Programma – VIII. Riordino economico
Unico modo per avere pieno controllo della valuta e non permettere ai mercati finanziari di giocare con la vita dei lavoratori è controllare il sistema bancario, rendendo così impossibile la penetrazione della speculazione all’interno del sistema-nazione, oltre che permetterci di avere una nostra valuta e strategie adatte al fronteggiare dell’inflazione, visto che stiamo vedendo le “fantastiche” strategie della BCE, cioè nascondere la testa sotto la sabbia e fingere che il problema non esista. È importante ricordare che tutte le nazioni che lo hanno fatto o vi ci sono avvicinate, si sono trovate appioppate sanzioni nella migliore delle ipotesi, in altri casi direttamente bombe. Il SOCIT crede fermamente che non solo serva agire in difesa delle nazioni che hanno una banca nazionalizzata, ma anche che la nazionalizzazione del credito sia l’effettiva unica via ad una vera liberazione, preparandoci perciò all’idea di una difesa nazionale con ogni mezzo necessario.
In materia di debito pubblico e di politiche finanziarie, il SOCIT respinge ogni analisi che localizzi il problema all’Italia, riconducendolo agli oneri dello Stato sociale. La questione del debito pubblico, nella sua essenzialità, nasce dalla fase di sviluppo speculativo degli anni ’80, ed è dunque da attribuirsi all’intero blocco parassitario e mafioso (politico, finanziario e imprenditoriale) che ha governato l’Italia sino ad oggi. Essendo stato generato da imprenditori, politici e banchieri “svendipatria”, ora non può e non deve essere pagato per nessun motivo dalla classe lavoratrice del nostro paese.
Nostro obiettivo primario è la creazione di un sistema economico che sia indipendente da qualsiasi organismo internazionale apolide, a partire dal cosiddetto «Libero Mercato Mondiale». Tale economia sarà necessariamente:
– pianificata, con i poteri pubblici, nazionali o municipali, che controlleranno i settori strategici dell’economia mediante una combinazione di imprese pubbliche dirette centralmente per industrie su larga scala e imprese sociali autonome, in modo da:
- impedire un controllo privato dei nodi necessari al progresso economico e sociale nazionale;
- finalizzarne lo sviluppo futuro mediante l’intervento statale diretto, dunque attraverso una pianificazione economica indicativa a livello macroeconomico.
– cooperativistica, ossia composta per la maggior parte da aziende cooperative di varie dimensioni organizzate sul criterio dell’associazione tra capitale e lavoro, dunque autodirette dai lavoratori stessi che ne detengono la proprietà mediante la ripartizione degli utili aziendali.
Le aziende a conduzione individuale (liberi professionisti) o familiare (micro-imprese) saranno per ovvi motivi escluse dalla necessità della gestione socializzata, dovendo seppur seguire le regolamentazioni. Le imprese pubbliche a gestione statale o municipale dovranno fondarsi sui principi dell’azionariato popolare e della compartecipazione dei lavoratori.
Le strutture economiche dovranno, inoltre, esprimere uno sviluppo tecnologico e produttivo che sia compatibile con le esigenze di tutela dell’ambiente, degli equilibri ecologici e della salute dei cittadini, a cominciare dall’abbattimento dell’inquinamento agricolo-industriale e dalla riduzione e trasformazione dei rifiuti.
Il SOCIT respinge per ragioni ideali e politiche qualsiasi progetto di privatizzazione delle strutture economiche portanti (banche e grandi complessi industriali) e dei servizi pubblici (sanità, scuola, comunicazioni, infrastrutture, acqua, energia), in quanto le privatizzazioni sono il frutto di una manovra guidata dalle grandi banche e dai grossi fondi di investimento (Blackrock, Vanguard, JP Morgan Chase, ecc…) che, mascherata da problemi di deficit pubblico, intende vendere il patrimonio dell’economia italiana ai maggiori gruppi transnazionali.
Particolarmente grave, e lesiva degli interessi nazionali, è infatti la tendenza a svendere a gruppi privati e stranieri strutture a tecnologia avanzata nei settori delle comunicazioni e dell’elettricità. Un simile modello economico esige un tessuto di rapporti sociali comunitari, e non può dunque prescindere dall’esprimere una cultura di solidarietà, in antitesi ai valori consumistici, individualistici e massificanti, i quali sono l’asse portante del modello capitalista americanocentrico. Riteniamo che origine e veicolo privilegiati di questi rinnovati valori solidaristici sia la famiglia. Per questo il SOCIT chiede una politica sociale che rafforzi l’istituto familiare, che stimoli e consolidi le unioni matrimoniali, la convivenza fra giovani e vecchi, tutelando adeguatamente la maternità responsabile.
Lavoro e reddito sono destinati a rimanere miraggi, finché non saranno posti come perno principale della questione nazionale. Ad oggi la concezione del lavoro, anche da un’ottica di classe, è una mera spremitura del lavoratore, un’alienazione dello stesso dal sociale in favore dell’arricchimento altrui e non per il proprio benessere e quello collettivo. Già a livello costituzionale, che si dica nell’articolo uno “fondata sul lavoro” è una solenne leggerezza, che tradisce una visione morbida in merito. La Repubblica dovrebbe avere al centro i lavoratori, non un astruso concetto di lavoro, e la loro rappresentanza politica non dovrebbe essere delegata a politici “di professione”. Dall’intervista al segretario Giovanni Amicarella di Cris Baldelli per Fahrenheit2022
Lo dico con estrema schiettezza: bisogna arrivare alla condizione del superamento dei partiti e a una rappresentanza diretta dei lavoratori per aggirare quelle che sarebbero altrimenti ennesime istanze di burocratizzazione del potere politico. Mi rifaccio al sindacalismo rivoluzionario per questo, una concezione in cui il lavoratore è un rappresentante in sé stesso, e da qui bisogna riprendere anche la concezione nazionale di una partecipazione collettiva. Potrebbe essere un modello federativo, ma non analogamente ad esempi già visti; qualcosa di più organico, un “centralismo decentralizzato” se si vuole fare i sofisti. Sono modelli di cui l’espressione esatta va ancora sviluppata, ma la cui riorganizzazione sociale è già delineabile da analisi già realizzate nel merito.
Risposte immediate [sul lato economico] non ci sono, e chi si professa con risposte pronte in tasca tende a tralasciare il cambiamento delle condizioni in atto. L’obiettivo principale e concreto è la creazione di un sistema sociale socialista nella sua essenza, che metta al centro il lavoro e il lavoratore. L’organo principale decisionale deve essere un’unione di lavoratori; pertanto, l’organizzazione sociale della patria segue quella dell’economia e viceversa. Ci si ritrova in un sistema dove non c’è necessità di partitocrazie, bensì una serie di organi formati da lavoratori che prendono decisioni reali, non come nelle democrazie borghesi. Lo stato viene riorganizzato, e l’economia e la politica girano intorno a chi effettivamente lavora. Nell’attuale sistema, il politico è un burocrate; ma in un contesto socialista, è un componente organica della società che assume il proprio ruolo grazie alle sue competenze, se vogliamo usare un termine ad oggi molto storpiato, per pura meritocrazia. Dall’intervista al segretario Giovanni Amicarella di Adam Bark per ComeDonChisciotte