Il contesto, a cura di Leonardo Bellucci
Lo scorso 31 agosto, al confine con la Giordania, veniva arrestato, in modo brutale ed arbitrario, sotto gli occhi increduli di sua moglie e suo figlio di quattro anni, un giovane cittadino italo-palestinese, chiamato Khaled El Qaisi.
Si tratta di un padre di famiglia nonché di uno studente di lingue e civiltà orientali presso l’università di Roma. Egli è un prestigioso traduttore, noto per aver fondato il “Centro di documentazione palestinese.”
Nella vicenda, sono molte le cose la che rendono “unica”, la prima è che il ricercatore, è stato detenuto SENZA ALCUNA ACCUSA. Sì, avete letto bene, lo Stato sionista è abbastanza noto per il suo modus operandi che prevede detenzioni senza accusa ma solo per sembrare un qualche modo “sospetto” (alla faccia delle sue autoproclamazioni di essere “l’unica democrazia del Medio Oriente”).
Infatti, la famiglia del ricercatore ad un mese dalla sua detenzione, non ha saputo nulla di lui, né del suo stato di salute né tantomeno se la sua detenzione a Tel Aviv fosse destinata a durare sine die. Le uniche cose che ci erano date sapere su di lui sono che nel frattempo ha avuto quattro “udienze” in cui non sono ancora state messe in chiaro quali sarebbero le “accuse” a suo carico.
Inoltre, come lamenta anche il suo legale, Flavio Rossi Albertini, il quale avverte, che se la detenzione di Khaled, da “provvisoria” dovesse trasformarsi in un vero e proprio processo, questa “sarebbe fondata su interrogatori viziati a monte dal fatto di non essere stati resi in presenza di un difensore”. Secondo il legale, “le autorità israeliane non hanno elementi per processarlo” e per questo “tentano di rinvenirli attraverso questi interrogatori: nell’ordinamento italiano sarebbero affetti da nullità assoluta”.
solo dopo 15 giorni dal suo arresto ha avuto modo di “avvalersi” di un altro avvocato palestinese, con il quale però ha avuto contatti irrisori
Si tratta di una avvenimento, che purtroppo i nostri ricercatori italiani subiscono sempre più spesso, come nei casi Regeni, Zaki avvenuti in Egitto e Piperno in Iran.
Tuttavia, rispetto ai casi sopramenzionati, ci sono degli elementi che fanno scalpore su questa vicenda.
Il più evidente è la palese complicità delle istituzioni in questa vergognosa violazione dei diritti di un cittadino italiano. A distanza di un mese dall’arresto di Khaled El Qaisi, i principali mezzi di comunicazione Italiani hanno quasi completamente taciuto sulla vicenda e sui coordinamenti che ne hanno chiesto il rilascio.
In certe interviste a membri del governo sono emerse dichiarazioni di una gravità a dir poco imbarazzante, in primis da colui che, almeno sulla carta sarebbe il capo dell’organo istituzionale predisposto nel garantire la sicurezza ed i diritti dei cittadini italiani all’estero, ovvero il ministero degli esteri.
Tajani ha infatti dichiarato che gli apparati diplomatici della Nazione “stanno seguendo la vicenda come seguono la vicenda di tutti gli italiani che sono detenuti nel mondo”, tuttavia “non possiamo interferire con le attività giudiziarie di un altro paese”, si tratta di una dichiarazione, oltre che penosa, è detta in palese malafede, poiché un organo di tale importanza come il ministero degli esteri non può fingere di non sapere che per questo genere di cose esistono organi giudiziari internazionali (che non a caso l’entità sionista li ha ovviamente accusati di “puro antisemitismo” già nel 2021) che sono preposti nel far rispettare i diritti umani, nello specifico, nel caso di Khaled sono stati violati gli articoli 10 e 11 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo.
In più, altra cosa che il ministro sembra “dimenticare” è che nei casi Zaki e Piperno il governo si era preso il merito del rilascio dei due ricercatori. Come mai nei confronti di Egitto ed Iran il governo si vanta di averli riportati a casa, mentre nei confronti di Israele dice testualmente “non possiamo interferire con le attività giudiziarie di un altro paese”? Ai posteri l’ardua sentenza.
Altro dato da sottolineare, l’arresto di Khaled non è avvenuto in territorio Israeliano, è avvenuto nei territori occupati dalle forze sioniste, questo mette in luce due cose:
La prima, che Il menefreghismo della Farnesina, sembra che il governo voglia “riconoscere” implicitamente la sovranità sionista nelle terre palestinesi occupate come la Cisgiordania,
La seconda è che lo Stato sionista con questo arresto dimostra di confondere la sicurezza dell’annessione di terre altrui con la propria sicurezza nazionale. Altra dichiarazione dello stesso “spessore” ci viene da Giovanni Donzelli (FdI), vicepresidente del COPASIR, che interpellato sulla vicenda afferma: “Non ho seguito personalmente la vicenda, comunque credo che Israele abbia il diritto di difendersi. Se ci sono cittadini italiani che non hanno una difesa adeguata ovviamente ce ne occuperemo, però il diritto di Israele a difendersi dal terrorismo credo sia un caposaldo importante della democrazia”.
Si, avete letto bene, in un colpo solo non solo ammette sia di non aver seguito la vicenda ma da anche al nostro concittadino di “terrorista”, per cui Israele ha fatto bene a difendersi,
meno male che questo governo era composto da gente che si autodichiarava “patrioti” o “sovranisti”.
Una stoccata agli attivisti da social, di Giovanni Amicarella
Vorrei avere torto più spesso, lo ammetto, tuttavia sono felice di aver visto, e di averci visto coinvolti in prima linea, un discreto movimento inerente alla scarcerazione di Khaled, detenuto senza dato motivo dalle forze di occupazione israeliane, con la Farnesina che emula le scimmiette del non vedo-non parlo-non sento. Fra il 28 ed il suo culmine ieri con il presidio davanti alla Rai di Roma, organizzato dal Comitato Free Khaled, che ringraziamo immensamente per il grande impegno attivo nella causa.
La foto di copertina dell’articolo, scattata lì, con le bandiere antisioniste in mano a sottolineare che ci siamo stati, che qualcuno di altre organizzazioni aveva paura portassimo (vi si vuole bene, democristiani) ma che poi non si sono presentati, mentre sono state accolte bene da chi era presente. Oltre che al festival della Cultura Palestinese.
Su cosa avevo purtroppo ragione? Su quelli che definisco sardonicamente “socialpanzerotti” che si sarebbero limitati al selfie da casa. Di svariate organizzazioni, anche singoli “attivisti”, prima che qualcuno mi venga a piagnucolare se mi riferissi alla sua realtà o meno chiarisco. Code di paglia a parte di chi già si sente tirato in causa, mi chiedo il perché…
Una fantozziana valanga.
Talmente tanti che in alcuni presidii per fortuna si sono aggiunti curiosi, o solidali alla causa non impegnati attivamente in politica, pena l’avere una desolazione abissale. Paradossalmente, ci sono organizzazioni e partiti marcatamente borghesi che hanno dato l’esempio di presidio a tante organizzazioni rivoluzionario solo su WhatsApp, e ciò è tremendamente triste.
Capisco che l’attivismo social sia pratico, qualsiasi imbecille può scrivere quello che vuole e farsi passare per quello che vuole, per i miei detrattori me incluso (quando parlo in pubblico diranno Photoshop probabilmente), ma sarebbe il caso che almeno nelle lotte unitarie si tirasse fuori della grinta.
Oppure che vi faceste da parte, è un’ipotesi ben accetta e gradita anche questa. Piuttosto che cercare egemonia col lumino, chiedetevi perché siete sempre quelli alla perenne ricerca di un traino.