Di Ivan Branco
Dopo aver presentato, in modo generale, i primi rapporti maturati fra il futurismo italiano e i movimenti socialisti, sindacalisti e anarchici, e dopo la parentesi (doverosa) sui rapporti fra gli ardito-futuristi e il primo nucleo dei Fasci Italiani di Combattimento, è giunto il momento di addentrarci un po’ più nello specifico nelle vicende che hanno visto coinvolti i futuristi da una parte e il neonato Partito Comunista d’Italia dall’altro e sulle relazioni che i due gruppi hanno intrattenuto per un breve periodo di tempo.
Come abbiamo già potuto vedere nella prima parte dell’articolo, il Partito Politico Futurista e gli arditi hanno provato, a più riprese, a collaborare con le svariate formazioni della sinistra e dell’estrema sinistra dell’epoca, dagli anarchici fino ai fascisti, anche se con risultati scadenti, seppur inizialmente avevano dato qualche buon frutto a tutte le forze in campo.
Ora però, dobbiamo cercare di comprendere le dinamiche e le motivazioni che hanno portato allo scioglimento di quell’alleanza che Mario Carli aveva annunciato il 13 luglio 1919:
Dopo la rottura con il movimento dei Fasci Italiani di Combattimento, il PPF e gli arditi decisero di (ri)tornare dai loro ex alleati socialisti, ciò ci viene riferito principalmente da alcuni rapporti del Ministero della Pubblica sicurezza, essi affermano che non solo i futuristi si sono distaccati da Mussolini, ma che in molte città gli ardito-futuristi avevano iniziato a prendere contatti con il Partito Socialista.
Il 6 agosto 1919 il presidente del consiglio Nitti scrive al ministro della guerra Albricci, si può leggere:
“L’Associazione fra gli arditi d’Italia […] dopo avere discusso se le convenisse di aderire al fascio delle forze ex-interventiste che fa capo a Mussolini, va stringendo relazioni col partito socialista ufficiale. Fautori di accordi in tal senso sarebbero specialmente i noti Carli, Vecchi ed Ambrosini. I socialisti, che prima tentarono di disgregare l’associazione hanno poi trovato preferibile d’influire sulle direttive di essa, e di darle carattere rivoluzionario.”
Tuttavia, i negoziati fra il PS e i sindacati non andarono a buon fine:
“Il capitano Vecchi, nei giorni precedenti al suddetto sciopero [20 e 21 luglio], si presentò alla Camera del lavoro di Milano per richiedere se detto sciopero aveva scopo e forma rivoluzionaria, nel qual caso egli dava la sua adesione incondizionata ed offriva l’opera degli Arditi, offerta sdegnosamente rifiutata dai dirigenti della Camera del lavoro, i quali nell’ordine del giorno emesso la sera del 19 luglio, a questo riguardo dicevano: ‘…e avendo appreso che da parte di ufficiali dell’esercito e precisamente di noti capeggiatori di Arditi si è tentato insinuarsi fra le file proletarie per far divergere la manifestazione dalle linee stabilite, denunzia al proletariato gli ignobili tentativi di quei gruppi antisocialisti che tendono imboscate prestandosi ai più loschi servizi polizieschi e provocatori.’”
Seppur furono intrapresi molti e seri tentativi di unire le forze rivoluzionarie della sinistra e dei futuristi, le “tendenze bolsceviche di alcuni capi del Partito Socialista” impedirono agli ardito-futuristi di giungere a degli accordi.
Non è la prima volta che arditi e futuristi dimostrano una forte intolleranza nei confronti del bolscevismo, lo stesso Marinetti scriverà nei sui diari, il 23 luglio 1919, che “la polizia (d’accordo coi socialisti ufficiali e coi nittiani) tenta di comprometterci facendoci passare per bolscevichi, è infame e cretino!!!”, anche se poi nella pratica le violente azioni di arditi, futuristi e fascisti fecero presupporre alle autorità che esse facevano parte di una più vasta campagna per una “rivoluzione italiana” con un carattere bolscevico.
Francesco Saverio Nitti, nella lettera del 6 agosto ad Alberico Giuseppe Albricci, affermava che tutti i rapporti ricevuti indicavano che “l’attività politica degli arditi e dei loro dirigenti non accenna a cessare, anzi va in alcuni luoghi orientandosi in senso di ostilità verso le Istituzioni […] Ma l’Ardito che così vive della credula paura di ricchi, d’industriali, ha assunto un carattere prettamente rivoluzionario, e molti dei suoi articoli comprendono veri e propri elementi di reato.”
Gli arditi però, visti i loro “elevati sentimenti patriottici”, furono presi sotto la protezione di alcuni influenti ufficiali di alto rango.
Ma ciò non cambiò la linea di pensiero (sulla questione) del governo, lo stesso Nitti giungerà alla conclusione che, oltre ad esservi stati fin troppi casi di insubordinazione e di comportamenti lesivi della pubblica sicurezza, gli Arditi rappresentavano un elemento di sedizione che – data la loro alleanza con i Fasci – poteva esser sfruttato per attività anti-governative.
Anche l’Ufficio di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno iniziava a preoccuparsi dell’Associazione e richiese al Prefetto di Milano ulteriore informazione sulle attività politiche della stessa.
Il Ministero fu rassicurato dalla Prefettura, il 9 settembre, quando quest’ultima affermò che, sebbene Marinetti, Vecchi etc. Stessero conducendo una vasta opera di propaganda rivoluzionaria tramite opuscoli, manifesti e il giornale Il Popolo d’Italia, il loro potenziale rivoluzionario non costituiva una particolare minaccia per lo stato e le istituzioni: “Tanto il Vecchi, quanto il Bini e il Marinetti, sono ritenuti incapaci di complottare e di fare alcunché in segreto.”
Verso la fine dell’estate del 1919, si fece sempre più evidente che i negoziati fra gli ardito-futuristi e il PS ufficiale non stavano portando
da nessuna parte, così le due organizzazioni decisero di abbandonare il progetto e di prendere due strade diverse, Marinetti commentò il fatto in un’intervista su Il Piccolo della Sera:
“Credo nella necessità della violenza, per accelerare il progresso umano; ma credo anche [che] l’abuso spicciolo e quotidiano della violenza finisca per sciuparlo e stroncarlo.
Il torvo e cieco materialismo che domina una parte dei lavoratori non conosce altro sfogo, altra valvola, all’infuori dell’alcool delle bettole domenicali.
Le bettole domenicali partoriscono naturalmente la pugnalata o la revolverata.
Io credo che bisogni al più presto sostituire ai monotoni piaceri della sbornia le sane ebbrezze dell’arte, e specialmente quelle della musica. […] Quasi tutti i socialisti ufficiali, riducendo tutte le questioni e tutti i conflitti al campo economico, hanno sempre trascurato e disprezzato l’indispensabile rivoluzione spirituale, artistica e morale che deve necessariamente illuminare e guidare ogni rivoluzione politica, sociale, economica.”
Dopo l’allontanamento dal PS, ecco invece avvicinarsi un altro spiraglio di possibilità: il Partito Comunista Italiano.
Le influenze dei comunisti già si fecero sentire in alcuni circoli futuristi, soprattutto in Emilia-Romagna, dove la grande eredità proletaria e rivoluzionaria favorì questo spostamento verso sinistra. Altri casi furono quello di Pietro Illari, a Parma, che divenne direttore della rivista L’Idea Comunista e segretario di partito del PCI, oppure anche il caso di Paladini e Pannaggi che, a Roma, elaborano una loro concezione di arte proletaria, rivoluzionaria e d’avanguardia.
Lo stesso Antonio Gramsci iniziò a interessarsi particolarmente del movimento futurista e di Marinetti grazie al suo voler diminuire i divari fra rivoluzionari politici e artistici e anche per il voler creare un insieme organico fra lavoratori e intellettuali.
Il dibattito su una “cultura operaia” iniziò già nei circoli dei Gruppi Socialisti Amici dell’Arte di Milano, dove erano già attivi due futuristi, ovvero Duilio Remondino e Carlo Carrà.
Già il 6 gennaio 1921, dopo la fondazione di un Istituto di Cultura Proletaria, Gramsci iniziò a far avvicinare e a reclutare giovani energici ribelli per avvicinarli alla causa comunista e influenzarli tramite lo stesso Istituto.
Artuto Cappa supportò il progetto con un articolo intitolato “L’arte e la Rivoluzione” scritto su L’Ordine Nuovo il 20 ottobre 1921, in cui esprimeva una forte e rigenerante critica del movimento futurista.
In molte altre occasioni però, i futuristi diedero grande supporto ai progetti culturali dei comunisti, come ad esempio nella collaborazione fra il Proletkult e i futuristi torinesi.
Ciò portò ambo gli schieramenti a un acceso dibattito sull’organizzazione dell’avanguardia artistica e politica e tra l’arte e la rivoluzione.
Successivamente, l’8 settembre 1922, Gramsci informa Trotskij del successo della collaborazione con i futuristi:
“Marinetti ha composto un opuscolo In Disparte dal Comunismo, in cui sviluppa le sue dottrine politiche, se si possono in genere definire come dottrine le fantasie di quest’uomo, che a volte è spiritoso e sempre è notevole. Prima della mia partenza dall’Italia la sezione di Torino del Proletkult aveva chiesto a Marinetti, in occasione di un’apertura di una mostra di quadri di lavoratori membri dell’organizzazione, di illustrarne il significato.
Marinetti ha accettato volentieri l’invito, ha visitato la mostra insieme con i lavoratori e ha espresso quindi la sua soddisfazione per essersi convinto che i lavoratori avevano per le questioni del futurismo molta più sensibilità che non i borghesi. Prima della guerra i futuristi erano molto popolari tra i lavoratori.
La rivista Lacerba, che aveva una tiratura di ventimila esemplari, era diffusa per i quattro quinti tra i lavoratori. Durante le molte manifestazioni dell’arte futurista nei teatri delle grandi città italiane capitò che i lavoratori difendessero i futuristi contro i giovani semi-aristocratici o borghesi, che si picchiavano con i futuristi.”
Tuttavia, l’ardore di Gramsci e la sua voglia di continuare la collaborazione con i futuristi non era condivisa da altri dirigenti del PCI, lo stesso Istituto di Cultura Proletaria fu attaccato per questo ma, grazie alla protezione di Gramsci, le mostre e gli eventi futuristi poterono continuare.
Ciò portò anche a un grandissimo evento per i futuristi nell’aprile del 1923, ovvero la fondazione dei Sindacati Artistici Futuristi, in seguito alla creazione formale di una sezione torinese del PPF.
Il sindacato riuscì, in breve tempo, ad attirare molte persone (circa un migliaio) ed erano già in corso dei progetti per la creazione di altre sedi anche a Genova e Bologna.
Essi però, come poi l’intera collaborazione fra il PCI e il futurismo, terminarono nel periodo 1922-1923 con l’ascesa al potere di Mussolini.
Fonte: “Necessità e Bellezza della Violenza”, discorso di F.T.M. con saggio critico di Günter Berghaus