Di Moreno
Il capitalismo è una società d’individui atomizzati, che prosperano e si sviluppano in un contesto di perenne conflittualità.
Il capitale disgrega ogni ethos collettivo, riproducendo continuamente l’individuo civile della società capitalistica: il soggetto piccolo-borghese, gretto, egoista, arrivista, approfittatore. Il capitale è un leviatano che spezza ogni legame collettivo e sovverte ogni aspetto della vita, generando un mondo rovesciato e alienato. Laddove nelle società primitive lo scambio era prima di tutto un rapporto fra uomini, finalizzato alla riproduzione continua di una determinata comunità e dei legami costruiti fra i soggetti di questo collettivo, nella società borghese ogni scambio diviene un rapporto fra cose, un rapporto completamente alienato. Il lavoro diviene merce e l’uomo stesso in quanto homo faber, in quanto trasformatore cosciente della realtà, è alienato dalla sua esistenza di uomo, perde il suo carattere di soggetto umano.
Parte fondamentale di questo processo di estraniazione che separa l’uomo dalla sua esistenza come soggetto cosciente di una comunità di uomini è proprio lo sradicamento dell’identità, di quel sentimento collettivo in assenza del quale l’uomo non è altro che un soggetto individualizzato, privo di riferimenti sicuri, mosso da interessi limitati e prettamente egoistici, incapace sostanzialmente di dare un senso alla propria esistenza. Il collettivo si è sempre costituito intorno a tre fondamentali elementi: la religione, la tradizione e l’ideologia. Ognuno di questi elementi contribuisce alla formazione di una comunità con interessi, fini e valori comuni, una comunità in cui gli uomini possono entrare tra loro in rapporti tra soggetti che essi riconoscono come propri simili, come compagni accomunati da un’uguaglianza di regole e princìpi.
Questo comune sentire può presentarsi dunque tanto come rapporto concreto (comunanza di lingua, costumi, tradizioni, gestualità, vizi e virtù) quanto come rapporto alienato (la proiezione metafisica del mondo materiale data dalla religione, sostanzialmente la riproposizione delle peculiarità materiali di una determinata società in forma oggettivata: dalla credenza comune in questo mondo fantastico derivano poi tutta una comunanza di riti, credenze, regolamenti, i quali contribuiscono ad inserire un soggetto in una comunità, la comunità dei fedeli).
Il XX secolo ci ha dimostrato che la religione, nella sua funzione di formazione di un’identità condivisa, può essere facilmente sostituita dall’ideologia; eppure, l’ideologia non è capace da sé di risolvere pienamente la contraddizione insita in una società d’individui atomizzati, di riformare quel legame che si può costruire solo tramite la riscoperta di un legame umano storico-culturale particolare. Il socialismo è crollato poiché incapace di costruire una vera identità collettiva, mentre è sopravvissuto in forma più o meno corrotta nei paesi nel quale è riuscito a coniugarsi con un’identità ben salda.
Il socialimperialismo di Mosca fu un peso insostenibile per il proletariato dell’est Europa e delle minoranze nazionali dell’Unione Sovietica. Il socialismo imposto dall’URSS non era sentito come una volontà cosciente delle masse popolari, bensì come soggezione agli interessi della Russia sovietica. Il fatto che la rivoluzione in paesi come la Cina, la Corea o Cuba sia ancora oggi ricordata come attività cosciente del popolo cinese, coreano e cubano ha influito non poco sulla capacità degli ideali socialisti di penetrare nella coscienza della masse popolari.
La classe proletaria ha interessi comuni internazionali, e la fratellanza di classe è il presupposto necessario per la vittoria mondiale del socialismo, ma laddove l’amore per il fratello, il vicino, viene brutalmente negato in favore di un amore inconsistente per il “prossimo”, un soggetto con il quale non siamo capaci di relazionarci concretamente, allora l’intera struttura sul quale si basa questo rapporto è destinata a restare fragile e inconsistente. La riscoperta delle identità è all’antipode rispetto all’odio per il diverso, proprio perché è la saldezza delle radici a garantire l’impossibilità dello sradicamento. Il soggetto fragile, incapace di dare una forma alla propria identità, teme che l’altro possa in qualsiasi momento spezzare quei legami così caduchi che lo legano ad un determinato sentire collettivo.
Al contrario, il sentirsi parte di una comunità determinata, capace di dare un senso alla mia esistenza e di concretizzare la mia essenza di uomo è il presupposto fondamentale per riconoscere e apprezzare l’identità altrui, per un vero internazionalismo proletario, fondato non sulla negazione delle identità etnico-nazionali particolari, bensì sull’uguaglianza e il mutuo rispetto tra libere e sovrane nazioni.