Di Lorenzo Maffetti e Fabian, introduzione di Giovanni Amicarella
Nella fitta coltre d’acqua piovana che si riversava sulla strada, andavamo a passo deciso verso un simbolo che giace purtroppo dimenticato. Olga Ignatieva a condurre me e Jean Claude Martini, delegato italiano della KFA, lungo il tragitto, scambiando sia chiacchere che informazioni sulla giornata che andavamo anticipando: il 9 maggio. Una data che ad oggi appare più che mai offuscata, soprattutto dall’inizio del conflitto russo-ucraino, reso un qualcosa da dover staccare dal popolo russo, in una costrutta pretesa di non appartenenza da quella risibile categoria che ad oggi si ammanta del termine “socialista” per camuffare (malamente) le tendenze filostatunitensi. Olga, giustamente, non ci sta, anche perché i socialisti ad est sono di ben altra pasta. Non hanno certo paura di essere “tacciati” di patriottismo, è una medaglia la valore. E’ l’anniversario della loro vittoria, della loro Grande Guerra Patriottica. Ed è per questo che ci ha condotto in un luogo significativo: dov’è posta la targa a memoria di Nikolaj Bujanov, giovanissimo partigiano sovietico. Ad oggi decorata, per giusta memoria, con nastri di San Giorgio.
Ma perché si tiene a memoria il 9 maggio?
Oggi, 9 maggio, si ricorda la definitiva capitolazione dell’esercito e della Germania nazista, con la firma della resa incondizionata degli ultimi generali tedeschi rimasti in vita di fronte alle Armate Sovietiche, che sancì la fine della Seconda Guerra Mondiale in Europa. Nel clima europeo degli ultimi anni, si è tentato di
equiparare, storicamente ed ideologicamente, il nazismo al comunismo, come coronamento del processo di revisionismo storico (e culturale) iniziato dal capitalismo occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale, il quale tra i suoi baluardi, in continuità con certe asserzioni degli epigoni del nazifascismo, aveva (e ha ancora oggi, sebbene in misura minora, anche se nell’est Europa, soprattutto in Ucraina, sono frequenti le
rimozioni forzate dei monumenti alla memoria del comunismo e i linciaggi, spesso pubblici, ai membri delle associazioni comuniste) la demonizzazione a tappeto dell’Unione Sovietica e della sua storia, nonché del suo ruolo, fondamentale, nel secondo conflitto mondiale.
Tuttavia, l’oggetto di questo articolo non è il seguente, nonostante sia di massima importanza per ovvie ragioni. Infatti, cercheremo di ripercorrere, a grandi linee, le tappe attraversate dall’Unione Sovietica tra l’inizio dell’Operazione Barbarossa e la gloriosa controffensiva che ha portato, poi, alla liberazione
dell’Europa orientale dal nazismo, per giungere alla presa di Berlino.
Operazione Barbarossa, Battaglia di Mosca e Battaglia di Stalingrado
Nel 1941 Hitler era deciso ad attaccare l’Unione Sovietica a tutti i costi, realizzando finalmente il suo sogno di estirpazione radicale del “giudeobolscevismo” dalla faccia del pianeta.
Con questo attacco, il Reich ruppe ufficialmente l’accordo “Molotov-Von Ribbentrop” firmato all’alba dell’invasione nazista della Polonia, con il quale, peraltro, si stabilì una reciproca “non-aggressione” tra l’URSS e il Reich, oltreché la “spartizione” della Polonia. In realtà, ancor prima del 1941, anno in cui iniziò effettivamente l’Operazione Barbarossa, di preciso il 18 dicembre 1940, Hitler lanciò la direttiva n° 21. Una parte della direttiva in questione recita così, ed è perentoria: «Le forze armate tedesche debbono prepararsi a schiacciare la Russia in una rapida campagna prima che la guerra contro l’Inghilterra sia
terminata. A tal fine l’esercito impiegherà tutte le unità a disposizione, tranne quelle necessarie per salvaguardare da attacchi di sorpresa i territori europei occupati. I preparativi dovranno essere
condotti a termini entro il 15 maggio 1941. Occorre usare la massima prudenza per evitare che trapeli la nostra intenzione di attaccare».
Scrive Anna Strong: «All’alba del 22 giugno 1941 Hitler colpi con un attacco di sorpresa l’Unione Sovietica. Migliaia di aerei tedeschi bombardarono gli aeroporti sovietici; migliaia di carri armati irruppero attraverso le frontiere, seguiti da milioni di uomini delle truppe motorizzate. «La più grande marcia militare nella storia del mondo», proclamò Hitler. Non aveva esagerato. Con quell’attacco le
due più grandi armate del mondo erano ingaggiate nella lotta più decisiva del genere umano».
«È una lotta tra ideologie e razze diversi e dovrà essere combattuta con una durezza, una spietatezza e una inesorabilità senza precedenti […] I commissari del popolo dovranno essere eliminati»,
aveva affermato lo stesso Hitler. Nei piani del Fuhrer vi era la convinzione che l’offensiva sarebbe
stata un “blitzkrieg” come in Polonia o in Francia e in effetti la convinzione si avverò nel primo periodo di guerra. Difatti l’esercito nazista trovò di fronte a sé l’esercito sovietico poco preparato e non pronto a dovere, fino a quel momento, per resistere ed eventualmente attaccare per una controffensiva. Non
a caso, «il primo giorno furono distrutti quasi 1.100 aerei russi, il che garantì ai nazisti una copertura aerea incontrastata durante i primi mesi dell’invasione. Appena quattro giorni dopo, il 26 giugno, il
generale Hermann Hoth arrivò a Minsk, accerchiando 324 mila sovietici e 2.500 carri armati che si sarebbero arresi in poco tempo. Gli eserciti a nord e a sud avanzavano altrettanto velocemente, spezzando il fronte nemico e conquistando una città dopo l’altra.
L’avanzata dell’esercito centrale di Hoth proseguì a un ritmo di trentadue chilometri al giorno, attraversando la linea di difesa Stalin e arrivando a Smolensk (a 369 chilometri da Mosca) il 18 luglio. Un contrattacco sovietico per difendere la capitale si concluse in un nuovo disastro: più di 300mila soldati furono circondati con un’altra manovra d’accerchiamento e infine catturati».
Il piano iniziale prevedeva due offensive principali su Mosca e Kiev, con un diversivo su Leningrado. Successivamente, l’asse dell’attacco venne spostato anche verso nord, su Leningrado, ma Mosca restava l’obiettivo fondamentale. I vertici della Wehrmacht confidavano di poter conquistare la Russia in soli
cinque mesi, prima che l’inverno portasse con sé la temuta rasputiza, che avrebbe inevitabilmente rallentato il ritmo delle operazioni. Gli osservatori occidentali stessi riponevano ben poche speranze nelle capacità di difesa russe.
A tal proposito scrive Andrea Santangelo: «l’intelligence tedesca “cannò” clamorosamente la cifra delle divisioni sovietiche a disposizione di Stalin: ne ipotizzò al massimo 180, di cui 120 di fanteria, 30 di cavalleria e 30 meccanizzate, mentre in realtà il 22 giugno 1941 ve ne erano 213, già 360 l’11 agosto e ben 580 il 31 dicembre. […] Ci fu sottovalutazione pure nella capacità dell’industria sovietica di ripianare le perdite». Più avanti, in una registrazione di un colloquio fra Hitler e Mannerheim del 1942, il primo avrebbe affermato: «non eravamo completamente sicuri di quanto mostruoso potesse essere questo armamento, è evidente che abbiano il più mostruoso armamento che l’umanità possa immaginare. Se qualcuno mi avesse detto che uno stato (…pausa) se qualcuno mi avesse detto che uno stato potesse avere una linea con 35.000 carri armati, gli avrei detto “tu sei pazzo”. Se un mio generale mi avesse detto, che uno stato potesse avere 35.000 carri armati, io avrei risposto: “Mein Herr, tu ci vedi doppio, sei pazzo, vedi i fantasmi.” Non pensavo fosse possibile». I piani quinquennali di Stalin avevano impresso alla potenza industriale sovietica un salto qualitativo e quantitativo non da poco, eppure la potenza sovietica dell’epoca non va assolutamente idealizzata; infatti, nel complesso, la logistica sovietica era primitiva, e l’organizzazione dell’esercito inadeguata, viceversa il sistema tedesco fondato
sull’iniziativa degli ufficiali si dimostrò, in un primo momento, vincente. Intanto, il popolo sovietico iniziava a preparare la resistenza: il movimento partigiano ebbe un importante diffusione
nelle zone paludose e boschive del Centro, in ogni fattoria collettiva i contadini furono organizzati in squadre di partigiani.»
Uno dei principali errori strategici di Hitler fu tuttavia quello di non puntare direttamente su Mosca, come consigliato dai generali, ma deviare parte delle armate del Centro verso nord e sud, dove la resistenza sovietica stava dando più problemi all’esercito tedesco. Questo errore strategico concesse ai sovietici
un attimo di respiro fondamentale nell’organizzazione della resistenza. Si procedette anche a spostare parte delle armate siberiane verso il fronte occidentale: l’attività spionistica di Richard Sorge aveva tranquillizzato la leadership sovietica sulla possibilità di un attacco giapponese ad Est. I giapponesi non
erano assolutamente intenzionati a ripetere il tragico epilogo delle cocenti sconfitte subite nei vari scontri di frontiera che si susseguirono tra il 1932 e il 1939.
Vicino alla capitale dell’Unione Sovietica vi era la cittadina di Vyazma, roccaforte dell’esercito nella quale erano arroccate le truppe deputate alla difesa di Mosca. I tedeschi riuscirono a conquistare la città provocando ingenti perdite all’Armata Rossa e così poterono muoversi verso la capitale. Per impedire
l’avanzamento – dato che la Wehrmacht il 15 ottobre si trovava a 105 chilometri da Mosca – e guadagnare tempo, furono chiamati i “cadetti di Stalin”, studenti diciottenni (alcuni dei quali anche minorenni), che si unirono alla difesa della linea. Il 7 novembre di quell’anno, in occasione dell’anniversario della Rivoluzione
d’Ottobre, Stalin tenne un discorso pubblico durante l’adunata e la sfilata dell’Esercito, che rinvigorì il morale delle truppe, legittimamente fiaccate dalle pesanti perdite subite in termini di uomini e territori. In esso Stalin ribadì la giustezza della causa dei popoli sovietici nel difendere la propria libertà e la libertà dei
popoli europei dall’inumano imperialismo nazifascista, lanciando parole d’ordine e scagliando anatemi contro l’invasore, ribadendo che l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche fosse entrata in nuovo ed arduo periodo, che si traduceva in un nuovo ed imponente compito da portare a
termine, ovverosia la difesa della patria sovietica e della
libertà degli altri popoli.
«D’ora innanzi il nostro compito, il compito dei popoli dell’Unione Sovietica, il compito dei combattenti, comandanti e dirigenti politici del nostro esercito e della nostra marina consisterà nello sterminare fino all’ultimo tutti i tedeschi penetrati sul territorio della nostra Patria come invasori. (Fragorosi applausi. Grida: «È giusto! Urrà!»). Nessuna grazia agli invasori tedeschi! Morte agli invasori tedeschi! (Applausi fragorosi)». E concludeva così il discorso: «Noi possiamo e dobbiamo assolvere questo compito. Soltanto dopo aver assolto questo compito e disfatto gli invasori tedeschi, potremo ottenere una pace duratura e giusta. Per la completa disfatta dei conquistatori tedeschi! (Applausi fragorosi). Per la liberazione di tutti i popoli oppressi che gemono sotto il giogo della tirannide hitleriana! (Applausi fragorosi). Evviva l’indissolubile amicizia dei popoli dell’Unione Sovietica! (Applausi fragorosi). Evviva il nostro Esercito rosso e la nostra Marina rossa (Applausi fragorosi. Evviva la nostra gloriosa Patria! (Applausi fragorosi). La nostra causa è giusta, la vittoria sarà nostra!».
Nel 1942 i combattimenti si impaludarono sui territori inizialmente conquistati dai tedeschi prima della disastrosa offensiva su Mosca. Il ‘42 e il ‘43 furono anni cruciali per la guerra, soprattutto nel fronte orientale, sul quale si concretò l’attacco dei tedeschi a Stalingrado (l’attuale Volgograd), che si
concluse con la vittoria dei sovietici e l’inizio della controffensiva che poi avrebbe portato l’Armata Rossa, di lì agli anni successivi, alla liberazione dei paesi dell’Est che ancora si trovavano sotto l’occupazione del Reich, fino alla presa di Berlino e alla conclusione del secondo conflitto mondiale in Europa. Quella di
Stalingrado, a ragion veduta, viene definita come la battaglia più sanguinosa della storia ed anche come la più importante nella lotta all’assalto nazifascista della Patria Socialista. Il 28 giugno del 1942 Hitler avviò l’Operazione Blu, con la quale l’esercito tedesco avrebbe dovuto tagliare i rifornimenti all’Armata Rossa provenienti da Stalingrado, conquistando la città. Ma Hitler ancora prima aveva ordinato ai suoi di virare su Stalingrado, precisamente il 19 giugno. Così facendo, colse di sorpresa i soldati sovietici, i quali preferirono arretrare lasciando terreno ai nazisti, piuttosto che perdere altri uomini. Nei fatti fu
una mossa vincente, perché i tedeschi conquistarono essenzialmente dei terreni deserti, senza potersi approvvigionare del petrolio che gli serviva per proseguire l’operazione. La battaglia iniziò il 23 agosto e i tedeschi avanzavano sempre di più, nonostante, loro malgrado, arrivassero sempre nuove truppe sovietiche provenienti da Mosca. L’8 novembre Hitler dichiarò conquistata Stalingrado. «La caduta di Stalingrado avrebbe aperto la strada per accerchiare Mosca dal sud; avrebbe eliminato gli ostacoli sulla via dei-petrolio di Baku, e fino all’Iran e all’India, sarebbe servita a ricongiungersi con i giapponesi nel Turkestan cinese». Ma Hitler parlò troppo presto. Infatti le truppe sovietiche si stavano ammassando ai lati della città, al fine di accerchiare quelle naziste. Dopo mesi di battaglie logoranti (scrive Anna Strong: «Non vi è più terra al di là del Volga», correva la voce in Stalingrado. Si combatteva di strada in strada, di casa in casa, di stanza in stanza. Si usarono fucili, granate, coltelli, sedie di cucina, acqua bollente. La fabbrica di carri armati continuò a produrre carri armati e a lanciarli contro il nemico direttamente dal cortile dello stabilimento. «Non una casa è rimasta intatta» diceva il bollettino tedesco. Allora il popolo combatte dalle cantine e dalle grotte. «Ogni mucchio di macerie può costituire una fortezza, se vi è abbastanza coraggio», fu il nuovo slogan. «Ogni mucchio riconquistato ci fa guadagnare tempo» fu il messaggio di Stalin. La gente di Stalingrado combattè così per centottantadue giorni») il 2 febbraio
del 1943 l’accerchiamento delle truppe naziste fu effettuato e i tedeschi dichiararono la resa. Il gioco, per i tedeschi, non valse la candela e i piani di Hitler, dopo Stalingrado, risultarono carta straccia e si vanificarono. Nel corso della battaglia l’intera popolazione venne mobilitata e il popolo sovietico dimostrò un coraggio incrollabile. La battaglia fu in effetti un vero e proprio scontro per la vita e per la morte. “Lascia che la gloria dei combattenti connazionali viva come una stella immutabile nelle
leggende”. Così, iniziò la controffensiva sovietica, che terminò tra l’8 e il 9 maggio del 1945.
In questa sede non possiamo dilungarci ulteriormente su tutti gli avvenimenti che ci furono tra la Battaglia di Stalingrado e la conquista di Berlino. A questo inframezzo riserveremo un articolo in futuro, con il quale completeremo la narrativa degli accadimenti. Ora dobbiamo passare alla Battaglia di Berlino, la fine delle quale decretò la cessazione, in Europa, della Seconda Guerra Mondiale, attraverso la fine del III Reich.
La battaglia di Berlino
Tra il giugno del ‘44 e l’inizio del ‘45 le truppe sovietiche inflissero pesanti sconfitte alle armate tedesche nel fronte del Baltico, le quali si rivelarono essenziali per raggiungere Berlino.
Già dai primi mesi del ‘45 sul fronte occidentale gli alleati facevano pressione sulla Germania, sul fronte orientale, invece, nell’aprile dello stesso anno le truppe sovietiche fanno breccia in Polonia e si preparano a marciare verso Berlino. Il 25 aprile – quando terminò la guerra anche in Italia – le truppe sovietiche dettero avvio alla battaglia finale ed iniziarono l’assalto a Berlino. In città si trovava il bunker di Adolf Hitler, nel quale si rifugiava insieme ad Eva Braun e la famiglia Goebbels e Berlino fu messa a ferro e fuoco. La battaglia infuriava strada per strada, casa per casa, anche sotterraneo dopo sotterraneo, e
nonostante l’imminente disfatta, il Fuhrer, ormai sconfitti, aveva da tempo ordinato ai suoi soldati, perlopiù giovani, di combattere strenuamente fino all’ultimo sangue. Il 30 aprile Hitler si suicidò
insieme ai suoi conviventi, ma la notizia della sua morte giunse il giorno successivo, il primo maggio, e il due maggio i generali tedeschi succeduti ad Hitler accordarono il cessate il fuoco con i sovietici. Questo non bastò a fermare del tutto le ostilità. Ma intanto la bandiera – sebbene non fosse la “bandiera della vittoria”, cucita appositamente per essere affissa sul palazzo più importante di Berlino, ma mai giunta in
Germania – era stata issata sul Reichstag. In città vi erano ancora gruppi volontari di nazisti che tentavano invano di ricacciare i sovietici al di fuori, noncuranti del cessate il fuoco o, talvolta, nemmeno a conoscenza dell’armistizio. La notte tra l’8 e il 9 maggio fu firmata la resa incondizionata del III Reich e
dell’esercito nazista, la quale pose fine al secondo conflitto mondiale in Europa.
Noi come militanti del SocIT abbiamo voluto ricordare, con questo sunto, il sacrificio dei (circa) 27 milioni di cittadini e cittadine sovietici che persero la vita nel secondo conflitto mondiale, combattendo il mostro nazifascista che aveva attentato alla vita dei popoli d’europa e dell’Unione Sovietica; oltre a loro, il ricordo
va necessariamente anche a tutti i civili – ebrei, sovietici, polacchi, europei in genere, ma anche africani – uccisi a bruciapelo dai soldati del Reich, per ordine del carnefice Adolf Hitler; e, ancora, a tutti i soldati sopravvissuti e feriti, che hanno perso amici, familiari e parenti nel corso della guerra. La rammemorazione di questo evento non è il frutto di un idealismo vacuo e glorificante il combattentismo e/o la guerra mondiale; esso parte dalla necessità ricordare l’imponente contributo dell’Unione Sovietica e dei suoi cittadini alla cessazione della guerra mondiale e alla sconfitta del nazifascismo. Un imperativo,
questo, che si fa sempre più necessario nel clima di oggi, ove in certe parti d’Europa viene portata avanti l’iconoclastia a danni del memorialismo sovietico, a favore della rinascenza del nazismo sotto una veste legittimante, donata dagli stati occidentali.
“Ogni essere umano che ami la libertà deve più ringraziamenti
all’Armata Rossa di quanti ne possa pronunciare in tutta la sua
vita!” – Ernest Hemingway
Aggiornamento 6/6/2023
L’articolo di SOBCOR.NEWS in merito ha totalizzato l’impressionante numero di centoventottomila lettori, considerando la natura non certo da prima pagina della notizia soprattutto. L’articolo completo (in russo) è visionabile sul loro sito utilizzando VPN: https://sobcor.news/11052023/2820/?clear_cache=Y
Ringraziamo inoltre Il Tazebao per aver riportato, il 12/05, la notizia a cura di Jean Claude Martini: https://iltazebao.com/monumento-partigiano-nikolaj-bujanov-cimitero-san-giovanni-valdarno/