamente non potevano mancare una forte contingente di polizia per controllare l’andamento della protesta (un po’ troppi, come non ci fosse null’altro da fare) e i soliti guardoni/fotografi della Digos, sempre mimetizzati tra le vie cittadine. Alla fine della manifestazione ci sono stati svariati interventi da parte dei partecipanti: alcuni coltivatori diretti con le loro testimonianze di vita, figure professionali del settore primario come pescatori che hanno voluto dare il loro contribuito alla protesta pacifica e alcuni rappresentanti di altri movimenti come il Comitato di Liberazione Nazionale del Veneto. Nella seconda ondata della protesta, iniziata dalle 12 e mezzo di sabato 3 febbraio, si è notata una maggiore partecipazione della popolazione con la presenza di bambini e ragazzi giovani. Il corteo è apparso più energico e organizzato. Tuttavia la presenza di trattori era piuttosto limitata. Nel complesso si può parlare di due manifestazioni che hanno raggiunto lo scopo di lanciare un messaggio alla popolazione friulana, ma al tempo stesso segnalano una certa astensione dal tema e dalla piazza da parte di ancora molta gente (disinteressata o magari ostile alle rivendicazioni agrarie). Spiacevole è stata la divisione del primo giorno con la conseguente rottura della manifestazione in due blocchi distinti, nonostante le rivendicazioni simili se non uguali. Come osservante politico, non posso che dire che bisogna espandere il coinvolgimento di più persone possibili, soprattutto giovani. Inoltre vi è un bisogno estremo di ri-politicizzare l’ambiente antisistema e le manifestazioni pratiche del dissenso, in modo da dare un coordinamento strutturato a proteste che alla lunga cadono nel vuoto. Quest’ultima cosa sarebbe da fare in un contesto di assemblee dal basso che vadano a determinare poi le volontà popolari ai livelli più alti. Il rifiuto del parlamentarismo e dell’elettoralismo, che tanta gente hanno deluso, deve partire da una nuova proposta di politica che dalle rivendicazioni dei manifestanti riuniti in cortei o assemblee pubbliche si faccia strada in nuovi corpi intermedi e organizzazioni spontanee federative di stampo consiliare. L’obiettivo deve rimanere la conquista dello spazio politico in modo completo e inequivocabilmente popolare. Al di fuori di questo non rimangono soluzioni plausibili, almeno che non si voglia rimanere nell’ambito della pura contestazione di piazza.

“Benevento apre la pista alla protesta nel Sannio” – Simone Bianco

Della protesta dei trattori avvenuta nel Sannio, si ha potuto osservare centinaia di trattori, di cui, coloro che li guidavano, avere idee chiare: no all’Europa e sindacati traditori.
Queste due consapevolezze ed ardimenti sono stati i comun denominatori degli agricoltori, ottemperati attraverso i moti che quest’ultimi stanno scatenando in giro per l’Europa. Seppur si mostrino titubanti alla politica per paura di essere strumentalizzati, noi non abbiamo dubbi sulla parte della barricata dalla quale collocarci. Purtroppo, quello che sembrava essere il coordinatore, non ha rilasciato dichiarazioni, poiché, come da sue parole, quest’ultime le avrebbe rilasciate, nel caso, solo a giornalisti, lasciando intendere che questa fosse una regola stabilita precedentemente.

“Cambiate registro o levate la falce dal simbolo” – Giovanni Amicarella

Quei tromboni arrugginiti, e chi li segue da un’età più giovane, che dagli sgabelli da bar sputazzano sulle proteste agricole sono forse il termometro più affidabile di certa mala politica nazionale. C’è chi urla ai servizi segreti da sotto i baffi canuti, chi sotto la falce e martello bolla le pretese dei lavoratori agricoli come “piccolo-borghesi”, ignorando che gran parte dei lavoratori, anche manuali, del settore agricolo siano dotati di partita IVA.
Questa è la vostra lotta per il diritto al lavoro? Spaccare il capello in quattro pur di non prendere una decisione pratica sul cosa fare? Non solo lo trovo ridicolo, che vogliate celare una totale impreparazione all’azione, che vogliate celare una certa impopolarità (sia mai dover insabbiare l’ennesima aggressione ai danni di un militante o doverne piangere l’ennesima volta per notorietà, dipendendo dai casi), in quelle manifestazioni che non essendo di massa e circoscritte in una piazza vi neghino di apparire più di quel che siete, con le angolazioni giuste. Il vostro isolamento autoimposto, da dirigenze che vi spronano a mantenerlo per paura che vi “contaminiate” e confrontiate con prassi diverse, magari più efficaci.

Fatto sta che non rimane tempo o spazio all’indecisione, ed è un sommo piacere vedere la terra bruciata che, nelle iniziative comuni nel fronte socialista, emerge fra gli assenteisti della lotta di classe e quelli come noi, sia sul piano nazionale che su quello internazionale. Operai ed agricoltori rappresentano un unicum proletario su cui costruire un fronte atto alla rivoluzione nazionale, chi cerca di creare frizione fra queste due categorie proletarie dimostra o ignoranza storica o profonda malafede, ed io sono sempre più prono a considerare la seconda.