Di Leonardo Bellucci. Illustrazione tratta dal Financial Times.
In questo tu momento è in corso una violentissima conflagrazione tra Armenia e Azerbaijan, sulle cause del conflitto è stata già scritta un analisi con particolare riguardo alla conseguenza della crisi tra Russia ed Ucraina.
Già nel 2020 verificò un terribile conflitto tra i due Stati, e arrivo al punto che lo Stato azero utilizzo persino bombe a Grappolo, bombe al fosforo e droni sui civili.
Nell’estate del 2022 la signora Ursula Von Der Leyen, si recò a Baku, per elevare le relazioni tra UE ed Azerbaijan, soprattutto in relazione al raddoppiare il flusso di gas azero, attraverso il famigerato gasdotto TAP, (quindi ricordiamo ai nostri lettori che anche se i fatti di svolgono lontano, il governo “dei migliori” italiano ne è direttamente complice).
Quando è le è stato fatto notare alla signora Von Der Leyen, dei crimini commessi dall’esercito azero in Artsakh, la presidentessa della commissione europea, (che non brilla certo per qualità umane, ricordiamo ai nostri lettori che ha proposto di ipotecare le riserve auree della Grecia nel 2011, quando lo stato ellenico era all’apice della crisi), la “nobildonna” ha implicitamente lasciato intendere che non si può avere tutto dalla vita, come il gas e l’integrità morale…
Ed un mese dopo l’inopportuna visita della Von Der Leyen, scoppia la guerra.
Si tratta non solo dell’ennesima violazione del cessate il fuoco del 2020, infatti l’obiettivo dell’Azerbaijan non è più la conquista di un villaggio, ma di una vera e propria aggressione su larga scala, che però non troverà mai spazio tra i vari dibattiti televisivi.
Come si è arrivati a questo punto?
Ebbene, data che fa da spartiacque è quella del 10 novembre 2020, quando l’Armenia arriva ad un cessate il fuoco di cui la Russia si è fatta garante.
Ma dal 24 febbraio, la guerra in Ucraina le truppe russe sono state spostate dall’Artsakh.
La Russia, già tempi antecedenti al conflitto si era dimostrata assai poco propensa a difendere l’Armenia, in più con la guerra in Ucraina, il Governo di Putin e l’opinione pubblica russa si sta concentrando sul panorama ucrano e sul Donbass.
Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, sono membro di un’alleanza, detta “Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva”, in cui analogamente a quanto avviene con la NATO all’articolo 5, viene affermato che un attacco diretto contro uno di questi membri dovrebbe provocare un’entrata in guerra dei rimanenti cinque.
Il 15 settembre, l’attacco dell’Azerbaijan non ha interessato la Repubblica di Artsakh, bensì ha riguardato il territorio nazionale dello Stato Armeno, più precisamente nella regione dello Zangezur, in seguito del quale il primo ministro, Nikol Pashinyan, non ha esitato nel invocare la protezione di Putin, che però si è prima limitato a lanciare un formale appello per rispettare il cessate il fuoco, come già fatto dalla Francia e dagli USA, solo successivamente l’effetto del
OTSC, insieme all’imbarazzo di USA e UE si è fatto sentire, tanto da provocare un fragilissimo “cessate il fuoco” e la visita di Nancy Pelosi in Armenia.
Da qui nasce il goffo tentativo dei mezzi di comunicazione ufficiali, di mascherare la vicenda Armeno-azera unicamente sulla Russia di Putin, quando in realtà, UE, Azerbaijan, Turchia ed Israele, hanno partecipato attivamente.
A fronte di tutto ciò Yerevan, si rende conto di essere isolata, quindi si dichiara disponibile ad arrendersi, e velocizzare i procedimenti già in corso per riconoscere la sovranità sul territorio di Artsakh dell’Azerbaijan, (già analizzati in passato sul sito di SOCIT), per contenere gli atti di pulizia etnica che l’Azerbaijan attua nei territori che sottrae all’Armenia, al fine di scongiurare che questi crimini si estendono su tutto il territorio Armeno, evitando il ripetersi di un nuovo 1915.
Le conseguenze di questo evento saranno di portata storica, poiché gli scontri avvenuti tra i due stati caucasici, scoppiati a fine anni ’80, proprio per il controllo della Repubblica di Artsakh, benché popolato prevalentemente da Armeni, ancora prima dell’arrivo dei Turchi, sono spesso indicati da molti storici ed analisti geopolici come l’evento chiave che innescò un effetto domino che causò il collasso dell’URSS.
In questo tragico contesto, i punti salienti da prendere in considerazione sono principalmente due, il primo è che senza dubbio l’azione dell’Armenia, di accelerare il riconoscimento della sovranità azera sull’Artsakh, parzialmente assopirà temporalmente il pericolo di un ripetersi di un nuovo 1915, ma senza dubbio non lo debellerà affatto, la pedagogia nazionale azera infatti, non riconosce né la storia né la cultura armena.
L’altro elemento è uno che si incastra con diversi altri, riguarda le relazioni, davvero intense tra Azerbaijan e Turchia, che sono così profonde che i rispettivi presidenti hanno dichiarato si trattasse di “due paesi, ma un’unica nazione”, porterà l’Azerbaijan a fare ciò che prima del 2020, ovvero appoggiare troppo esplicitamente la politica estera turca in relazione al Mediterraneo.
In particolar modo lo scenario più in fermento è quello riguardante la Repubblica turca di Cipro nord, seppur non (ancora) formalmente riconosciuta dall’Azerbaijan, Alyev ha sempre tentato di aggirare l’embargo a carico di Cipro Nord, ma diversi stati europei hanno minacciato come ritorsione il riconoscimento della Repubblica di Artsakh.
Com’è intuibile, Artsakh non esisterà ancora a lungo, dunque non si potrà minacciare il governo di Baku di un suo eventuale riconoscimento da parte di stati terzi per evitare che questi riconoscano la Repubblica turca di Cipro Nord.
Il panorama cipriota, seppur non trovi il giusto spazio nei mezzi di comunicazione principali, è in realtà importantissimo, anche per l’Italia, non solo perché per il Belpaese la sua vitale influenza nel Mediterraneo orientale sta venendo sempre meno, ma anche per esempio per la questione dei giacimenti di gas, alcuni dei quali scoperti proprio dall’ENI, e che in questo momento la Turchia ha intenzione di fare un modo che tutte le risorse energetiche passino per il suolo anatolico, accaparrandosi il monopolio dell’influenza energetica, almeno finché persistono le sanzioni contro la Russia.
La correlazione tra questo ed il panorama caucasico è che con la sconfitta dell’Armenia, i tre stati Turchici (Turchia, Azerbaijan e Cipro Nord) possono supportarsi pienamente a vicenda e continuare con più energie il proseguimento della politica turca nel Mediterraneo orientale ed in Medio Oriente, anche a discapito dell’Italia.