Introduzione di Giampiero Braida, testo di Giulio Andrea Belloni
Introduzione
La dichiarazione di socialismo mazziniano è un documento storico di natura politica e ideologica scritto dal celebre criminologo e politico italiano Giulio Andrea Belloni. Questo breve testo da pamphlet nasce
per celebrare il cinquantesimo anniversario dalla nascita di Giuseppe Mazzini, uno dei padri ideologici
del Risorgimento italiano. Belloni dichiara la sua idea, condivisa poi da altri teorici di sinistra del Partito
Repubblicano come Alfredo Bottai o Mario Bergamo, di un socialismo profondamente italiano e radicato
nella tradizione del Risorgimento. Si contraddistingue sul piano del pensiero come la visione di una
società di uomini liberi e uguali nei diritti e nelle possibilità iniziali, dove non vi sia più lotta di classe né
sfruttamento capitalistico. Il socialismo mazziniano pone in primo piano il diritto del lavoro, ossia il
dovere di lottare per la giustizia sociale senza contaminazioni deviatrici, contraddizioni di metodo e
panacee filocapitaliste. Belloni considera il socialismo sia come la realizzazione dell’associazionismo
mazziniano in senso anticapitalista e anti-salariale sia come un momento storico della compiuta
realizzazione democratica dello stato repubblicano. Per la nostra democrazia odierna, esso è il problema
dell’epoca.
Muovendosi perciò dal binomio mazziniano di “libertà e associazione”, il socialismo della scuola
mazziniana esige la soppressione del parassitismo sociale e di ogni forma di sfruttamento dell’essere
umano, senza necessariamente sopprimere ogni attività privata. Ciò, a livello programmatico, implica
pertanto:
- promuovere il pluralismo economico. Le imprese economiche private, di proprietà individuale,
cooperativa o sindacale, debbono concorrere con le imprese largamente socializzate per contribuire
alla realizzazione del progresso e del benessere di tutti; - rispettare la proprietà individuale e familiare frutto dell’onesto lavoro e non sfruttatrice del lavoro
altrui; - far raggiungere a tutti il benessere proprietario solo mediante l’onesto lavoro;
- meritocrazia, ossia assicurare ad ognuno il frutto del proprio lavoro in proporzione dell’attività data
e del valore apportato; - far sì che ad ogni patriota volenteroso e capace possa accedere liberamente e gratuitamente agli
strumenti della produzione, cominciando dall’istruzione senza limiti di grado.
Il socialismo mazziniano vuole abolire il capitalismo come sistema economico di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Non vuole invece decretare un semplice passaggio dalla prepotenza autoritaria del privato capitalista all’onnipotenza totalitaria dello stato capitalista. Sostenendo l’anticapitalismo come motore della sua azione sociale, il socialismo mazziniano è di conseguenza anche anti-salariale. Per Mazzini il salario è la piaga dei nostri tempi: esso rappresenta le antiche forma di schiavitù come la servitù della gleba. Inoltre tra il salario statale e quello privato non cambia niente…il socialismo mazziniano, pertanto, non sostiene una politica “per il popolo” eretta su un paternalismo statalistico. Lotta invece per un sistema socialista in una politica “di popolo”, fondata cioè sulle libere energie creatrici dei produttori, ossia i lavoratori non più salariati. Ed è questa la dottrina socio-economica dei sindacalisti rivoluzionari come Sergio Panunzio, Angelo Oliviero Olivetti, Alceste De Ambris e Filippo Corridoni.
Sul piano organizzativo il socialismo mazziniano si caratterizza:
- per non essere programmato da dottrinari in funzione di fabbricatori di decreti governativi;
- nell’essere sindacalista ma non statalista, pur considerando lo Stato Sociale Repubblicano autentico
uno strumento del progresso sociale;
- nell’essere un libero prodotto delle organizzazioni dei lavoratori (autogoverno delle categorie);
- nel non essere paternalista e dittatorio, ma operaio e libertario;
Sul fatto del carattere “operaio”, il socialismo del Mazzini interpreta il concetto di lavoro in senso ampio, introducendo nell’etichetta generica di “lavoratore” il manovale così come l’artigiano o l’intellettuale, o in genere chiunque dia onestamente opera al patrimonio comune della civiltà. Per questo il socialismo mazziniano aderisce all’ideale del sindacalista Olivetti di un “fronte unito del lavoro”, ossia di un unico grande gruppo che riunisca tutti i ceti produttivi e non parassitari del popolo: dai proletari delle fabbriche agli intellettuali piccolo-borghesi fino ai ceti medi, siano essi proletarizzati oppure in via di proletarizzazione. L’idea di fondo è quella di sfondare il “muro del denaro speculativo” che separa il popolo vero dai ceti improduttivi e parassitari appartenenti all’ipercapitalismo finanziario e monopolistico ancora oggi vigente (grandi industriali, magnati della finanza, grossi banchieri…).
Concludendo, il socialismo mazziniano è in sintesi il socialismo del Risorgimento d’Italia. Esso dà quello che possono offrire tutti gli altri sistemi socialisti (giustizia sociale, abolizione del capitalismo, fine della divisione della società in classi), con il quid in più di una concezione integrale di un’umanità nuova ispirata al valore della libertà.
Dichiarazione di socialismo mazziniano
di Giulio Andrea Belloni
Premessa
Nel crepuscolo fra due epoche il Paese vede quasi bandita dai politicanti ogni serietà di pensiero. E
soprattutto, vede quasi scomparsa la sincerità che non solo usa la parola per esprimere, anziché
camuffare, intendimenti e (dove giudizio e convincimenti sono lusso di pochissimi) opinioni, ma
scandisce intera la parola ogni qualvolta la testimonianza è dovere. E in questo tempo, a quanti
rammentano Mazzini, occorre ricordare che egli rappresenta non tanto un valore storico, quanto un
vivo valore attuale e d’avvenire: e precisare il perché e il come.
Attuale è il mazzinianesimo per l’alta vigoria del pensiero, ideale e metodo di condotta civile. Non è
forse più che mai vero che la politica disgiunta dalla morale non è se non brigantaggio? E che
democrazia o è iniziativa popolare, autoeducazione ed autoelevamento popolare ed abbattimento di
privilegi, o non è?
Valore d’avvenire poi, il mazzinianesimo è perché da Mazzini procede, sulla rivendicazione, un’operante
ed operosa profezia di un ordine sociale da attuare. I vecchi nomi di democrazia, di repubblica e di Stati
Uniti del mondo indicano tale ordine nuovo, ma non circoscrivono nelle esperienze acquisite la ragione,
la prospettiva, la volontà, l’azione dell’era sociale, in cui l’ordine nuovo auspicato si sostanzia.
La cultura della reazione, denunciata a suo tempo da Arcangelo Ghisleri, non riuscì a negare
riconoscimento a Giuseppe Mazzini ma volle contraffarne l’immagine nei limiti del di lui apostolato per
l’unità della Patria. Svalutò così tutto ciò che oltre l’unificazione dell’Italia egli insegna a volere, e
tramanda nel suo messaggio alla posterità. Tentò di intercettare questo messaggio: e di seppellire la
memoria dell’autore nel cimitero dell’Ottocento, come se si fosse trattato di un qualsiasi Cavour.
Ma al tempo dell’indipendenza unificatrice dell’Italia doveva succedere, come egli aveva voluto e
indicato, il tempo dell’avvento repubblicano e cioè della socializzazione dello Stato: e così avviene. E
questo secondo tempo deve essere consolidato promuovendo il terzo: quello dell’indipendenza
economica del Lavoro e dell’unificazione sociale; e cioè il tempo della repubblicanizzazione
dell’economia e così sarà.
Ogni tempo ha i suoi problemi preminenti e le sue idee: ed è fuori dell’insegnamento di Mazzini chi
altra fedeltà non sa concepire, che quella del ricopiare. Non ricopiare le idee dell’età che fu prima di voi,
ammonisce il Maestro: fate, diceva ai giovani, fate, invece, il programma dell’età in cui vi apparecchiate
a vivere! A ogni tempo il suo tempo, a nessuno il retaggio coriaceo di un dettato catechistico: questo è
mazzinianesimo, se promanante dai principi e tendente agli ideali di Giuseppe Mazzini.
Questo è il mazzinianesimo del nostro pensiero e della fede nostra.
Anticapitalismo
Sono il pensiero e la fede che furono dall’Apostolo inscritti contro il sistema del salario, il quale,
allineato da lui con la schiavitù antica e con la medioevale servitù della gleba, è il sistema del
capitalismo; e contro ogni mercimonio che si opponga al principio: prima la giustizia e il dovere, poi
l’altre cose, mentre il primo dovere consiste nella lotta per la giustizia emancipatrice.
Sono il pensiero e la fede per cui avversiamo gli autori della politica di classe, perseguita in Italia dalla
destra storica e mantenuta dal trasformismo multiforme successivo, mentre propugniamo una politica,
finalmente, di popolo. Mirando a portare la convivenza fuori del sistema della lotta delle classi, noi
condanniamo i provocatori continui di quella lotta, cioè i detentori del privilegio economico: contro i
quali la resistenza e l’azione dei lavoratori, sindacalmente fondata, non è altro che la lotta per il diritto e
per quella epoca nuova che, come diceva Mazzini sin dal 1834, “è destinata a costituire l’umanità, il
socialismo”, cioè un ordine sociale basato non più sull’antagonismo delle classi, ma sulla solidarietà, nel
quale valga la legge: bisogna che tutti producano; chi non lavora non ha diritto alla vita (politica si
intende, ndr); pane e lavoro per tutti, ozio e fame per nessuno.
Sono il pensiero e la fede, questo nostro mazzinianesimo, per cui combattiamo nell’intento di liberare,
insieme, i privilegiati dalla miseria morale e gli sfruttati dalla sofferenza e angosciosa incertezza della
vita, fondando, finalmente, nella morale del lavoro (che non ammette lo sfruttamento dell’essere
umano, proprio della speculazione capitalistica) l’unità morale degli Italiani, e di tutte le genti.
Sia ben chiaro: la nostra bandiera è una bandiera di rinnovamento morale, sulla quale è scritta la
qualifica data da Mazzini alla società del privilegio capitalista; un’infamia, che si deve far del tutto per
mutare. La qualifica non è certo impallidita e l’impegno non è certo svalutato per quanto sopravvenne
dai tempi, che Garibaldi in un certo punto chiamò “tempi borgiani”, dei consorti della destra storica, al
non concluso successivo ciclo del trasformismo: fino al presente “secoletto vil” che, dimentico della
maledizione evangelica contenuta nel paragone del cammello e della cruna dell’ago, cristianeggia e si
trova fotografato nei libri documentari di Ernesto Rossi: Settimo, non rubare e I padroni del vapore, e
nelle inchieste parlamentari sulla disoccupazione e sulla miseria. Questo rinnovamento non può
affidarsi alle prediche. Solo l’azione può promuoverlo. L’azione degli interessati primi, e degli illuminati.
Su quali vie?
Antistatalismo
Fu e rimane principio di Mazzini l’iniziativa, il ripudio di ogni paternalismo e caporalismo,
l’emancipazione opera degli emancipandi: unico modo per collegare il successo politico delle lotte con
l’acquisizione della maturità e della capacità sociale. Fu e rimane principio di Mazzini l’affidare la
soluzione del problema sociale non a dottrinari, o a capi politici, o a imposizione di tesi preconcette, ma
all’organizzazione stessa degli uomini del lavoro: onde l’azione rivendicatrice promani dal basso,
padrona di sé e del suo continuo procedere.
Sulla scorta di questi principi e dell’organizzazione dei lavoratori secondo la linea cui Mazzini diede tutto
l’animo nell’ultima fase della sua vita (promuovendo la causa delle Società operaie affratellate in Patto
Nazionale) dopo che aveva dato il primo impulso alla fondazione dell’Internazionale operaia; in nome di
questo retaggio e della cultura risorgimentale, noi respingiamo ancora solennemente l’errore di quanti
al capitalismo privato non vedono altro rimedio se non nel predominio del capitalismo di Stato, e altro
rimedio alle antisocialità della speculazione privata non vedono che nell’oppressione della privata
iniziativa, pur magari stabilendo la necessità della convivenza con la borsa nera!
Socialismo di movimento
Il socialismo di movimento, che Giuseppe Mazzini contrappose al socialismo di sistema, indica la via
maestra. Esso vuole la socializzazione degli strumenti produttivi maggiori: la quale, a parte il
concentramento (come indicato nel libro dei Doveri dell’Uomo) nella gestione dello Stato repubblicano
dei grandi servizi pubblici e di monopolio, non è statizzazione, ma sindacalizzazione delle aziende e
trionfo della cooperazione libera, richiamata ai suoi principi e al suo spirito rivoluzionario; mentre la
piccola proprietà, richiamata al principio di dipendenza dalla forza creatrice del lavoro e circoscritta nei
limiti del rispetto altrui, e l’iniziativa privata, anche dei singoli, debbono sollevare funzione e respiro
potenziandosi e armonizzandosi mediante attività libere consorziali, associative e comunitarie.
Libertà e associazione
Con Giuseppe Mazzini e con Carlo Pisacane (le cui concezioni sociali Mazzini, quando l’eroe da uno
divergeva da lui nel metodo d’azione, dichiarò di oltrepassare), con Giovanni Bovio e con Napoleone
Colaianni e con Arcangelo Ghisleri, con Francesco Viganò, Carlo Rota, Aurelio Saffi, Antonio Fratti,
Filippo Corridoni, Alceste De Ambris e Carlo Rosselli e i tanti altri della grande tradizione italica
risorgimentale; con tutti costoro noi replichiamo la fede nostra nel binomio, indicatore delle vie
d’avvenire: Libertà e Associazione. Libertà di pensiero, di critica, di espressione del pensiero e della
critica, di democratica azione: base e garanzia indeclinabile di ogni progresso che voglia avere la
sicurezza e il presidio della capacità popolare.
Capitale e lavoro nelle stesse mani
Associazione libera nella libertà comune per fini dichiarati: associazione, s’intende, fra persone di
emancipazione, non già (come farebbe tanto comodo a quanti hanno interesse a mandare il
sindacalismo in capponaia) degli sfruttati con gli sfruttatori. Il che non significa difetto di
preoccupazione, in noi, pel dovuto accorgimento perché la contesa per il frutto non abbatta l’albero o
perché la contesa fra le parti non rovesci il battello che sostiene e porta i contrastanti interessi. Nessuno
presuma dar lezione di senso di responsabilità agli uomini moderni di Mazzini che, fra l’altro, hanno
prospettato un sistema di “azionariato di lavoro” capace insieme di sempre più strettamente associare il
lavoro delle aziende e di condurlo a un pacifico trionfo in esse.
In questo spirito, noi onoriamo Giuseppe Mazzini e richiamiamo gli Italiani e tutti al messaggio suo di
verità, giustizia e libertà, di grandezza italiana e di umana nobiltà. Perché al pensiero che riconosce
succeda l’azione che realizza.