Di Ivan Branco e Marco Carboni
21 aprile del 753 A.C., la data che segnò uno spartiacque all’interno dell’età antica e dell’intera storia europea e occidentale, segnò l’inizio della civiltà che farà conoscere e spargerà una grande morale tanto pratica nella e della vita quanto legata all’eterno culto del celeste, una morale e dei valori fortemente
legati alla volontà terrena, all’edonismo inteso come ricerca razionale del piacere “qui e ora” e puntando sempre lo sguardo anche al di là del proprio Io momentaneo, e quindi non puro e sfrenato consumismo, non come quell’etica che, con parole, fatti e simboli odierni, possiamo considerare come totalmente
borghese, e quindi egoistica e non individuale, irrazionale e non saggia, illusoria e non veramente terrena e materiale.
Ma Roma non è solo esempio di grandi valori morali (coraggio, lealtà, sacrificio, estetica ed etica del piacere, giustizia, disciplina e libertà) ma anche di grandi modelli politici e sociali sanciti dalla nascita del suo diritto, fondato partendo proprio da quei cardini “spirituali” e in continuo divenire del popolo romano, i quali vedrà nei suoi grandi condottieri (Romolo, Giulio Cesare, Ottaviano Augusto etc.) e nelle sue grandi istituzioni (i Comizi Curiati, le Magistrature, il Concilio della Plebe etc.) la realizzazione di tutto ciò, fino agli inizi del III secolo D.C., età d’inizio della decadenza dell’impero e della civiltà romana.
Ora però, noi moderni, o meglio, noi uomini (a)moderni, abbiamo il dovere di volgere lo sguardo al passato e, con sempre rinnovata coscienza lucida, razionale e disciplinata, cercare di comprendere i veri meccanismi, la vera vitalità e i veri successi e fallimenti di un’epoca tanto bistrattata dai “nostalgici
delle vere tradizioni italiane” e dai cosmopoliti odiatori di tutto ciò che è grande, portando entrambe le parti a una totale decontestualizzazione della storia di Roma.
Per portare avanti una breve analisi che vada contro la tifoseria e la superficialità degli elementi già sopracitati, occorre anzitutto trovare i punti cardine da cui far partire la stessa, ed essi possono essere individuati nella:
1)Morale e Cultura di Roma
2)Società ed Economia di Roma
3)Politica Estera e Dominazione di Roma
1) Quando si parla di cultura di un popolo, dobbiamo vedere anche le condizioni della letteratura. Con lo sviluppo della Repubblica Romana, gli autori iniziarono ad occuparsi di commedie, tragedie, poesie e anche di storia: per citare un esempio importante, nel 123 avanti Cristo nacquero gli Annales Maximi. Su una tavola bianca venivano scritti i fatti più importanti successi durante l’anno dal Pontefice massimo, la massima carica religiosa, e questa poi veniva messa in mostra presso la sua dimora per essere consultata: senza artifici letterari, pure informazioni. Degne di nota anche le lettere private di Cicerone e diverse delle sue orazioni. Molta logica, molta concentrazione sulla politica, una certa raffinatezza: perché lo spirito della cittadinanza romana era come uno status di superiorità, un marchio di fabbrica rispetto al resto del
mondo conosciuto. Quando nacquero gli antenati dei nostri antenati, si dovettero distinguere con i mezzi che avessero a loro disposizione e una grande dose di furbizia e volontà come fece, per dirne uno, Quinto Fabio Massimo Verrucoso. Console per cinque volte, dittatore per una, venne chiamato “Il Temporeggiatore”, perchè affrontò Annibale in una maniera assai moderna: stretta sorveglianza delle sue forze, nessun confronto diretto, cattura di singoli soldati isolati dal resto del gruppo, accampamenti sulle colline in quanto più difficili da raggiungere per i nemici. Nella stessa cultura vigeva anche la leggenda di Gaio Muzio Scevola, colui che mise la mano nel braciere dopo aver fallito l’assassinio del Re etrusco Porsenna e permise a Roma di firmare con lui una pace con un suo stratagemma ingegnoso sul momento. L’uomo medio della Repubblica aveva dei chiari modelli di riferimento che di questi tempi scarseggiano, e non mi stupisco nel vedere sempre più persone rifarsi ai superuomini del passato, sempre
ovviamente tenendo conto delle proprie inclinazioni e credenze personali più o meno guerriere.
2) Naturalmente un governo è forte tanto quanto le condizioni delle sue stesse possibilità, quindi ci serve dare un occhio all’economia. Su questa sono arrivate a noi pochissime fonti concrete che trattassero l’argomento direttamente ma gli storici sono riusciti a ricreare grazie a ritrovamenti archeologici un’immagine relativamente nucleare dell’economia romana attuale; anche se qualche fonte in più a riguardo ci farebbe sempre comodo. Durante il periodo imperiale, degno di nota fu proprio il Mar Mediterraneo: i Romani riuscirono ad acquisire il controllo di ogni sponda (come ad esempio nel periodo dell’Imperatore Adriano, dal 117 al 138 dopo Cristo) e fin dove possibile venne preferito il trasporto via mare per ragioni di risparmio, stimato dallo storico britannico Morris Keith Hopkins come più economico di cinquanta o sessanta volte rispetto al trasporto di merci via terra… per noi Italiani il discorso rimane
sempre quello: anche il nostro mare esige attenzione…
3) Parlare di Roma senza parlare della sua grandezza geografica è possibile, ma risuona innaturale; d’altronde l’ars romana per eccellenza fu proprio quella della sua volontà e capacità di conquista. I confini furono sia artificiali sia naturali; per fare qualche esempio, la Città Eterna già nel periodo della monarchia vide le Mura serviane grazie al quinto re di sette, Tarquinio Prisco, che vennero poi ampliate e abbinate ad un successivo fossato grazie al re successivo, Servio Tullio. Successivamente nacquero le Mura Aureliane. E questi sono solo due esempi di mura romane dell’antichità a cui possiamo aggiungere anche il Vallo di Antonino e il Vallo di Adriano, due fortificazioni situate totalmente in Gran Bretagna. Queste erano collocate rispettivamente all’incirca a metà della Scozia e nel nord dell’Inghilterra. Inoltre sono degne di
nota le strutture che forse racchiudono di più l’essenza romana senza essere famosi monumenti, in quanto la loro costruzione rispecchia l’ordine e la precisione che quella civiltà avesse senza però dimenticare totalmente il mondo pratico: l’accampamento. Al suo interno conteneva più edifici che
dovevano rendere l’esercito stanziato più protetto dai pericoli esterni e capace di svolgere semplici funzioni, ad esempio le palizzate di legno appuntite venivano sostituite da vere e proprie mura se ci fosse stato bisogno di un accampamento permanente per sorvegliare una zona ancora ostile; stessa cosa
per le “abitazioni”, che da tende diventavano case vere e proprie. Potevano esserci torri di guardia vicino alle quattro porte, una per ogni lato. Se vi interessasse impararne l’organizzazione vi invito a ricercare l’argomento più in dettaglio.
Adesso due citazioni interessanti. Ci scrive Sesto Giulio Frontino in “Stratagemata”:
“Pirro re dell’Epiro, istituì per primo l’utilizzo di raccogliere l’intero esercito all’interno di una stessa struttura difensiva. I Romani, quindi, che lo avevano sconfitto ai Campi Ausini nei pressi di Malevento, una volta occupato il suo campo militare e osservata la sua struttura, arrivarono a tracciare con gradualità quel campo che oggi a noi è noto.”
Polibio, nelle sue Storie, ci disse: “Mi sembra che i Romani, i quali cercano di essere molto pratici in questa
disciplina, seguano una strada del tutto opposta a quella dei Greci. Questi ultimi infatti, quando piantano l’accampamento, ritengono sia di somma importanza adattarsi alle difese naturali del luogo stesso, sia perché così evitano di faticare con la costruzione di fossati, sia perché credono che le difese artificiali non possano eguagliare quelle naturali, che il terreno può loro offrire. E così, nel predisporre il piano generale dell’accampamento, sono costretti a cambiare continuamente il suo assetto […] per cui nessuno sa mai
con precisione quale sia il suo posto e della propria unità. I Romani, al contrario, preferiscono fare la fatica di scavare i fossati e di costruire le altre opere di fortificazione per avere sempre un unico tipo di accampamento, sempre uguale e ben conosciuto a tutti. “
Polibio con questa descrizione ha fatto un paragone molto interessante su cui voglio soffermarmi. L’adattabilità dei Greci è sicuramente degna di nota, anche per una questione di risparmio delle risorse personali. Tuttavia i Romani hanno avuto il vantaggio dato dalla scelta di un qualche modello di riferimento che però non fosse pesante e difficile da ricreare. Ciò li ha portati a poter dipendere da qualche punto a loro favore durante le loro campagne militari che loro stessi avessero costruito “in previsione di”. Per fare un breve esempio che farà ben capire, pensate al numero delle porte presenti. Queste dovevano permettere per necessità di potersi spostare e rientrare o uscire dall’accampamento velocemente, inoltre questa discreta presenza di punti d’accesso – che non fossero però troppi da dover tenere sotto controllo – permettevano che un esercito nemico non potesse intrappolare i soldati
rimasti al suo interno in caso di massiccio attacco. Queste piccole perle basate sul buonsenso diedero più probabilità di salvare un maggior numero di uomini, soprattutto nel caso degli accampamenti permanenti. Ma le difese romane furono anche naturali, in un certo senso non disdegnarono totalmente l’idea greca citata da Frontino. Il Danubio e il Reno, il Sahara e il Deserto Arabico: questi son quattro esempi. In più zone geografiche ci furono difese diverse, che spesso si combinarono a quelle naturali locali. La combinazione di entrambe queste idee permise all’Impero di essere potente.
Ora, dopo queste breve analisi sui punti cardine della civiltà romana (e più in generale di ogni civiltà), possiamo passare alla conclusione di questo articolo dedicato alla nascita dell’Urbe con alcune critiche che vanno necessariamente mosse sia per lapalissiane ragioni storiche e sia per altrettante ovvie ragioni
dialettiche e di sviluppo della nostra concezione:
La nostra concezione ed essenza politica di socialisti, ma anzitutto la nostra essenza di uomini originali, forti e decisi ad affrontare questa strada di pietre affilate e roventi, deve essere lucidamente consapevole del fatto che il Pathos di cui Roma si è fatta portatrice nell’epoca storica e cronologica in cui la sua
grande civiltà è vissuta non deve essere considerato come una forma ormai superata della Storia e dello Sviluppo umano, non esiste alcuna singola tappa che, una dopo l’altra, ci debba necessariamente portare verso il nostro Avvenire, Marx ed Engels ci hanno mostrato la decadenza della società,
dell’economia e, quindi, della civiltà capitalistica e borghese.
Bene, Roma e gli Antichi Sapienti dei millenni passati ci hanno insegnato come la Storia sia anzitutto Divenire, e quindi eterno scorrimento e scontro delle nascenti e feconde volontà del cosmo e dell’uomo.
Perciò noi non rinunceremo mai al nostro antico passato bollandolo come un
tempo ormai perduto, al contrario abbiamo il compito di far riemergere tale grande saggezza terrena e razionale all’interno di noi stessi e del socialismo in Italia, seppur ovviamente con le dovute differenze del caso, di certo non si tratta di ristabilire la schiavitù o il politeismo, bensì di far rinascere lo spirito
della grandezza creativa, eterna e fiorente insita negli italiani e nell’umanità tutta.
E sarà qui che l’ “Impero”, nella sua connotazione filosofica, tornerà ad essere il centro di gravità della nostra concezione fieramente internazionalista, ovvero con l’adunata delle forze rivoluzionarie del mondo intero sotto il vessillo-guida di una Roma rinnovata e resa moderna, e quindi di una Roma imperiale e non imperialista e colonialista, l’unione delle grandi forze e della vertigine del progresso futuro che assaliranno le roccaforti capitaliste e reazionarie portando con loro gli stemmi dell’Internazionale di Roma, unione dei popoli, delle civiltà feconde e del genio umano nello scontro contro ogni immobilismo dello stile, del pensiero, dell’energia vitalistica e della pace sociale; l’Internazionale di Roma sarà la morte di ogni oppressione e sfruttamento, della conservazione e la nuova linfa vitale di cui il mondo e l’umanità intera hanno bisogno.