Di Ivan Branco
Oggi dobbiamo spezzare una (piccola) lancia in favore dei nostri stessi detrattori provenienti dalle file della destra (soprattutto quella reazionaria) e, in qualche caso, anche dalla sinistra borghese, ma su cosa di preciso dobbiamo riconoscere che essi hanno ragione, è presto detto: sull’etica e l’essenza dell’invidia, dell’odio, del risentimento e quindi della debolezza nei confronti del borghesismo e dei capitalisti.
Questo punto deve necessariamente esser una delle basi da cui dover far partire la nostra autocritica nei confronti non solo di Noi come movimento ideologico e partito, ma Noi come uomini e donne liberi, audaci, grandi e anarchici (nel senso jungeriano del termine).
Ma prima di giungere subito alle conclusioni, andiamo a vedere meglio le caratteristiche sopracitate che contraddistinguono una vastissima gamma di esseri umani che non ha né spazio né tempo:
anzitutto bisogna individuare il punto da cui nasce quest’etica a cui viene rivolta questa critica, ed esso lo si ritrova nello Schiavo, schiavo non socioeconomico, ma Schiavo di “natura”, di carattere, di portamento e di attitudine nei confronti di sé stesso e della realtà tutta.
Esso ha molto care le sue debolezze, le sue paure, ma soprattutto ciò che più desidera sopra ogni altra cosa è il “diritto” di dover trasformare il mondo a sua immagine e somiglianza, dapprima con l’invenzione delle superstizioni religiose, poi con la morte dei valori delle vecchie società medievali e la nascita delle fedi moderne (scientismo, statolatria, nazionalismo, liberal-capitalismo, la società, la mondanità, etc.), o ancora con il suo schifoso antropocentrismo, il razionalismo metafisico e, quindi, illusorio e l’istinto becero delle emozioni e dei sentimentalismi, generatori di stupidità e inconsistenza di volontà di potenza, idee e visioni che ritrovino la “ragione nella realtà”, ovvero la razionalità nella natura delle cose umane e non in convinzioni aprioristiche che creino (con falsità) la realtà.
Tale soggetto è, pertanto, l’emblema del rifiuto della vitalità, della conoscenza, della verità che non si pone né come assoluto né tantomeno come fatto relativo, essa è una relativa prospettiva che si fa assoluta in relazione all’essenza dei singoli e delle comunità e alle loro esperienze, l’inconscio e il conscio che trovano in loro stessi la perfetta unione e l’equilibrio dello stato delle cose, non quindi rifiuto di certi meccanismi oggettivi della realtà e della storia, bensì piena consapevolezza che la ragione detiene, nelle sue basi, non una verità totale, assoluta ed eterna, bensì la necessità dell’individualità di ogni soggetto del farsi protagonista nella storia e della storia, della morale e dei costumi, altro non sono, tutte queste cose, che l’esternazione di un carattere interno all’uomo, un’essenza né determinata da forze superiori né tantomeno fluida e senza radici, essa è come un grande gruppo di fiumi che, pur essendo di varie misure, profondità e distanze, sfociano tutti nello stesso mare, l’uomo non è né il risultato di un volere divino, né la sola somma della collettività in cui vive, bensì un solitario essere che segue un suo cammino, ma bisogna, in questo caso, fare anche i dovuti distinguo fra gli uomini, imporre una naturale gerarchia delle vie che essi percorrono, poiché, pur essendo bestie individualissime e al contempo sempre influenzate l’una dall’altra, vi sono uomini che tendono a seguire, e altri che pretendono la loro grande e profonda solitudine.
E dunque, cosa c’entra ciò con l’essenza, l’ideale, la scienza e il movimento socialista?
Bisogna assolutamente ricordare a tutti i compagni e le compagne che le idee e le lotte che noi portiamo avanti con grande volontà e forza non devono divenire il frutto di un albero che poggia le sue radici nella mera reazione dei deboli, degli scartati, dei superflui e dei disagiati, e pertanto non devono essere la creazione di un ideale incastrato nell’oblio dell’individualismo borghese, e quindi di quella individualità che tende unicamente al benessere materiale del singolo in società, rinunziando a ogni grande sfida e pretesa, già barattate per un piatto caldo di cibo e una vita mediocre e schifosa!
La lotta materiale è sacrosanta, altrimenti non saremo né socialisti né rivoluzionari, ma questa nostra lotta è soprattutto la sostanza e il simbolo della nostra volontà di Essere, che si genera dallo Spirito della nostra vita e giungendo alla nostra ragione, che tramuta il nostro carattere, le nostre aspirazioni, il nostro modo di vivere e, quindi, la nostra strada nella vita in idee più chiare e pronunciate.
Il socialismo per decenni è stato ed è tutt’ora macchiato con la rabbia dei piccoli uomini, che fanno tanto rumore per farsi sentire dalle masse vuote e cretine, attirando a sé schiere di uomini acritici e privi delle migliori qualità di quell’essere che vada oltre l’uomo: le masse vengono riempite di falsa solitudine, di astratte speranze democratiche e libere, la propaganda della livellazione del carattere è ormai all’ordine del giorno, perché per questi esseri i grandi uomini detengono il peccato originale di esser tali, ovvero uomini liberi dalla vita che gli doveva esser imposta, liberi dalla casta di appartenenza, liberi e grandi e soli in questa vita, solo e solamente in essa.
Per fare qualche esempio, oltre alla già citata matassa liberale, dalla “nostra parte” vi possiamo trovare i socialdemocratici/socialisti democratici, idolatri pacifisti e utopisti, falsi rivoluzionari e beceri amici del borghese di spirito e di casta socio-economica.
Oppure le schiere di neo-marxisti francofortisti, sostenitori di quella generazione del ‘68 che, dall’Occidente all’Oriente, scatenò un’ondata di proteste portate avanti da delle pretese morali che, seppur condivisibili, erano caratterizzate da una fallace di fondo: combattere la borghesia e il capitale con la loro stessa concezione di individuo e umanità porterà solo a un nulla di fatto, ovvero a quell’attuale sinistra fucsia che si arroga l’appellativo di “socialista” e contro lo status quo, ma che poi sia nelle idee sia nei fatti è solamente l’altra faccia della medaglia del liberal-capitalismo e del borghesismo contemporaneo.
Quindi, andare oltre la sola visione “scientifica” del socialismo, capire anzitutto qual è il motore che spinge ognuno di noi a darci una visione e una disciplina, e quindi non più un “vivere per” ma un “vivere”, e questo motore non si chiama altro che Potenza, Volontà di Essere ciò che si è senza seguire dettami ideologico-politici, essi sono semplicemente il risultato nell’”idea pratica delle cose” generata dai nostri ragionevoli istinti (già sopracitati), la realtà tutta è solo la somma dei fatti e delle interpretazioni, e quindi delle prospettive dei singoli sul mondo.
E qui è assolutamente obbligatorio anche il dover ampliare la concezione di lotta di classe: non più solo la lotta fra proletari e borghesi, ma anzitutto lotta fra servi e padroni, lotta quindi fra i deboli e i forti, fra i mercanti, i membri del clero e i re contro i guerrieri, i giovani e gli imperatori, una guerra di spirito e di armi che non sarà più combattuta unicamente sul campo economico, ma per primo sul campo dello spirito, e quindi sul campo della volontà, delle idee e della cultura che poi andranno, per necessità, a dover stravolgere radicalmente l’assetto socio-economico della nazione, portando così alla nascita di una società di uomini aristocratici ed eguali fra di loro, liberi e legati da vincoli di fratellanza soggettiva, che abbatta le mura dell’egoismo liberale, della collettività imposta con la brutalità e che spiani la strada per la nuova civiltà del futuro, tanto particolare (nazionale) quanto universale (umana).