Di Marco Fabbri
Ancora una tragedia, ancora morti, ancora distruzione. Tuttavia non voglio fare la “gretinata” di stare
a parlare di presunti cambiamenti climatici per colpa dell’uomo. Tanto meno voglio mettermi a fare
la cernita dell’incuria del territorio, dall’abbandono del sistema fognario alla noncuranza dei canali
idrici secondari che avrebbero potuto servire come valvola di sfogo.
Vorrei concentrarmi su un problema che praticamente non è sentito da molti, anzi quasi da nessuno,
poiché praticamente nessuno lo considera un problema reale.
Ovvero la struttura ed il funzionamento di quella che viene definita “macchina dei soccorsi”, la
nostra Protezione Civile.
Prima di affrontare l’argomento odierno è necessario fare uno se non due passi indietro e fare il
punto della situazione su come si è strutturata la nostra Protezione Civile.
Dopo una caotica e poco pragmatica legiferazione in materia di soccorso in caso di disastri naturali
nel periodo regio liberale, dettata più che altro dalle circostanze e non di certo da amor patrio, si
ebbero i primi nuclei dell’odierna protezione civile sotto il governo fascista. Quest’ultimo definì i
ruoli del Genio Civile, istituì pochi anni dopo il Corpo Pompieri e vengono definiti i ruoli delle
forze armate e delle forze di polizia in caso di eventi naturali avversi.
Con l’avvento della Repubblica, si torna a fare leggi a singhiozzo conseguenti solo ai grandi
disastri, come l’alluvione di Firenze del 1966 e il terremoto del Belice del 1968.
Verso gli anni ‘80 si da alla PC una struttura abbastanza centralizzata. Ma negli anni ‘90 e
soprattutto dopo la “schiforma” costituzionale del 2001 la PC subisce un ipertrofica
decentralizzazione a livello regionale
L’eccessiva decentralizzazione e devoluzione delle competenze agli enti locali in merito alle
competenze di protezione civile insieme all’uso (se non abuso) dell’utilizzo dei volontari, possono
essere ascritte come due delle piaghe che affliggono il nostro sistema di protezione civile.
Ed ora arriviamo al dunque. Quella dell’utilizzo spasmodico dei volontari è una piaga che affligge
non solo l’Italia ma anche gli altri stati dell’autoproclamato “mondo civilizzato occidentale”. La
prova del nove l’abbiamo avuta con gli incendi australiani del 2019-2020. Dove a fronte della
catastrofe, il governo della terra dei canguri schierò quasi il 80% dei vigili del fuoco/guardi forestali
come volontarie e la restante parte invece di professione. Provocando rallentamenti, interventi
macchinosi, ritardatori e non sempre al meglio dell’efficienza. L’ennesimo grande successo del
liberisti, che hanno pensato bene di tagliare negl’anni precedenti la macchina della loro protezione
civile di professione per affidarsi a volontari mal equipaggiati e scarsamente addestrati.
Anche in Italia ci si sta affidando sempre di più ai volontari e il sistema nazionale di protezione
civile non è dei migliori. Infatti si tratta di un sistema composito fatto di forze dell’ordine,
Carabinieri, Forze Armate, Vigili del Fuoco e lo sconfinato mondo dei volontari.
Abbiamo un insieme di corpi che fanno protezione civile ma non abbiamo dei professionisti del
caso. In parole povere non abbiamo la Difesa Civile.
Questi invece li possiamo trovare in alcuni paesi dell’est Europa, Russia in primis, ma anche in altri
paesi asiatici come l’efficientissima Civil Defence di Singapore. Qua abbiamo dei professionisti, un
esercito di protettori civili professionista, addestrato a dovere ed equipaggiato di tutto punto. Poi
certo, esiste anche il mondo dei volontari, ma in questo caso vengono utilizzati come ausiliari, come
supporto alla difesa civile nelle azioni riguardanti la protezione civile e non come strumento base
della protezione civile. In altre parole nella nostra Italia abbiamo un gruppo composito che fa
protezione civile ma non abbiamo la difesa civile di professione che esercita funzioni di protezione
civile.
A questo punto, che fare? Innanzitutto istituire un corpo di professione di Difesa Civile, con proprie
caserme, con una sua gerarchia tipo le forze armate, propri mezzi e propri uomini di professione.
Regolarmente stipendiati ed addestrati a dovere per qualsiasi tipo di emergenza, dall’alluvione
all’eruzione del Vesuvio. O in alternativa, una buona parte professionisti e in minima parte, giusto
così per fare un po’ lo stato-nazione, alcuni elementi arruolati tramite leva obbligatoria.
Con questo non voglio minimamente sminuire il mondo dei volontari che come ho detto
precedentemente, svolgono un preziosissimo ruolo di ausilio ai corpi della Difesa Civile e che anzi
vanno aiutati finanziariamente ed incoraggiati.
Ed ovviamente, altra importante riforma di fare, sarebbe da riformare lo sciagurato sistema di
decentramento della protezione civile. Non più di competenza regionale e comunale ma provinciale
e sotto l’egida del prefetto. Lo stato gestisce la protezione civile (con le sue prefetture), lo stato si
prende i meriti dell’intervento, lo stato si deve prendere anche le eventuali colpe ed il demerito delle
sue azioni. Il decentramento regionale e comunale non ha fatto altro che provocare una catena di
sant’Antonio di responsabilità e scaricabarile delle mancanze in un’emergenza.
Ovviamente, per attuare questa rivoluzione difensiva civile, occorrerebbe fare lo stato-nazione,
occorrerebbe smetterla di fare i borghesotti liberali e fare i socialisti. Ne andrebbe della nostra
sicurezza territoriale e del nostro avvenire. Non abbiamo che da perderci la paura di non essere
soccorsi a dovere
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