Programma – I. Socialismo, patriottismo, rivoluzione
Il SOCIT ha come credo una via italica, termine scelto in quanto più completo per definire l’insieme etno-culturale della comunità nazionale, al socialismo; basandosi al contempo sul patriottismo come leva indiscussa per l’unità popolare, con la rivoluzione come obiettivo ultimo della condotta d’azione. Tuttavia, esso non è un patriottismo che funge da paraocchi, in quanto l’obiettivo di una lotta internazionale ad usura e capitale resta fondante ad una vera liberazione da influenze infauste, nonché come vera ed unica garanzia di riuscita del processo rivoluzionario. Il SOCIT si pone in tal senso l’obiettivo di fondere in un’unica prospettiva ideologico-politica la lotta nazionale per l’indipendenza dei popoli e la lotta sociale per l’emancipazione delle classi lavoratrici e delle forze produttive dalla pesante subalternità verso il capitale finanziario cosmopolita ed alle sue logiche di sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente. […]
Un popolo è un’insieme di identità etno-culturali, che si va a formare nel corso di lunghissimi periodi storici, qualcosa di estremamente vivo. Anche qui spesso ci si trova davanti al parodistico: c’è chi nega che ci siano popoli ed identità, addirittura bollando come “borghesi” le istanze di autodeterminazione e liberazione nazionale, e chi pensa solo al popolo in generale quasi come se al suo interno non vi fossero stratificazioni in classi. Il meglio del popolo è sempre nella sua classe lavoratrice, incontaminata per la maggior parte dalle derive esterofile e detentrice della capacità che serve per rivoluzionare il paese. Deve solo prendere coscienza di sé, della propria condizione di classe. Dall’intervista al segretario Giovanni Amicarella di Cris Baldelli per Fahrenheit2022
Uso “socialismo italico” e non “italiano” per racchiudere la questione dell’identità all’interno della nazione. L’Italia non è un unicum: ha rappresentato per diversi periodi storici un qualcosa di innalzante e non un qualcosa di limitante. Ci sono però stati casi in cui si è cercato di sopprimere queste differenze, spinta tipicamente sabauda. Le nostre differenze etno-culturali interne vanno esaltate e preservate, non devono diventare motivo di divisione, ma ulteriore motivo di orgoglio. Dall’intervista al segretario Giovanni Amicarella di Adam Bark per ComeDonChisciotte
Il contesto italiano non è del tutto coloniale, è più propriamente un contesto sotto imperialista, o imperialismo sottone se vogliamo essere sarcastici. Ci rendiamo partecipi, seppur con maggioranza popolare contraria, ai vari scenari di guerra e forniamo supporto attivo nel sostegno diplomatico a chi li porta avanti. Una condizione di limbo per cui non siamo imperialisti di prima classe ma neanche un paese propriamente occupato colonialmente, seppur trattato alla stregua di tale. Si tratta di un’importante distinzione da fare per evitare di cadere in retoriche che potrebbero rischiare di abbagliarci.
[…] Sia chiaro: ciò non vuol dire, come in esempi tragicomici già visti o in via di decadenza, scimmiottare il patriottismo con istanze scioviniste o usarlo come scusa per annacquare la questione di classe. Allo stesso modo è inaccettabile l’antipatriottismo, distante dalla classe lavoratrice e stantio nella retorica. Dall’intervista a Giovanni Amicarella di Adam Bark per ComeDonChisciotte
Io come segretario nazionale di Socialismo Italico, oltre che responsabile per Artverkaro Edizioni, non potevo tirarmi indietro da una riflessione in merito alla perdita di terreno dell’Italia dal punto di vista diplomatico internazionale, di un soft power italiano (o meglio, italico) ancora molto forte ma in perenne lotta con quello statunitense, e di quanto il fronte socialista mostri il suo più grosso limite nel considerare l’Italia una sorta di impero alla pari di quello statunitense, negandone la subalternità palese con un certo infantilismo.
«Il più grosso limite del fronte socialista in Italia è la retorica anti- patriottica, siamo internazionalisti perché amiamo il nostro paese, che è il messaggio che ci arriva da quei paesi che hanno avuto rivoluzioni e che tutt’ora conservano il socialismo».
Commento di Giovanni Amicarella per IlTazebao