Di Paolo Ciardullo
Tito aveva lo stesso nome di Stalin, ma di quest’ultimo non aveva sicuramente la stessa tenacia rivoluzionaria.
Il netto distacco fra i due leader fu sancito dalla risoluzione del Kominform del giugno del 1948 contro il Partito Jugoslavo. Come riporta Ludo Martens in “Stalin: un altro punto di vista”, «essa sottolineava che Tito non dava importanza né all’intensificazione delle differenze di classe nelle campagne né all’aumento di elementi capitalisti nel paese. La risoluzione affermava che, partendo da una posizione nazionalista borghese, il Partito Jugoslavo aveva spezzato il fronte unito socialista contro l’imperialismo».
L’abbandono di una corretta linea marxista-leninista fu causato dall’ingresso nel partito di kulaki, borghesi e piccolo-borghesi. Infatti, come evidenzia il solito Ludo Martens, «Tito si appoggiava sempre di più a questi ultimi nella sua lotta contro gli autentici comunisti». Non è un caso che, dopo le perplessità sollevate dal Kominform, il leader Jugoslavo, invece di riflettere sui propri limiti, scatenò un’epurazione di tutti gli elementi marxisti-leninisti. Sempre Ludo Martens asserisce che «due membri del Comitato Centrale, Zujovic e Hebrang, erano già stati arrestati nell’aprile del 1948. Il generale Arso Jovanovic, capo di Stato maggiore dell’Armata dei partigiani, fu arrestato e assassinato, come il generale Slavo Rodic».
Naturalmente la risoluzione del Kominform, come dimostrato dallo svolgersi degli eventi storici, si distinse per chiaroveggenza. Ludo Martens riferisce che «nel 1951, la squadra di Tito dichiarava che i kolchozy (sovietici) erano il riflesso del capitalismo di Stato che, mescolato con i numerosi residui di feudalesimo, costituisce il sistema sociale in URSS». La massima principale dei titini fu: «Nessuno, al di fuori della cooperativa, fissi le norme e le categorie di ciò che si deve produrre». Di conseguenza essi organizzarono «il passaggio a un sistema che lascia più libertà al funzionamento delle leggi economiche obiettive»¹.
Questi impostori dicevano, quindi, a chiare lettere che, al posto del “mostruoso” sistema pianificato sovietico, avrebbero promosso una struttura economica liberista e, quindi, capitalista!
Questo approccio portò inevitabilmente Tito, nel 1953, a reintrodurre la libertà di acquistare e vendere la terra e di assumere operai agricoli, come esposto da Ludo Martens nella sua opera.
Persino Alexander Clifford, corrispondente del “Daily Mail”, commentando le riforme in campo economico portate avanti dai titini, ammetteva candidamente che «la Jugoslavia sarà infine molto meno socialista della Gran Bretagna»².
Oltre alla precedente critica all’economia sovietica, Dilas, il braccio destro di Tito, sosteneva che a Stalin «la cortina di ferro, l’egemonia sui paesi dell’Europa orientale e una politica di aggressione gli sono attualmente divenute indispensabili»³.
Questa visione spiega, infatti, la posizione che la Jugoslavia prese in merito alla guerra di Corea.
“The Times” riportava quanto segue: «Il signor Didijer vede gli avvenimenti di Corea come una manifestazione della volontà sovietica di dominare il mondo… I lavoratori del mondo devono rendersi conto che si è presentato un altro pretendente al dominio mondiale e devono sbarazzarsi delle illusioni sull’URSS, sedicente forza di democrazia e di pace»⁴. Tito rafforzò questa veduta, dichiarando, nel 1951, al “New York Herald Tribune” che «nel caso di un attacco sovietico in qualsiasi parte dell’Europa, anche se fosse avvenuto a migliaia di chilometri dalle frontiere iugoslave, egli si sarebbe battuto a fianco dell’Occidente… La Jugoslavia si considera una parte del muro di solidarietà collettiva contro l’imperialismo sovietico»⁵.
Non ci volle molto tempo per la borghesia anglo-americana a capire che Tito rappresentasse un’ottima arma in chiave anti-comunista. Infatti, come riporta Ludo Martens, nel 1950 il “Business Week” scrisse ciò: «Per gli Stati Uniti in particolare e per l’Occidente in generale, questo sostegno a Tito si è rivelato essere uno dei meno costosi per contenere il comunismo russo. L’ammontare dell’aiuto occidentale a Tito si quantifica ora in 51,7 milioni di dollari. È molto meno del miliardo di dollari circa che gli Stati Uniti hanno speso in Grecia per lo stesso scopo».
“The Times” a proposito ebbe a dire che «tuttavia, il titoismo resta una forza solo nella misura in cui il maresciallo Tito può pretendere di essere comunista»⁶. Il leader jugoslavo, infatti, poteva essere una spina nel fianco per i sovietici solo nella misura in cui spacciasse il suo liberismo di fondo per socialismo.
D’altro canto le critiche della Jugoslavia titoista alla direzione staliniana erano campate per aria e la normalizzazione dei rapporti fra la leadership titoista e l’Unione Sovietica, in seguito all’abbandono del marxismo-leninismo da parte di quest’ultima, lo conferma pienamente, giacché lì l’URSS fu veramente potenza imperialista impostata su un becero capitalismo di Stato burocratico.
1 Ludo Martens, “Stalin: un altro punto di vista”.
2 Ibidem.
3 Ibidem.
4 Ibidem.
5 Ibidem.
6 Ibidem.