STORIA SINDACALISTA

L’anno successivo si aprì subito in maniera ardente per la schiera dei rivoluzionari. Difatti, il 31 marzo venne fondata l’Unione Sindacale Milanese, con a capo Filippo Corridoni. Da subito, riuscì a portare avanti una serie di scioperi importanti per la Milano operaia dell’epoca, dimostrando – “una volta ancora” –
come il proletariato della città stesse ai suoi piedi in qualità di tenace agitatore. In questo frangente ebbe modo di conoscere il direttore de’ l’“Avanti”, Benito Mussolini.

Il loro incontro fu determinante, sia per l’uno che per l’altro, poiché non solo segnò l’incontro di due importanti figure nel clima dell’epoca, ma anche di due, sotto sotto, seppur uniti, rivali. Ben nota è l’influenza che esercitarono i sindacalisti rivoluzionari su di lui, a livello personale ed ideologico, ma spesso si tende a dimenticare che – nonostante tutto – «Il rapporto personale tra i due visse di continui alti e bassi». Difatti Corridoni, nei confronti del trascinatore socialista, in una lettera ad Alceste De
Ambris, ebbe a dire: «Un uomo eccellente, sai? Eccellente sotto tutti i rapporti. Ha un’anima d’asceta e tutte le qualità esteriori del demagogo. Temibilissimo». E ancora: «Io so, sento che Mussolini sarà il mio avversario per quanto ci leghi una forte simpatia».


Quando nacque l’USI, ad esempio, il direttore de’ l’Avanti mantenne un atteggiamento piuttosto cauto, quasi distaccato, non esprimendosi né contrario né a favore. Ma ben presto, Corridoni si accorse dell’importanza di un appoggio di tipo giornalistico nel Partito Socialista – quantunque fosse in
contrasto con i riformisti che ivi serpeggiavano -, così come Mussolini si accorse della forza eversiva dell’USI. Questa presa di posizione, avvenne in occasione degli imponenti scioperi organizzati proprio da Filippo Corridoni in quelle giornate, ove sembrava che tutta Milano si fosse inchinata a lui, un ragazzo
povero, con un’anima da asceta quasi invincibile.

Nei meriti della sua azione svolta in questo monumentale sciopero, si ebbe a dire:
«I dirigenti dell’USM erano decisi ad allargare ulteriormente il fronte dello sciopero pur di imporre agli industriali un accordo. Il 20 maggio alla presenza di quarantamila lavoratori il leader sindacalista esaltò la grandiosità del movimento dei metallurgici e deplorò violentemente l’operato della questura, che persisteva nei suoi arresti di scioperanti. […] L’agitazione si avviò verso il suo momento cruciale. Lo sciopero generale metallurgico proseguiva senza dare segni di flessione. Corridoni e tutto il comitato di
agitazione si adoperarono in modo febbrile e alacre. Furono questi, certamente, i giorni in cui l’organizzazione sindacalista raggiunse un prestigio assai elevato fra i lavoratori milanesi ed anche non
milanesi. Ogni attimo della giornata lo passava in mezzo a loro. Fu d’esempio in tutto. Teneva lunghi e formidabili comizi, riuscendo soprattutto ad essere l’interprete dei sentimenti e delle aspirazioni
dei lavoratori. Fu come se comandasse in quei giorni la ricca e prosperosa Milano, potendo veramente decidere il corso degli eventi».


Tuttavia, fu arrestato il 28 maggio, e finì – per l’ennesima volta – nel carcere di San Vittore, con una pena di sette mesi e venticinque giorni da scontare. Per F.C. il 1914 – che, come ogni anno, doveva essere pieno di speranze – non iniziò affatto bene. Tra lui e l’amico (e rivale) Benito Mussolini ci furono delle polemiche nei giornali, in seguito alla malagestione sindacalista di alcuni scioperi, lanciate specialmente dal secondo nei suoi confronti. Corridoni rispose piuttosto adirato a queste accuse del compagno, ma il tutto si
concluse con l’invito – lanciato da lui – a parlarne all’Assemblea dell’USI. Successivamente si lanciò subito nell’impegno organizzativo di trovare una stabilità all’USM. Tuttavia «Dalle colonne de’ “L’Internazionale” – infatti – il sindacalista ammonisce chi ne vorrebbe un’assegnazione da parte degli organi dello Stato,
così come avviene per la Camera del Lavoro. Per Corridoni è inconcepibile avanzare una richiesta agli organi di quello stesso stato borghese che la lotta operaia contrasta […]».


In questo anno la lotta anti-militarista – partendo, ancora una volta, dalla contestazione libica quale esempio dell’incompetenza della classe dirigente borghese -tornò in auge nelle file del Sindacalismo, e nel giugno fu indetta una manifestazione in onore di alcune vittime politiche, vicine all’ambiente sindacalista. Difatti «Sindacalisti, anarchici e repubblicani organizzarono così una serie di manifestazioni per “rovinare” la festa del 7 giugno che commemorava ogni anno la concessione dello Statuto Albertino da parte della monarchia sabauda ed era un’occasione per celebrazioni istituzionali e parate
militari»). Ad Ancona, in generale nelle Marche ed in Romagna la situazione si fece sempre più precipitosa, quasi sovversiva. Le forze dell’ordine, nel corso della mobilitazione, uccisero tre giovani scioperanti, facendo scattare l’ira dei Sindacalisti, che quello stesso giorno – coinvolgendo l’USI ed
anche la CGdL -, il 7 giugno, diedero il via allo sciopero. Iniziò, così, un evento passato alla storia come “Settimana Rossa”, prodromico – e, senza dubbio, fattore scatenante – del
ripensamento ideologico di Filippo Corridoni.

Questa imperiosa mobilitazione, garantì la riappacificazione tra Pippo e il Mussolini, che il 9 giugno, a Milano, guidarono un’imponente orda di cinquantamila lavoratori verso l’Arena. Quello stesso dì,
l’azione sindacalista venne repressa nel sangue, che sgorgò, principalmente, dai corpi dei due compagni che poco prima avevano ritrovato insieme la via dell’azione comune. All’uscita dell’Arena avvenne lo scontro tra la polizia e la folla che voleva raggiungere il Duomo. Paradigmatica della brutalità borghese fu
questa ricostruzione: «Preso specialmente di mira – riferiva “L’Internazionale” di Parma – è il gruppo di dimostranti che si stringe attorno a Mussolini. Quando da una via laterale giungiamo con Corridoni, il delegato circuisce l’esiguo manipolo. Si tratta di 10 o 12 persone al massimo nella più tranquilla attitudine di questo mondo. Il capo che comandava le forze della polizia dirige l’assalto al gruppo pericoloso e mentre Benito Mussolini pacificamente si allontanava verso l’Avanti! viene violentemente investito alle spalle. I poliziotti agitano nerbi di bue e bastoni ferrati, qualcuno colpisce anche con le spesse catenelle; ci difendiamo alla meglio. […] Mussolini riceve un tremendo colpo al capo. […] cade pesantemente
al suolo stordito e dolorante. Intravisto il secondo pericolo che corre il caduto, quello di essere calpestato e finito dai poliziotti che avanzavano inferociti più che mai, Amilcare De Ambris, con gesto
rapido si getta disteso sul corpo di Mussolini ricoprendolo completamente; la fulminea mossa fraterna ed audace colpisce e trattiene l’irruenza dei poliziotti. Mussolini può essere così sollevato e confortato, mentre dai nostri petti prorompe la più impetuosa protesta. […] Intanto Corridoni l’abbiamo perso di vista; nel tumulto si è trovato isolato dai compagni, sicché una squadra di poliziotti
sfrutta la buona occasione per stringerlo violentemente fra pugni e bastonate e trarlo in arresto. Sul capo del nostro amico solo ed inerme piovono randellate e pugni; è circondato e sospinto a calci e
pugni verso la Galleria, tutto sanguinante, con le vesti completamente stracciate, irriconoscibile. Qui si rinnovano le violenze contro di lui; ormai Corridoni è uno straccio sanguinante su cui nessuna violenza si può più abbattere. Di questo parere non è un delegato, che – abbastanza tranquillo si avanza verso Corridoni: apre un varco nel gruppo degli assalitori e colpisce ancora per tre
volte col bastone il suo volto»).


Fu arrestato e poi condannato a due mesi e ventisette giorni di reclusione. Il giorno seguente la CGdL – la cui adesione allo sciopero non fu ben vista dagli esponenti rivoluzionari – tradì (e, potremmo dire, ormai, come d’ordinaria amministrazione) ritirandosi dallo sciopero, permettendo la sua fine di lì a pochi giorni (14 giugno), con decretato fallimento di questa esperienza, che ebbe dei toni insurrezionali. Il 28 giugno, dopo l’attentato di Sarajevo, scoppiò il primo conflitto mondiale, e dall’inizio di questo evento, la scena politica e sociale del paese cambiò ineluttabilmente, così come le convinzioni degli stessi sindacalisti – nonostante il Nostro fosse in carcere, in quel momento, da poco più di due settimane. Dinnanzi il conflitto bellico «La posizione dei sindacalisti […] non poteva del resto essere quella di un neutralismo attendista. Di fronte alla bancarotta fraudolenta dell’internazionale operaia […] e contro l’astratto pacifismo, che portava all’immobilismo, dei socialisti italiani, i sindacalisti compresero subito che questa guerra sarebbe stata diversa da tutte le altre: una guerra di massa e di masse, una guerra potenzialmente rivoluzionaria, capace finalmente di dare al proletariato quella disciplina e quell’autocoscienza, quella dedizione eroica al sacrificio che un decennio di lotte sindacali e di scioperi erano riusciti solo in parte a costruire. Occorreva quindi schierarsi a fianco delle potenze dell’Intesa per la “guerra rivoluzionaria”».